Un contratto straordinariamente favorevole

Nella vita non sono quasi mai stato capace di chiedere, tanto meno di contrattare. Quando mi è capitato di comprare o vendere qualcosa, anche beni importanti, come case o terreni, ho sempre proposto, accettato o rifiutato le condizioni senza addentrarmi in trattative al rialzo o al ribasso.
In questo campo, ho sempre considerato la parola più importante dello scritto. Da mio nonno ho imparato a non mancare mai di parola (piuttosto lui avrebbe preferito non tener fede a un atto notarile, perché quest’ultimo è garantito dalla potenza burocratica dello stato, mentre la parola solo dalla fiducia nell’onestà della persona, cosa molto più importante).
Ho spesso pensato, negli spazi di minor attività che regala l’avanzare degli anni, al contratto che sta alla base di ognuna delle nostre esistenze e che noi chiamiamo vita. Non sono filosofo, anzi, non ho mai capito granché della storia delle idee, che chiamiamo, chissà perché, filosofia (come se c’entrasse qualcosa con sapienza e saggezza). Al liceo, supplivo con la buona memoria di allora ai limiti dell’intelligenza e me la cavavo anche con quella materia astrusa, ma preferivo di gran lunga la concretezza della storia, insegnata dallo stesso professore. Non ci provo nemmeno quindi, ad addentrami in nessuna delle grandi questioni esistenziali, su cause, inizi, fine, oppure a cercare risposte al problema del male, della quantità impensabile e intollerabile di dolore che attraversa tutta la storia.
C’è però un aspetto contrattuale del nostro esistere che mi torna spesso in mente e mi regala serenità e pace. Ha qualcosa a che fare col tempo e con la trinità passato-presente-futuro con cui siamo soliti inquadrare i nostri rapporti con questa variabile di non facile comprensione. Capire i concetti di tempo e di spazio, ancor più dopo Einstein e la fisica quantistica, è cosa del tutto fuori dalla portata dei miei neuroni. Posso solo intravvedere qualcosa e intuire che non è come pensavamo: è tutto molto più complesso, fluido e collegato. Come già aveva capito Jung, che lo racconta con parole semplici in una intervista concessa in età ormai avanzata, già solo la psiche va ben oltre i limiti di tempo e spazio (perché possiamo pensarci altrove e in un tempo diverso dal nostro), quindi l’anima, quella piccola scheggia di divino che c’è, ben nascosta, in ognuno di noi, ha ancora ben altre possibilità di superare gli steccati spazio-temporali in cui viviamo la nostra quotidianità. Non siamo prigionieri del presente e neppure del futuro, quelli sono solo i limiti fisici del nostro corpo (a cui siamo comunque legati, almeno fino a quella che chiamiamo morte).
Questa libertà di abitare, oltre che il momento presente, anche passato e futuro, mi regala consolazione e si traduce, non in una fuga dall’oggi, ma, anzi, nel viverlo meglio e con maggiore intensità e serenità. Cosa possibile proprio perché si capisce che non è una prigione in cui siamo relegati, ma una possibilità e un ponte sospeso fra l’ieri che abbiamo alle spalle e il domani che ci aspetta e contribuiremo a costruire.
L’aspetto consolante di questa relatività temporale è legato anche a due considerazioni, una di carattere pratico, l’altra che riguarda il rapporto con il trascendente e la sua voce che ci arriva tramite le Scritture.
Il passato non ci sarà tolto, quel poco o tanto di buono che, per merito o per fortuna, ci capiterà di aver fatto, rimane. Il bello e il buono che ho vissuto è fieno in cascina, un qualcosa che resta e che produce gioia anche nel momento presente.
Questa è una sensazione consolante, per noi vecchietti. Arrivati a una certa età, il presente si fa spesso più difficile e meno gratificante, e del futuro è meglio non parlare.
Questo non significa certo rifugiarsi nel passato, guardare indietro con gli occhiali rosa dimenticandone gli aspetti negativi, ma, al contrario, portarsi nell’oggi gioia, consolazione e serenità di ieri per continuare a goderne i benefici effetti, vivere meglio il presente e costruirsi un futuro se non migliore, almeno non troppo difficile.
La rassicurazione evangelica che neppure un bicchier d’acqua donato ci sarà tolto va in questa direzione e conferma, con l’autorità delle parole che non passeranno, questa voce del contratto. L’altro aspetto del patto è altrettanto rassicurante e rasserenante: ogni nostra colpa o mancanza sarà perdonata, con l’unica condizione di fare altrettanto col prossimo.
Il nostro contratto esistenziale è quindi straordinariamente favorevole: il bello e il buono fatto resterà per sempre, mentre il male e la colpa saranno cancellate dalla potenza del perdono. Almeno da questo punto di vista, non possiamo lamentarci e anche chi, come me, non ha alcuna capacità contrattuale e scarse riserve di fede, non può che accettare con gioia e riconoscenza le condizioni straordinariamente favorevoli di quel patto fra creatura e Creatore che chiamiamo vita.

Pubblicato sul Granello di dicembre 022