Il nostro pane quotidiano

Chi fa la spesa se ne sarà accorto: i prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità sono aumentati nel giro di poche settimane. Gas ed energia elettrica, ormai, sono spesso addebitati direttamente sul conto, e quindi non c’è più l’effetto sorpresa della lettura della bolletta, ma la tendenza è la stessa, se non peggiore, come sottolineava l’articolo di apertura della scorsa Guida.
Visto che in genere le entrate non seguono lo stesso andamento, ma, nella migliore delle ipotesi restano fisse o quasi, vuol dire che ci troviamo tutti un po’ meno ricchi (o, se preferiamo, più poveri). In termini più tecnici, quando ci vuole più moneta per comprare la stessa merce, si dice che è diminuito il potere d’acquisto e che sta arrivando l’inflazione. Una situazione non certo nuova per l’Italia, soprattutto ai tempi della lira. Chi ha superato il mezzo secolo, ricorderà bene gli anni settanta, con i salari che cercavano inutilmente di rincorrere i prezzi, la scala mobile, i BOT con rendimenti a doppia cifra che illudevano i risparmiatori di salvare almeno il capitale.
Un aspetto nuovo di questo filmato già visto è la scala mondiale e non più nazionale e soprattutto la crescita dei prezzi di prodotti agricoli, in particolare dei cereali e degli oli alimentari. Aumenti che possono preoccupare davvero, non tanto ancora per l’incidenza sulla vita reale, ma per le cause e i retroscena.
I prezzi in impennata sono solo l’effetto, la parte emersa dell’iceberg, ma nascondono cause profonde e strutturali che potrebbero provocare problemi gravissimi di estensione planetaria. Meglio quindi occuparsene per tempo, invece di doversi preoccupare inutilmente quando sarà troppo tardi.
Il prezzo di un bene si forma per l’incontro della domanda con l’offerta ed è importante capire il significato profondo di questa legge, autentico pilastro su cui si basa tutta la “scienza” economica. Chi vende un bene ha convenienza a spuntare la cifra più alta possibile, al contrario di chi lo compra. Da questo conflitto d’interessi nasce un equilibrio precario e momentaneo, che è appunto il prezzo. Una cifra che mette provvisoriamente d’accordo le due opposte esigenze e che può cambiare rapidamente se cambiano le condizioni. Se la domanda è elevata, ma per qualche motivo l’offerta non può soddisfarla, il prezzo può impennarsi, arrivando anche a valori prima impensabili. Addirittura, con offerta tendente a zero il prezzo, teoricamente, potrebbe salire quasi all’infinito, e, se ci pensiamo, è proprio quello che capita quando diciamo che un quadro di Botticelli o una statua di Michelangelo hanno valore “inestimabile”. Ma, anche senza arrivare a questi estremi, la tendenza all’aumento può correre davvero molto in fretta, soprattutto, naturalmente, se si tratta di beni indispensabili e non facilmente sostituibili, come i cereali e gli oli alimentari.
E’ proprio quello che è capitato e sta capitando: la domanda cresce con l’aumento della popolazione mondiale e con i cambiamenti di stile di vita. Alcuni grandi paesi, come la Cina, acquistano ora grandi quantitativi di prodotti agricoli, che in passato non compravano. L’offerta non riesce ad adeguarsi al crescere delle richieste e, anzi, nel 2021 in molti casi ha avuto una drastica diminuzione.
Le cause della mancata produzione sono molte, ma due sono state particolarmente pesanti: i cambiamenti climatici e le tensioni internazionali.
Siccità, gelate, alluvioni, grandine e anche intere annate sfavorevoli ci sono sempre state, ma da eventi eccezionali pare si stiano trasformando in fenomeni “normali” con cui dovremo fare i conti sempre più spesso. Non più quindi “anomalie”, ma calamità ricorrenti e abituali, che innescano una spirale negativa capace di produrre altri guai, dai parassiti di ogni tipo al dilavamento e asporto della terra fertile.
Nel 2021, per esempio, una siccità devastante ha colpito le regioni del Nord America e la produzione di grano duro, quello usato per la pasta, si è quasi dimezzata. Il Canada, anche se può sembrare strano, è il primo esportatore mondiale di grano duro (da noi tradizionalmente coltivato soprattutto nelle regioni centro-meridionali) e i pastifici italiani hanno risentito in modo particolare dell’impennata dei prezzi. La FAO aveva già rilevato nel primo trimestre 2021 un incremento della quotazione dei cereali vicina al 30% e recentemente alcuni industriali della pasta hanno denunciato prezzi del grano duro quasi raddoppiati e difficoltà di approvvigionamento.
Per il grano tenero, usato per pane e dolci, il problema più grave sembra determinato dalle tensioni fra Russia e Ucraina, rispettivamente primo e terzo esportatore mondiale. La Russia ha deciso di limitare da metà febbraio a fine giugno le quantità immesse sul mercato internazionale e l’Ucraina risente delle gravi tensioni con l’ingombrante vicino. Una situazione che ci riguarda direttamente, visto che l’Italia importa il 64% del grano tenero necessario per le esigenze interne.
Cifre che preoccupano, anche perché negli ultimi quattro anni la superficie coltivata a frumento tenero nel Bel Paese è diminuita del 10%, passando da 543 mila ettari a meno di 500 mila. Come dire che abbiamo perso la produzione di 130 mila giornate piemontesi del principale cereale che ci garantisce il nostro pane quotidiano.

Pubblicato su La Guida del 17-2-022