Andare per borgate 4

Non esiste un censimento delle borgate abbandonate delle valli del cuneese. E non esiste neppure la percezione di quanto questo patrimonio sia immenso, sconosciuto e in pericolo. Da una quarantina d’anni passo una buona fetta del mio tempo libero a girovagare per sentieri e mulattiere, ma sono ancora molto lontano dal conoscerlo a fondo. Trovo ancora sempre nelle mie gite l’angolo mai visto, il gruppo di case di  cui non sospettavo l’esistenza, il particolare architettonico nascosto, lo scorcio inaspettato.
In questo lungo periodo di tempo, alcune borgate hanno trovato nuova vita convertendosi in luogo di riposo e vacanza, altre sono rimaste vuote e abbandonate trasformandosi in ammassi di ruderi pericolanti.
Un patrimonio che scompare anno per anno, col peso della neve che ogni inverno vince la strenua resistenza delle travi di castagno spogliate ormai del loro manto di lose e abbatte altri tetti o fa crollare muri e pilastri.
Le case sopravvivono di qualche decennio appena ai loro padroni, sono anch’esse organismi viventi bisognosi di cure e soprattutto di vita sociale. Come per uomini e animali, anche gli edifici patiscono l’assenza, intristiscono per l’abbandono fino a lasciarsi andare e a rassegnarsi a cedere alla forza di gravità. I muri ritornano “ciapere”, colmi e costane ridiventano humus e tengono a battesimo giovani frassini nati sulle macerie. Madre terra non è sprecona, tiene da conto anche le molecole, le ricompone in forme nuove in un continuo processo di resurrezione. Alberi, cespugli e animali selvatici riprendono possesso di un territorio precariamente conquistato dall’uomo attraverso secoli di fatiche.
Infatti, il paesaggio delle Alpi non è “naturale”, ma è stato profondamente trasformato e plasmato da uomini e animali nel corso di molte centinaia di anni. E’ quello che gli studiosi chiamano paesaggio “culturale”, nato dall’interazione dei fattori geografici e ambientali con il continuo lavorio umano che ne ha modificato profondamente le caratteristiche. Il bello è che questo intervento millenario dell’uomo fino a tempi recenti, non solo non ha guastato, ma addirittura ha migliorato il paesaggio, rendendolo più vario e gradevole. Lo spiega in modo scientifico il geografo tedesco Werner Bätzing nel suo imponente testo sulle Alpi: senza l’uomo agricoltore e allevatore le nostre valli sarebbero coperte da fitti boschi fino alle alte quote e la vegetazione sarebbe molto più povera e monotona.
Sono stati uomini e animali a favorire la varietà vegetale, quella che oggi si chiama col termine “biodiversità” e che è all’origine di ogni bel paesaggio.
Anche gli edifici, i terrazzamenti, i sentieri hanno contribuito ad “arredare” e rendere fruibile l’ambiente e si inseriscono a pieno titolo e in modo armonico nel contesto naturale. Una bella borgata valorizza lo sfondo di prati e boschi, così come la cornice verde e marrone dei vegetali dà valore alle case e anche ai ruderi.
La bellezza di un paesaggio non è solo una variabile estetica, risiede a un livello più profondo, spesso inconscio, tocca tasti e corde del nostro intimo che ci regalano emozioni e sensazioni che vanno al di là della semplice piacevolezza visiva. Forse per molti di noi, figli o nipoti di contadini, è il ritrovare radici nascoste ma profonde, o un ritorno a immagini d’infanzia custodite negli anfratti della memoria.
Forse è quell’armonia di cui parlavo prima che ci dà riposo dalle quotidiane dissonanze in cui siamo immersi.