Treni ad alta velocità ?

La TAV fa notizia. Esaurito il filone nautico del Titanic nostrano, in coincidenza quasi perfetta col centennale di quello vero, e in mancanza dei soliti omicidi con torbidi fondali in cui razzolare per mesi, i media nazionali si sono buttati a pesce su cantieri, tralicci, manifestazioni. Prime pagine sui quotidiani, servizi e dibattiti televisivi, scontri e incidenti in diretta: molte parole, ma raramente qualche dato utile a capire davvero la questione.
Una sorta di logica perversa in cui l’eccesso di notizie marginali copre la carenza di dati sostanziali: si fa narrazione, non informazione, si rincorrono frasi ed episodi insignificanti senza mai mettere in chiaro i numeri e gli aspetti fondamentali del problema.
Per cercare di farsi un’opinione, meglio allora spegnere la tele e ripercorrere un po’ la storia del progetto sulla base dei numerosi studi tecnici ed economici indipendenti  prodotti sull’argomento dai Politecnici e dalle Università.
Così si scopre che non si è mai veramente discusso SE fare l’opera, ma solo COME fare l’opera, non si è mai presa in seria considerazione l’opzione zero teoricamente prevista dalle valutazioni di impatto ambientale degne di questo nome. Questo “peccato originale” di un’infrastruttura decisa a priori e da fare ad ogni costo ha da subito reso difficile il dialogo con la popolazione di un territorio che già aveva pagato un prezzo altissimo per la sua posizione di valico internazionale: una ferrovia, due statali, un’autostrada e un traforo a mangiarsi la poca terra del fondovalle e a regalare traffico, inquinamento e mafia.
Quando si progetta un’opera di interesse pubblico si deve fare prima un’analisi costi-benefici. Oltre che un obbligo di legge è anche una questione di buon senso: ognuno di noi prima di fare un investimento cerca di prevedere se ne valga la pena. Ma se si introducono dati eccessivamente ottimistici per far quadrare i conti (ad esempio previsioni di flussi futuri di traffico merci e passeggeri non realistici) lo studio non serve più a decidere se conviene o no fare l’opera, ma solo a giustificarla comunque.
Posso cercare di chiarire il concetto con un esempio, anzi, con una sorta di favola.
C’era una volta un artigiano che lavorava in un piccolo laboratorio. Aveva un giro d’affari modesto ma dignitoso e la sede della ditta era più che sufficiente per le sue esigenze presenti e future. Un brutto giorno qualcuno gli propone di costruire un enorme capannone industriale in cui trasferire l’azienda. Il nuovo edificio ha un costo assurdo, è sovradimensionato e non serve a niente. Ma quello che interessa non è l’utilità dell’opera, è semplicemente farla. I costi non sono un problema, anzi, più costa, meglio è: ci saranno più soldi da spartire. Per convincerlo il proponente gli presenta un grafico in cui, come per magia, il giro d’affari futuro è moltiplicato per mille, in modo da coprire la spesa. Il nostro artigiano sa benissimo che non sarà così, che le sue entrate non gli consentiranno mai di ammortizzare l’opera e che la nuova costruzione lo porterà alla rovina. E allora…
Vi risparmio il finale, esco dalla metafora e ritorno al nostro discorso.
La Tav è stata progettata negli anni 90 in regime di traffico crescente, mentre ora i flussi sono significativamente ridotti. Alla fine del secolo scorso passavano sulla linea nove milioni di tonnellate all’anno di merci, oggi ne passano tre, mentre la ferrovia attuale ne potrebbe portare venti. Nel frattempo è pure diminuito il traffico su gomma e non solo per effetto della crisi, ma per il minor scambio fra le due aree geografiche. I dati sono di Marco Ponti, docente di economia dei trasporti del Politecnico di Milano che avverte pure che le linee francesi di Alta velocità sono fatte per trasportare passeggeri, non merci e che dalle ferrovie veloci c’è poco da guadagnare e molto da perdere.
I dubbi sull’utilità dell’opera sono quindi molti e legittimi. Quel che è invece certo è il suo costo folle, dell’ordine delle decine di miliardi. Altrettanto sicuro è che il conto preventivato è destinato ad aumentare, soprattutto se si aggiungono le compensazioni, le variazioni e le spese per “militarizzare” l’area. Basta guardare al recente passato: le tratte di Alta Velocità già realizzate in Italia sono costate tre volte tanto rispetto al preventivo. Per inciso, queste spese (con annesse opere faraoniche e inutili) hanno contribuito per la loro parte al debito pubblico e alle sanguinose e ingiuste manovre conseguenti.
Mi pare che in Italia (e forse in Europa) ci sia una folle incoscienza sull’uso dei soldi pubblici, come se fossero di nessuno, come se mettere miliardi in opere di dubbia utilità non significhi meno sanità, meno istruzione, meno pensioni. Come se il denaro piovesse dal cielo e non arrivasse invece dalle nostre tasche. Nello stesso giorno il Governo ha decretato che bisognava lavorare quarantadue anni e rotti per aver diritto al riposo, che l’ICI cambiava nome e in pratica raddoppiava e che si stanziavano altri miliardi per la TAV. La coincidenza rende bene l’idea del fatto che la superferrovia sarà pagata con le nostre pensioni e con imposte esorbitanti: un vero e proprio travaso dai nostri portafogli sempre più vuoti alle casse delle società di progettazione e costruzione. Insomma: l’impressione è quella di un’opera che ci impoverirà tutti per arricchire i soliti pochi.
Forse sarebbe il caso di renderci conto che la coperta è corta e che non esiste bacchetta magica in grado di moltiplicare le risorse. Quelle che mettiamo nel buco nero dell’Alta Velocità le dobbiamo prendere da qualche altra parte. Ad esempio, da quelle che un tempo si chiamavano “Ferrovie dello Stato” e fornivano un servizio prezioso, economico e concreto al benessere di tutti.
Lo sfascio delle ferrovie italiane “ordinarie” è sotto gli occhi di tutti ed è dramma quotidiano per i pendolari. Ogni euro speso per progetti avveniristici è un euro in meno per l’ordinaria manutenzione, per la pulizia, per i necessari investimenti sulle linee normali e si traduce in disagi, ritardi, cancellazioni. Spostarsi ogni giorno per lavoro o per studio è fonte di stress, arrabbiature e frustrazioni ed è pure un salasso. Viaggiare sulle lunghe distanze è diventato quasi impossibile, anche perché il sistema è programmato per costringere l’utente ad usare i carissimi Freccia Rossa al posto dei treni tradizionali. Una sorta di ricatto, col proposito di diminuire il passivo di gestione di linee ad Alta Velocità pagate dal contribuente, doppiamente fregato. Trenitalia ha da poco soppresso alcuni convogli nord-sud, proprio quelli che hanno contribuito all’unità del Paese più di Garibaldi e Cavour, hanno reso possibile il boom economico del dopoguerra, hanno permesso ai giovani di frequentare le università e alla società di svilupparsi.
In 22 anni di lotta non è stato facile attribuire ai valsusini episodi di violenza. La loro è stata una grande dimostrazione di caparbia e pacifica determinazione. Proprio questa è la loro forza perché, parafrasando Macchiavelli al contrario, sono i mezzi giusti a giustificare il fine.  Il rischio è che allargandosi in altre zone la protesta degeneri, che ci possano essere infiltrazioni di elementi estranei, magari funzionali a chi vorrebbe trasformare in una suicida guerriglia urbana la forza vincente della non-violenza.

Cervasca, 5 marzo 2012        pubblicato su La Guida del 9-3-012