Scala di priorità 

Mi ricorda un contadino che abbia fretta di metter fieno in cascina prima dell’imminente temporale e lo getti  al riparo senza troppi riguardi. Il governo, in questi mesi, ha dato mostra di un attivismo incredibile, accatastando provvedimenti e riforme a ritmi folli spinto dalla necessità di sfruttare l’imprevisto clima di consenso incondizionato per mettere la propria firma sul maggior numero possibile di provvedimenti legislativi.  Dopo anni di immobilismo, con un esecutivo tutto preso a risolvere i guai giudiziari, industriali e ormonali del premier, il ritorno alla normalità, all’efficienza e alla dignità è stato accolto con favore dall’opinione pubblica. E’ pur vero che noi italiani giudichiamo spesso le persone dall’abito, guardiamo più all’apparenza che al programma e ci lasciamo annebbiare la vista dalle nostre stesse aspettative. Ma, dopo la tragica farsa del ventennio berlusconiano, ci è parso positivo essere finalmente rappresentati da una persona sobria e corretta, capace di guardare i libri contabili invece che le scollature delle ragazzine, apprezzata sulla scena internazionale, indenne da palesi conflitti di interessi.
Il governo tecnico, purtroppo, ha approfittato del consenso, della simpatia e della fiducia incondizionata di larga parte degli italiani per far passare provvedimenti che nessuna coalizione di destra, centro o sinistra avrebbe osato nemmeno proporre. Con un crescendo rossiniano e una fretta indiavolata, figlia, forse, della consapevolezza di quanto sarà effimera questa strana luna di miele.
L’idillio fra quest’Italia sfiduciata e sfiatata e questo esecutivo ipercinetico è destinato, a mio parere, a esaurirsi coi primi tepori estivi e con la doccia fredda delle scadenze fiscali di giugno. Perchè l’IMU non è un’imposta, è un pasticcio improvvisato e raffazzonato dettato da precipitazione  e (massima vergogna per un governo tecnico) imprecisione e leggerezza, scandito da un valzer di annunci e smentite, di norme ed emendamenti che sono l’esatto contrario della tanto sbandierata “semplificazione”.
E’ probabilmente il peggior balzello dai tempi della tassa sul macinato di ottocentesca memoria. E non solo per il carico fiscale pesantissimo su un bene già tartassato e indispensabile come la casa. L’IMU è una brutta copia dell’ICI di cui conserva tutti i difetti eliminandone i pochi aspetti positivi. Il tutto condito da una dose aggiuntiva e inutile di complicazioni (si paga col modello F24, in un numero variabile di rate, non si sanno ancora le aliquote e le regole in un tiramolla di notizie degne del Nobel per l’improvvisazione).
L’Ici era nata nel 92 per dare autonomia impositiva agli enti locali, cioè per fornire a Comuni e Provincie risorse per gestire le spese di propria competenza. Era un’imposta pesante, poco simpatica e criticabile, ma in grado di garantire il funzionamento della sempre più complessa macchina municipale. La nascente IMU andrà invece in buona parte nelle casse bucate dello Stato, con un meccanismo perverso che costringerà i comuni a tenere alte le aliquote per sopravvivere. Un doppio scippo, quindi, ai danni del cittadino e del Comune (costretto per di più a fare la figuraccia dello strozzino), con l’aggravante, non da poco, della complicazione gratuita e dall’indecisione cronica sulle regole.
Insomma, difficilmente era possibile fare di peggio.
La sacrosanta guerra all’evasione dovrebbe accompagnarsi a chiarezza e correttezza, oltre che ad equità e a un carico fiscale tollerabile, e dovrebbe essere preceduta da una profonda pulizia di tutto quel sistema di sprechi, corruzioni e sbagli che ha generato la voragine. Mi pare inutile massacrarsi di fatica a pompare fuori acqua se prima non si tappano le falle dello scafo.
Nei momenti di crisi, quando le urgenze sono molte e le risorse diventano scarse, è di vitale importanza la scelta degli obiettivi, la scala delle priorità. Bisogna decidere non solo cosa fare, ma cosa fare prima. Quale questione deve essere affrontata subito e quale si può rimandare a tempi migliori.
In questa classifica di gravità dei problemi basta farsi guidare dai numeri. Cinque milioni di italiani sono senza lavoro; tre sono talmente sfiduciati da aver smesso di cercarlo. E quel che è peggio, vi è una disoccupazione giovanile e intellettuale gravissima che costituisce uno spreco intollerabile e un vero dramma generazionale.
Come si è mosso il Governo? Prima ha varato una riforma delle pensioni ingiusta e vessatoria che preclude di fatto l’accesso all’occupazione alle nuove leve. Poi ha lavorato con cocciuta determinazione per settimane per modificare l’articolo 18 e rendere più facili i licenziamenti. Si è preoccupato quindi dell’uscita dal lavoro e non dell’accesso, con una logica inversa a quella del senso comune.
Altri numeri ce li regala un recente sondaggio riportato dai quotidiani: gli italiani che si fidano dei partiti politici sono un misero 2 per cento (meno degli iscritti agli stessi partiti!) e la fiducia nel Parlamento e nelle altre istituzioni repubblicane è ai minimi storici assoluti, attorno al 10 per cento.
Questa è la vera emergenza, altro che spread e rating! Prima di pensare al voto che Moody’s o Standard & Poor’s danno alla nostra affidabilità di debitori sarebbe bene pensare a quello che noi italiani diamo alla classe politica che ci rappresenta.
Una bocciatura senza appello, condizionata dal comportamento ignobile di partiti, tesorieri, faccendieri, che rischia di far nascere nuove derive populiste causa di immancabili guai futuri.
Un governo, quindi, che si è mosso velocemente e con determinazione, ma senza rispettare le vere priorità e sovente in una direzione poco comprensibile. La cosa è preoccupante: si fa in fretta a fare una cattiva norma, ma “disfarla” richiede tempi lunghi e non sempre è possibile. Spesso gli effetti disastrosi durano per decenni, come dimostra la pessima legge elettorale che ha contribuito in modo determinante al degrado della democrazia in Italia.
Per non parlare di altri provvedimenti meno illuminati dai riflettori televisivi, ma altrettanto indicativi di una filosofia economica preoccupante e perdente.
Ne cito solo un paio, presi dal mazzo.
L’estensione degli orari di apertura dei negozi, come se la crisi della domanda si potesse risolvere tenendo le serrande aperte giorno e notte. Sembra una cosa marginale, ma non lo è affatto. E’ il mercato e il lavoro che invade tutta la vita, è l’antitesi del precetto biblico di santificare la festa, di dare il giusto spazio alle relazioni, al riposo, alla famiglia, al “non fare”. E’ anche una forma grave di concorrenza sleale nei confronti dei piccoli commercianti, già penalizzati da un sistema fiscale e normativo creato per favorire le grandi realtà economiche, impossibilitati ad ampliare l’orario all’infinito.  
E, ciliegina sulla torta, l’obbligo di pagamenti rintracciabili per cifre modeste, che costringerà tutti ad avere un conto corrente bancario con relativi costi e tasse. In un’epoca in cui si trasferiscono miliardi con un clic del computer e in cui le aziende sono scatole cinesi con sede in paradisi fiscali si potranno controllare i fortunati titolari di pensioni minime, coi loro cinquecento euro mensili. Un bel regalo al sofferente sistema degli Istituti di credito nostrano da parte di ex banchieri prestati alla politica.
La prova della capacità della grande finanza di spostare il peso del debito creato dai ricchi sulle spalle dei poveri.

Cervasca, 22 aprile 012                    lele