Mancanza d’aria

Le dittature sono di molti tipi differenti, più o meno sanguinarie e repressive, militari o teocratiche, mascherate o aperte. Tutte, però, hanno un denominatore comune: l’attacco alla libertà di stampa e di opinione.
In famiglia ne sappiamo qualcosa: mio nonno materno era tipografo ed è morto a Mauthausen. E’ finito nel campo di sterminio nazista proprio perché, in periodo di guerra e terribile repressione, si ostinava a stampare parole di libertà.
Per nostra fortuna viviamo (provvisoriamente) giorni meno cruenti, se non meno cupi. Il controllo della carta stampata da parte del potere può avvenire con sistemi più sofisticati, meno drastici ma altrettanto efficaci. In questi tempi in cui tutto è mercato, non è neppure più necessario, per avere il monopolio dell’informazione, intervenire con censure o repressioni: basta usare la leva fiscale o normativa.
E’ quello che sta accadendo con il decreto del 30 marzo che ha aumentato in modo folle le spese postali per l’editoria col risultato (se non con l’intento) di azzoppare le poche voci libere che ancora resistono su carta stampata.
E con la conseguenza di farci fare un altro piccolo passo verso il baratro della dittatura.
Che la norma (introdotta col classico colpo di mano a cui l’arroganza del potere ci ha purtroppo abituati) non miri solo a far risparmiare qualche soldino alle Poste o non sia frutto della distratta stravaganza dei nostri politici, ma faccia parte di un disegno più complesso e consapevole, lo prova l’attacco ripetuto alla stampa e, più in generale, alla parola scritta, condotto in prima persona dallo stesso Premier.
E’ di questi giorni la sparata contro Saviano, l’autore di Gomorra costretto a vivere sotto scorta per le sue coraggiose denunce, accusato addirittura di fornire un “supporto promozionale” alla mafia. Ma risale allo scorso aprile, esattamente al 4-4-09, un’altra frase del Presidente del Consiglio da riportare fra virgolette:
“Contro i giornali sono tentato da reazioni dure”.
Il che dimostra, per lo meno, la premeditazione e la non casualità dei ripetuti attacchi e dell’attuale decreto legge.
Ci si potrebbe chiedere come mai tanto accanimento contro quel poco che resta di informazione libera da parte di uno che possiede o controlla direttamente televisioni, case editrici, giornali, periodici, società di distribuzione cinematografica e quant’altro.
La risposta credo che sia nel potere – l’enorme potere – della parola.
La democrazia è il regime della circolazione delle opinioni e delle convinzioni, nel rispetto reciproco. Lo strumento di questa circolazione sono le parole. La parola, per ogni spirito democratico, richiede una cura particolare in senso qualitativo e quantitativo. Il numero delle parole conosciute e usate, così come il modo di usarle, è direttamente proporzionale allo sviluppo della democrazia.
Si capisce allora che chi mira a concentrare tutto il potere nelle proprie mani, chi pretende di gestire il Paese come “cosa sua”, chi, in altri termini, è alieno dalla democrazia, debba avere il monopolio della parola. Non possa permettere l’esistenza di alcuna voce libera. Per quanto piccola o “locale”.
Siamo in una società smisuratamente “mediatizzata” in cui è di vitale importanza la formazione e quindi il condizionamento dell’opinione pubblica.
Da qui una politica guidata dai sondaggi, più che dalle idee.
Da qui anche la costruzione di un consenso disinformato e la distruzione di ogni voce dissenziente. Lo scopo è la creazione di una mentalità, una “doxa” se vogliamo usare il bel termine greco, favorevole a priori e facilmente condizionabile e manipolabile.
Secondo l’annuale rapporto di Reportes sans frontières, l’Italia era nel 2007 al trentasettesimo posto nel mondo per la libertà di stampa. Nel 2008 siamo scivolati al 44° posto, nel 2009 al quarantanovesimo. Siamo ancora lontani da Iran, Cina, Cuba e Russia, ma la tendenza a limitare gli spazi di libertà di opinione è chiara e preoccupante.
E’ meglio reagire, e in fretta. Tutti insieme, indipendentemente da ideologie, schieramenti e fedi politiche o religiose.
Perché, come diceva Pietro Calamandrei nel 1955: “La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.
E, non so voi, ma io comincio a sentire chiari sintomi di soffocamento.

Cervasca, 18-4-010 lele
Pubblicato su La Guida del 23-4-010 col titolo “La libertà è come l’aria”