Ricordo di Alberto

Quando gli amici ci lasciano, ci portiamo dietro un ricordo destinato a restare, capace di resistere all’erosione del tempo, al sovrapporsi di stimoli e alla stanchezza della mente. Spesso è un’immagine, una specie di fotografia o un breve filmato che la nostra memoria ha catturato senza neppure volerlo e che la notizia del distacco rende indelebile.
Di Alberto Bosi e dei tanti anni di amicizia e frequentazione mi resta invece il regalo inaspettato di una lunga telefonata.
Eravamo a inizio marzo, sapevo che Alberto era stato ricoverato in ospedale per accertamenti e che la situazione era grave, ma sentendo la sua voce cordiale e quasi allegra mi ero tranquillizzato. Alberto mi aveva salutato con voce serena, non aveva fatto alcun cenno alle sue condizioni di salute (e io non avevo osato chiedere nulla) e aveva iniziato a parlarmi di agricoltura spicciola, di come essiccare la frutta per conservarla, della difficoltà di produrre le castagne bianche, delle mille piccole cose che interessano chi si ostina a vivere coi piedi per terra e a prodursi parte del cibo che mette nel piatto. Dopo una lunga chiacchierata ci eravamo salutati con affetto (anzi, per usare la parola giusta, con amicizia, che è ben altra cosa).
Io, pur senza avergli chiesto nulla, ero convinto che le sue difficoltà di salute fossero ancora una volta state superate. Alberto era un vero filosofo, nel senso pieno del termine, non solo uno studioso della storia del pensiero altrui, e aveva sempre avuto nei confronti della malattia un atteggiamento sereno, un’attenzione che poteva quasi sembrare distaccata. Non aveva lasciato che la malattia prendesse il sopravvento sulla vita, che diventasse il centro unico dei suoi interessi, che togliesse spazio ad altri pensieri e alle buone relazioni. In genere, i problemi gravi di salute hanno una forza centripeta, ci costringono a chiuderci in noi stessi, lui invece sembrava capace di ricavare anche dal male un’energia centrifuga, che lo spingeva fuori da se stesso e anche dal suo normale campo di interessi. La malattia non era riuscita a monopolizzare la sua mente, neppure a togliergli interesse per gli aspetti più semplici e spiccioli della vita.
Il tono e gli argomenti della nostra chiacchierata mi avevano lasciato nella convinzione che il peggio fosse ormai alle spalle e che mi stesse chiamando dal salotto di casa sua. Mi ero davvero stupito quando, giorni dopo, avevo saputo che Alberto mi aveva invece telefonato dal letto dell’ospedale e, naturalmente, non immaginavo affatto, allora, che quella sarebbe stata per noi l’ultima conversazione.
Ripensandoci adesso la trovo ancor più preziosa e trovo particolarmente bello che le ultime parole che mi ha regalato siano state su argomenti quotidiani e concreti, spesso in forma di reciproca domanda e con un tono leggero.
Alberto fino all’ultimo è stato animato da una grandissima curiosità, dalla voglia e dal bisogno di sapere, di approfondire, di conoscere, di capire. Una curiosità, che unita a un’intelligenza e una memoria fuori dal comune, una grande passione per lo studio e la lettura e una mentalità aperta, gli ha permesso di raggiungere una preparazione incredibilmente profonda sui più svariati argomenti.
Sono sempre più convinto che l’essere curioso sia premessa di ogni cultura e conoscenza e che la curiosità sia da sempre la miglior maestra. Alberto era davvero curioso a trecentosessanta gradi, senza distinzioni né classifiche. Sentendolo parlare e si capiva che per lui non c’erano conoscenze di serie A e serie B, che parlare di ceci e di castagne aveva lo stesso valore e lo stesso peso che discutere di teologia o del senso ultimo dell’esistenza. Solo chi sa volare molto alto col pensiero è anche capace di camminare con i piedi ben saldi per terra e di rendere grandi anche le piccole cose.
Alberto era un vero “filosofo”, nel senso etimologico del termine.
I greci, più precisi di noi, distinguevano i diversi aspetti di quello che noi definiamo amore (amicizia, attrazione, parentela) con termini differenti. Il prefisso “filo” indica la faccia più nobile e disinteressata dell’amore, quella che chiamiamo “amicizia”. “Sofia” è insieme sapienza e saggezza. Il filosofo è quindi chi sa farsi amico del sapere e del saper fare e diventa, oltre che sapiente, anche saggio.
Con Alberto avevamo condiviso, seppur ad anni di distanza, gli stessi banchi del liceo classico e anche gli stessi insegnanti: Giaccardi di storia e filosofia, Boella di latino e greco. Avevamo condiviso anche il piacere di vivere in campagna, di ridare nuova vita alle case diroccate di una borgata alpina e la passione per il Camino di Santiago.
Buon cammino, Alberto, e grazie di cuore di tutto quello che ci hai insegnato. Adesso che hai raggiunto l’altra sponda, potrai toglierti tutte le curiosità che hanno sempre accompagnato la tua vita intensa e benefica. Perché la morte è un distacco doloroso per chi resta, ma per chi la vive e la supera è un incontro, non solo con un Dio che ci aspetta, ma anche con tutte le meravigliose persone che ci hanno preceduto.
Grazie anche del regalo inaspettato di quell’ultima telefonata, del suo tono leggero e delle divagazioni su argomenti di vita spicciola.
Ancora una volta mi hai fatto capire che le cose davvero grandi sono tutte dentro le piccole scelte di vita quotidiana.

Pubblicato su La Guida dell’11-5-023