Il vino e la salute

Ho letto con piacere l’articolo di Piergiuseppe Bernardi in difesa della cultura del vino, una sacrosanta reazione contro chi fa del salutismo una religione assoluta e della scienza una divinità monoteistica.
Per i casi della vita, pochi minuti prima che il postino portasse il settimanale con l’articolo su vino e salute, ero immerso nella lettura degli Ordinati di fine Settecento del comune di Vignolo e mi era giusto capitato di imbattermi in un’ordinanza del consiglio del settembre 1777. Nel verbale, il sindaco ricordava che era sempre stata abitudine della Comunità “per pubblico vantaggio” di vietare a chiunque possedesse “vigne ed alteni sovra questo territorio di vendemmiare le loro uve sin a tanto che siano in stato di maturità”. Il consiglio, sentita la proposta, aveva ordinato “non doversi né potersi da verun particolare …vendemmiare prima delli diecisette del prossimo venturo mese di ottobre”.
La data mi aveva stupito, in quanto molto tardiva, almeno rispetto alla maturazione delle mie attuali poche piante di vite, che mi regalano uva dolce e gradevole già da inizio settembre. Forse è cambiato il clima, forse le varietà di viti, che ora, dopo l’arrivo della fillossera, sono anche innestate su piede americano.
Quello che non mi aveva stupito era invece l’estrema attenzione per viti e vino, considerate, al pari dei cereali, uno dei pilastri dell’alimentazione e della vita sociale.
Oggi fatichiamo a capire e anche solo immaginare quanto dovesse essere importante in passato la coltura della vite e la produzione del vino. Negli Statuti di Valgrana del 1415, delle 358 norme che regolano tutti gli aspetti della vita civile, politica, penale e pratica, almeno una decina riguardano direttamente o indirettamente l’uva e il vino. L’accesso a vigne e alteni era rigorosamente controllato e durante il periodo della vendemmia neppure i campari, le guardie forestali di allora, potevano entrare nella vigna senza il consenso del proprietario.
Anche negli Statuti di epoca medievale di altri comuni ci sono pene severissime per danni e furti nelle vigne. In quelli di Saluzzo è addirittura prevista la pena di morte per chi “animo deliberato”, cioè intenzionalmente, avesse tagliato viti altrui.
La norma che vietava vendemmie anticipate degli Ordinati settecenteschi di Vignolo serviva a garantire un buon tenore zuccherino alle uve, e quindi un grado alcolico elevato, a garanzia anche della buona conservazione del vino nel tempo. Mi sono imbattuto in simili decreti negli archivi storici di molti dei comuni in cui mi è capitato di curiosare.
Fra l’altro, erano tempi in cui l’invadenza normativa era molto minore di quella a cui, purtroppo, stiamo abituandoci. I cittadini erano definiti “particolari” proprio perché possedevano piccole proprietà in cui “regnavano” sovrani.
Le norme che tutelano la buona qualità del vino sono quindi una sorta di eccezione, motivata proprio dall’importanza sociale che si attribuiva allora all’uva e alla bevanda derivata.
Anche l’esame dei Catasti dei secoli passati ci conferma quanta parte del territorio fosse dedicata alla vite. Vigne ed alteni erano molto diffusi e alla vite si riservavano appezzamenti di buona qualità e soprattutto felice esposizione. Il mio attuale orto era, nel Catasto di fine Settecento di Cervasca, classificato come vigna.
Un cenno particolare meritano gli alteni, in piemontese gli utìn. Il termine latino altinus ha evidente derivazione da “alto”, cosa che può indicare sia l’appezzamento posto a quota maggiore, per evitare ristagni d’acqua che la vite mal sopporta, sia la forma alta di allevamento della stessa vite, appoggiata a pali o “maritata” ad alberi.
Negli utìn la vite era consociata ad altre colture, spesso di ortaggi, che trovavano spazio fra i filari, tanto che la parola è diventata quasi sinonimo di orto, forse anche per la somiglianza fonetica. Somiglianza che ritroviamo, guarda caso, anche nei termini vite e vita.
Pane e vino non sono solo le basi dell’alimentazione, ma anche della nostra società e della nostra cultura. Condividere il cibo e bere in compagnia è parte essenziale della nostra vita, dell’ospitalità, delle buone relazioni. E quindi, anche della nostra salute (che non è solo assenza di malattie, ma un qualcosa di molto più grande e complesso, che non si ottiene con privazioni, norme e divieti, ma con atteggiamento positivo e costruttivo).

Pubblicato su La Guida del 9 febbraio 023