Rottamazione 3 Travi e pagliuzze

Siamo una civiltà che si illude di poter misurare tutto e di tener tutto sotto controllo.
Ma i numeri sono quasi sempre una nostra semplificazione e spesso sono anche usati in maniera disonesta, per evidenziare ciò che interessa o nascondere qualche aspetto che si preferisce ignorare. Poter contare su dati corretti e trasparenti su cui basare scelte e azioni è un grande vantaggio, ma è indispensabile servirsene con competenza, onestà intellettuale e apertura mentale. E soprattutto metterli in campo tutti, non dimenticare per strada quelli non sono funzionali alle nostre idee e ai nostri interessi.
Con tutte le varie centraline e fonti di misurazione locali che ci danno informazioni minuto per minuto sulla qualità dell’aria, finiamo di perdere di vista l’evidenza che il fenomeno dell’inquinamento è globale e persistente, e non prendiamo in considerazione quello che succede appena fuori del giardino di casa nostra o lontano dall’attimo presente. E ci sono lati “nascosti” dell’inquinamento che sfuggono all’attenzione e che si preferisce tener lontano dagli sguardi. Nessuno si preoccupa di tradurli in numeri, ma sono il vero cuore della questione, quello su cui si giocherà il nostro futuro.
Un aspetto del problema ambientale che non si mette mai in luce, da parte del “partito” delle soluzioni tecnologiche, delle grandi opere e delle rottamazioni è la quantità di inquinamento che è contenuta negli oggetti. Non nel senso che i manufatti siano tossici o dannosi, ma per quanta energia, quante materie prime, quanto inquinamento sia costato fabbricarli e farli arrivare a noi.
Produrre un automezzo nuovo significa mettere insieme un paio di tonnellate di materiali “preziosi”: acciaio, alluminio, rame, carbonio, polimeri, batterie, cristalli. Tutti componenti che devono essere estratti, lavorati, assemblati, trasportati.
Quanto inquinamento, ma anche quanto sfruttamento di uomini, donne, risorse naturali sono stati necessari per farmi avere l’auto nuova nel garage di casa? Quanto costa in termini ambientali questa corsa a incentivare o addirittura costringere a sostituire anzitempo il parco macchine (e poi sarà la volta delle caldaie e di chissà cos’altro)? Questi numeri non interessano nessuno, non rientrano in nessun bilancio, in nessun conteggio di dare e avere?
Ancor peggio è immaginare un bilancio energetico ed ecologico dei troppi terreni agricoli progressivamente trasformati in aree edificabili e occupati da fabbricati o infrastrutture. Quanto inquinamento, quanta CO2, quante sostanze tossiche sono state sparse nell’aria, nell’acqua e nel terreno per ogni metro quadro coperto con cemento e asfalto? Quando vedo uno dei tanti capannoni che ci stanno progressivamente imbruttendo la vita, appesantendo le giornate e cancellando il paesaggio, devo mettere nel bilancio negativo dell’opera anche tutta l’anidride carbonica prodotta, l’energia consumata e gli elementi pericolosi per la salute dispersi nell’ambiente che sono stati necessari per realizzarla. Scavatori, camion, inerti, cemento, acciaio, vetro, plastiche durante i lavori. E, una volta finita la fase di costruzione del fabbricato, magari destinato a starsene vuoto con l’unico scopo di reggere il cartello vendesi/affittasi, resta un terreno cancellato per sempre, con tutte le conseguenze nel bilancio della CO2, della produzione di alimenti e del paesaggio.
Un terreno agricolo utilizzato con le normali colture erbacee o arboree, oltre a darci da mangiare e rallegrarci la vista, consuma anidride carbonica attraverso la fotosintesi dei vegetali, unico processo efficace, naturale ed economico in grado di contrastare l’eccessiva produzione di questo composto derivante da combustioni, fermentazioni e respirazione. Quando mi prendo cura di campi, prati, boschi, orto, giardino, frutteto sto quindi facendo qualcosa di concreto e duraturo per l’equilibrio ambientale. Un rituale che, ripetendosi anno dopo anno contribuisce davvero a ridurre la percentuale di gas serra nell’aria, che è, a mio giudizio, il vero “cuore” del problema, l’ago della bilancia da cui dipenderà il futuro nostro e del pianeta. Siccità, alluvioni, tempeste, grandinate sono causate anche dall’eccesso di anidride carbonica e i vegetali, spontanei e coltivati, sono l’unico antidoto efficace a questo squilibrio.
Asfalto e cemento cancellano questa voce positiva nel risicato bilancio ambientale e lo fanno per sempre. Per questo, prima di coprire altri terreni agricoli con manufatti di qualsiasi genere bisognerebbe tener conto anche di questi numeri davvero pesanti e importanti, invece di fingersi ambientalisti sfornando balzani provvedimenti che appesantiscono l’esistenza ai cittadini senza minimamente migliorare la qualità della vita.
Se lo spreco di mezzi, materiali e cose è un male, lo spreco di terreni è un crimine contro l’umanità presente e futura e tutti noi cittadini dovremmo controllare con attenzione politici e amministratori che deleghiamo a rappresentarci, chiedendo loro conto, in primo luogo, di questo aspetto. Politici e amministratori passeranno, noi passeremo, l’aria più o meno pura che respiriamo si rinnova in continuazione, l’acqua si purifica, ma un terreno agricolo cancellato è una perdita irreversibile: una scelta, quindi, da ponderare con la massima attenzione.
In Italia il suolo naturale con buone potenzialità agricole (poco e prezioso, anche per la conformazione geografica di una penisola in parte montuosa e densamente popolata) sta sparendo da decenni al folle ritmo di oltre 16 mila giornate piemontesi all’anno. Nel 2020, nonostante il Covid abbiamo perso più di 50 chilometri quadrati di terreno, con la ripresa dei primi tre mesi del 2021 sono state autorizzate costruzioni per 4 milioni di metri quadri (e ogni metro quadro di costruzioni si porta dietro il suo corteo di asfalto per strade, parcheggi, etc.)
In questa dissennata corsa alla distruzione dell’ambiente e al consumo di suolo agricolo il nostro amato Piemonte si è distinto in negativo: nel biennio 2019-20 solo Lombardia, Veneto e Puglia hanno fatto peggio di noi, quasi l’8% del consumo di suolo italiano è stato in casa nostra.
Su La Guida della scorsa settimana, l’articolo di apertura parla proprio di tre progetti che interessano aree vicine a Cuneo e Fossano, sacrificando altre settecento giornate piemontesi di buon terreno per capannoni e superfici destinati a grandi imprese di logistica.
Un settore che sta dilagando e devastando tutto il nord Italia.
La pianificazione ambientale e la programmazione urbanistica sono di competenza delle Regioni, così come la tutela del paesaggio. Tutti abbiamo sotto gli occhi il risultato di decenni di gestione attenta più agli interessi economici immediati che al bene comune e guardiamo con molta preoccupazione agli sviluppi futuri dei grandi progetti di logistica che devasterebbero ulteriormente un territorio – il nostro – già gravemente compromesso.
Anche per questo i provvedimenti regionali che colpiscono i vecchi automezzi mi ricordano la vecchia, ma sempre attuale immagine evangelica della pagliuzza e della trave.
Pubblicato su La Guida del 14-10-021