Parlare di parole 7: gemelli diversi

Una parola non vale mai l’altra: quando parliamo, scriviamo o ascoltiamo dobbiamo tenerlo sempre presente.
Ogni singolo sostantivo o aggettivo che usiamo produce e veicola una sensazione, che può essere positiva o negativa, può farci piacere o farci paura, tranquillizzarci o disgustarci. Le parole hanno potere sul nostro inconscio, quasi come se ognuna emanasse un suo particolare odore, piacevole o sgradevole: un profumo o una puzza. Chi gestisce la comunicazione a qualsiasi livello, commerciale, economico o politico, lo sa bene e usa i termini adatti per ottenere l’effetto che desidera e orientare le nostre scelte. Noi non ce ne accorgiamo neppure, ma spesso riescono a condizionarci al punto da farci fare quello che vogliono loro con la convinzione di star facendo quello che vogliamo noi.
Tutti ci sentiamo oppressi dalle infinite complicazioni dell’esistenza e tutti sogniamo una vita più semplice e tranquilla. Niente di meglio, allora, che battezzare una legge col nome di “decreto semplificazione”. Poco importa che poi le norme proposte semplifichino le procedure per appalti e lavori pubblici, col bel risultato di dare il via libera alle “grandi opere” e favorire i soliti speculatori, e magari, fra nuove multe e nuovi controlli, finiscano invece di complicare l’esistenza ai comuni mortali. L’ascoltatore o il lettore poco attento si ferma a quella parolina, “semplificazione” e distratto dal buon odore della confezione non pensa di scartarla per controllare il contenuto. Lo stesso vale per altre parole percepite come positive, come sicurezza, ambiente, progresso, occupazione, cultura, usate a volte per etichettare norme o proposte che ben poco hanno a che fare col termine sbandierato.
In molti casi basta scegliere una parola al posto di un’altra, usando uno dei tanti gemelli diversi, i falsi sinonimi che sembrano voler dire la stessa cosa, ma hanno significati e inducono reazioni del tutto diverse. La volta scorsa ho accennato alla coppia critica/polemica, ma l’elenco dei falsi gemelli è molto lungo: l’unità non è uniformità, la fantasia non è immaginazione, l’indignazione non ha nulla a che vedere con la rabbia, una cosa semplice non è detto che sia facile.
Il numero dei falsi sinonimi è infinito e conoscere il significato vero di ogni parola che usiamo è importante, non solo per non farci condizionare da questi giochetti e conservare autonomia di giudizio, ma anche per usare bene la lingua. Essere chiari è infatti il presupposto per essere onesti.
Unità e uniformità hanno radice comune, ma significato molto diverso e non devono essere confuse. L’unità rispetta la diversità e apprezza la varietà, mentre l’uniformità le cancella; l’unità produce concordia e buoni risultati, mentre l’uniformità è negazione della libertà, delle possibilità espressive, della bellezza, dell’amore. Due falsi sinonimi che esprimono due concetti fra loro tanto incompatibili da diventare quasi opposti.
Del binomio fantasia/immaginazione avevo già avuto occasione di parlare in precedenti chiacchierate. Molti guai dei giorni nostri derivano proprio dal fatto che sovente chi ha responsabilità di prendere decisioni ha troppa fantasia e nessuna immaginazione, non riesce cioè a calarsi nei panni della gente comune che deve subire, oltre al peso di una situazione già difficile, anche quello di provvedimenti fantasiosi e instabili.
Anche rabbia e indignazione non sono termini equivalenti. La prima è spesso sterile, finisce per far danni e produce solo altra rabbia. Lo ricorda anche Giacomo nella sua lettera (uno dei testi canonici meno conosciuti): “la rabbia dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio”. L’indignazione è invece sacrosanta, deve essere fattiva e può sfociare in prese di posizione anche decise. L’indignazione repressa e non manifestata con parole, fatti e prese di posizione si trasforma spesso in sterile rabbia. In Italia e in altre parti del mondo diversi movimenti e partiti politici sono nati dalla rabbia e ognuno può serenamente valutare se abbiano prodotto qualcosa di buono o solo aumentato il tasso di confusione, incompetenza e litigiosità.
Per capire la differenza fra facile e semplice basta leggere due versetti consecutivi del vangelo di Matteo, il 12 e il 13 del capitolo 7. Nel primo si dice che trattare gli altri come si vorrebbe esser trattati da loro è tutta la Legge e i Profeti: una ricetta semplicissima. Subito dopo però c’è l’avvertimento che applicarla è tutt’altro che facile: sforzatevi di entrare dalla porta stretta. All’epoca, gli ebrei osservanti vivevano oppressi da norme molto dettagliate sugli aspetti minuti della vita quotidiana (un po’ come noi in questi mesi di pandemia). Cristo fa piazza pulita di tutte le infinite complicazioni che si erano stratificate nei secoli e le sostituisce con un’unica formuletta semplicissima. Ma immediatamente dopo ci insegna a non far confusione fra i due aggettivi: la semplicità è sempre la cosa più difficile.
La semplicità di vita è anche un obiettivo, un modo per star bene e una via per raggiungere la serenità. Purtroppo spesso la società attuale sembra far di tutto per complicarci l’esistenza e per rendere complesse anche cose che un tempo erano molto più semplici. Dobbiamo rivendicare il diritto alla semplicità e nella vita quotidiana attuare scelte strategiche per semplificarci l’esistenza, pur sapendo che non è affatto facile. Più una società è complicata e pretende di regolare ogni aspetto della vita (anche con le più nobili scuse) e meno è democratica.
E’ però necessario far molta attenzione a questa parola quando diventa un’etichetta politica o commerciale usata a sproposito, come ricordavo prima, o quando scade nel semplicismo, cioè nella pretesa di trovare soluzioni facili, indolori e immediate per problemi complessi. La tentazione di trovare scorciatoie e ricette semplicistiche per risolvere situazioni difficili è allettante e viene spacciata sovente da forze politiche che ne approfittano per ricavarne una provvisoria popolarità, destinata ad afflosciarsi appena messa alla prova dei fatti.
Per finire questa breve panoramica di gemelli diversi, vorrei citare due termini che, al contrario dei precedenti, usiamo in genere in modo proprio, differenziandoli correttamente, ma che hanno etimologia simile. Invenzione e scoperta in italiano hanno significati differenti: si scopre qualcosa che c’è già, come l’America, e si inventa qualcosa che in quel momento non c’era ancora, come la ruota o il computer.
È curioso che le due parole abbiano però una base linguistica comune: invenire in latino significa trovare, concetto molto simile a scoprire. Forse per farci capire che quelle che noi consideriamo invenzioni, frutto del nostro ingegno, sono in realtà semplici scoperte: si inventa sempre il già inventato, si scrive il già scritto, si dice il già detto.
Ma vale lo stesso la pena continuare, nonostante tutto, a inventare, a parlare e a scrivere.

Pubblicato su La Guida del 4-3-021