Coltivare la Terra 1

Coltivare è un verbo che mi piace, sia quando ha per oggetto la terra, sia nei significati meno diretti e traslati. Si coltivano le amicizie, si coltiva una passione, si coltivano abilità e capacità di mano e di mente, si può coltivare anche la conoscenza, il dubbio, la serenità, la pace. Nella parola è contenuta azione e riflessione, speranza e fiducia, capacità di progettazione e di attesa, fatica e gioia. È verbo transitivo, quindi concentra l’azione su un oggetto esterno e obbliga a spostare l’attenzione fuori da sé.
Coltivare è anche verbo che ci regala gioia. È curioso che cinesi e giapponesi (due civiltà molto diverse, che noi a volte accomuniamo nella denominazione d’origine generica di estremo oriente) abbiano due proverbi quasi uguali in cui si spiega la ricetta pratica della felicità: “se vuoi essere felice per un’ora…per tre giorni… per una settimana…”. Sul breve termine i due popoli hanno qualche divergenza, ma entrambi sono concordi nel concludere che “se vuoi essere felice per tutta la vita coltiva un giardino”.
Felicità è parola impegnativa e la sostituirei con la più dimessa e abbordabile serenità e cambierei anche il termine giardino con il più concreto “orto”, ma sono convinto che quella proposta dai due popoli orientali sia una ricetta valida e saggia.
Coltivare la terra è un modo straordinario per vivere bene, per mantenere un buon equilibrio, per conservare in forma il fisico e la mente e per sentirsi concretamente parte di un tutto che ci avvolge, ci supera e ci comprende. Con le mani nella terra, quando trapiantiamo una piantina o gettiamo un seme, ci rendiamo conto di essere impastati della stessa materia, di essere anche noi terra attraversata da un soffio vitale, un alito ricevuto in prestito d’uso. La terra ci collega con chi era prima di noi e con chi verrà dopo, ci fa entrare concretamente nella storia e nella geografia e ci obbliga al ciclo delle stagioni, al crescere, maturare, dare frutti, appassire. Ci aiuta a dare un senso alla nostra vita, a mettere insieme la dimensione concreta con quella intellettuale e spirituale, a usare mani, testa e cuore in modo armonico.
Il prodotto dei nostri piacevoli sforzi è la frutta e verdura che metteremo nel piatto, la legna che scalderà i nostri inverni, le fascine che cuoceranno il nostro pane quotidiano, il verde che allieterà e riposerà i nostri occhi. Ma, col passare del tempo, ci accorgeremo che tutte queste cose, pur molto importanti, non sono che un piccolo acconto di quello che in realtà ci ha regalato la passione del coltivare la terra.
Coltivare è attività sacra, materna, come fare dei figli. E’ gesto di creazione, delega del Creatore. Obbliga allo stupore ammirato di fronte al ripetersi del miracolo della vita.
In Marco 4 si legge quella brevissima, strana e poco conosciuta parabola del seme che cresce da solo. Un uomo getta il seme per terra, poi se ne va e torna a casa a dormire. Intanto il seme nasce, la piantina germoglia “ed egli non sa come”. Fino al tempo della falce e del raccolto. E’ l’invito a non sopravvalutare la nostra importanza, non pensare di essere noi le cause del divenire. L’uomo che coltiva la terra si rende conto che non è lui l’artefice del miracolo, è semplice intermediario, collaboratore necessario ma spesso inconsapevole di una forza superiore. Mentre la piantina cresceva, lui era a casa a dormire.
Quando assistiamo alla nascita di qualcosa di bello e di buono, davanti al favo di miele, alla spiga rigonfia, a un giovane frassino, al grappolo d’uva, all’agnello o al capretto appena nati, la nostra scienza, per quanto utile, approfondita e necessaria, non è più sufficiente: non “sappiamo come”. E maggiore è la nostra conoscenza teorica e pratica delle diverse discipline scientifiche che ci aiutano a capire i nostri rapporti con la terra (l’agronomia, la biologia, la geologia, la chimica, la zoologia), più grande diventa la consapevolezza di quanto ancora ci sfugga del miracolo della vita che si ripete ogni anno nei nostri orti, giardini, prati, boschi e frutteti. E di riflesso, anche nel nostro corpo e nella nostra mente.
Coltivare la terra, in fondo, significa essere parte attiva di questo meraviglioso ciclo che ci comprende, ci unisce e ci supera, ci lega ai tempi, ai luoghi e alle persone e nello stesso tempo ci libera dalle ansie e dalle turbolenze della quotidianità, ci obbliga alla pazienza e all’attesa, ci rasserena la mente e fortifica il corpo.
E ci regala pure, a tempo debito, cibo, calore e vita sociale.

Pubblicato su La Guida dell’11-3-021