Coltivare la terra 2: unione indissolubile di pratica e teoria. La cipolla

Agricoltura è parola che mette insieme in modo indivisibile pratica e teoria. È infatti composta da due termini incastrati fra loro e lo stesso sostantivo “coltura” è troppo simile a “cultura” per non indicare chiaramente che, in fondo, si tratta della stessa cosa. In nessun altro campo il confine fra il sapere e il saper fare è così precario come nella pratica agricola. Chi ci ha preceduto nei secoli passati a coltivare quella stessa terra che oggi tocca a noi lavorare aveva di certo più competenze pratiche e meno conoscenze teoriche rispetto a noi, ultimi arrivati (e mi affascina sempre pensare a questa lunga catena di cui noi siamo semplici anelli, immaginare le generazioni che ci hanno preceduto nella fatica del rovesciare le stesse zolle su questi piccoli appezzamenti già censiti negli antichi Catasti).
Arrivare alla teoria senza aver fatto prima pratica è uno dei guai delle nostre generazioni e porta spesso a conseguenze disastrose, soprattutto se si sopravvaluta il bagaglio di conoscenze a scapito delle competenze. Si crede, cioè di essere in grado di capire e operare perché si ha un repertorio di nozioni scollegate dalla pratica, e in questo modo si possono fare danni seri. Bisogna quindi fare il cammino a ritroso, costruirsi con pazienza una solida esperienza manuale e concreta per arrivare a mettere insieme il sapere col saper fare, ritrovando quell’unità indissolubile contenuta nel termine agricoltura.
Parlo per esperienza personale: dopo gli studi di agraria ho capito che dovevo iniziare da capo e imparare con le mani e col corpo quello che si era fermato alla testa. È stato l’inizio di un lungo percorso, che dura tutt’ora, passato attraverso molte tappe, dall’allevamento di pecore e capre ai lavori del bosco, del fieno, dell’orto, del frutteto. I risultati sono quelli che sono, ma almeno ho acquisito la consapevolezza di quanto sia bello e difficile collaborare con la natura per prodursi il cibo quotidiano e di quanto sia fondamentale e non delegabile per ognuno provare a mettere a coltura un angolino di terra. E anche di quanto sia importante tenere insieme, in buona armonia, la sfera delle idee, dei concetti e dei pensieri con quella delle azioni concrete e delle capacità pratiche. I calli alle mani aiutano a pensare in modo più chiaro e, viceversa, buone conoscenze in campo biologico e una sana passione per la cultura danno direzione e scopo agli sforzi fisici.
Anche per questo vorrei alternare queste chiacchierate sulla filosofia dell’agricoltura con qualche annotazione più pratica. Vorrei, cioè, abbinare la concretezza di un ortaggio o di una specifica operazione colturale a queste premesse teoriche e al piacere di farsi portare a spasso dalle parole. Un modo per stare coi piedi per terra, tanto per stare in tema, e farsi perdonare l’eccesso di divagazioni; o viceversa, l’aridità dell’informazione tecnica o scientifica.
Incomincio con un ortaggio che si adatta alla stagione e che amo molto: la cipolla.

Appena il terreno si asciuga quel tanto che basta per poterlo lavorare senza far danni è ora di pensare alla semina delle cipolle. Come per l’aglio, in molti casi è possibile e consigliabile la semina autunnale, ma, se si sceglie quella primaverile, occorre far presto e approfittare dei momenti di bel tempo per non rimandare troppo l’operazione.
Il detto piemontese “el bun ajé semna l’aj a fervé” ricorda proprio quest’urgenza di sfruttare i primi caldi stagionali, se non è stata possibile o opportuna la semina autunnale.
Le liliacee sono infatti molto sensibili al fotoperiodo, e crescono bene solo fin quando le giornate si allungano. Bisogna quindi approfittare dei mesi primaverili perché dopo il solstizio di giugno la pianta cessa di crescere e inizia la fase di maturazione ed essiccamento: se seminata troppo tardi darà quindi un prodotto scarso e bulbi piccolini. La cipolla è pianta biennale, cioè ha ciclo che durerebbe due anni: nel primo accumula riserve nel bulbo, in modo da poter andare a fiore nella stagione successiva. A noi interessano proprio i principi nutritivi accumulati nel primo anno e raccogliamo i bulbi, che si conservano a lungo se ben essiccati. Le trecce di cipolle appese sui balconi e nei luoghi aerati erano un tempo una costante nei nostri paesi, una sorta di decoro urbano molto migliore di quelli proposti o imposti dalle riqualificazioni, a volte maldestre o artificiose, dei nostri centri storici.
La cipolla si può coltivare partendo dal seme, dal piantino o da piccoli bulbi “da semina”. Quest’ultimo è il sistema più semplice e comodo. Chi li produce per la vendita sfrutta il fatto che la pianta “monta”, cioè fa crescere lo stelo fiorale, solo se ha riserve sufficienti e quindi semina tardi e fitto, in modo da ottenere bulbi molto piccoli che messi a dimora daranno una bella cipolla all’epoca del raccolto, senza andare a seme.
Partendo dal bulbetto, la coltivazione è semplice e non richiede cure particolari, a parte le piccole sarchiature per tenere a bada le erbacce. Non è il caso neppure di bagnare troppo, anzi, la cipolla rifugge dai terreni umidi e pesanti e sopporta meglio la siccità del ristagno. Una pianta ideale, quindi, per chi non ha esperienza e vuole iniziare a prodursi il cibo che mette nel piatto.
La cipolla è un ortaggio che passa quasi inosservato, semplice ed umile, ma come capita sovente, ha doti inversamente proporzionali al quoziente di appariscenza ed è cibo basilare per l’alimentazione quotidiana e per mantenersi in buona salute. Si sposa bene con tutte le insalate, è ricca di sali minerali e vitamine ed era apprezzata fin dall’antichità per le virtù diuretiche e anti-infettive (cosa che di questi tempi non guasta). E’ citata negli scritti di Plinio il Vecchio e di Dioscoride, autore del De materia medica, conterraneo e quasi contemporaneo di San Paolo.
È sempre stata anche cibo dei poveri, che dovevano accontentarsi di “mangé pan e siule”, e forse proprio per questo non ne troviamo molte tracce negli archivi e nelle relazioni dei secoli passati. Le piccole coltivazioni a uso famigliare sfuggivano all’attenzione del fisco sabaudo e perfino alla pignoleria dei burocrati di allora. Una delle sue doti pare essere quella di passare inosservata e anche il Brandizzo, che nella sua Relazione settecentesca si dilunga su ogni possibile coltivazione del cuneese non fa cenno al prezioso bulbo.
Un ortaggio concreto, umile, utile e semplice da coltivare. Un buon modo per iniziare l’annata agraria nell’orto di casa.

Pubblicato su La Guida del 18-3-021