L’eredità del passato

Il termine “passato” ha diverse particolarità, linguistiche e sostanziali. Il passato è un sostantivo che deriva dal participio passato del verbo passare (sembra quasi un gioco di parole…) e indica quindi qualcosa che è trascorso, ci ha superati lasciandoci a bordo strada. Ma il passato è anche, in cucina, un modo di preparare i pomodori e le verdure, separando il succo dalle bucce, estraendo quindi il “buono” dal frutto e conservando gusto e qualità.
Per una delle tante belle stranezze della lingua italiana, il passato è quindi, contemporaneamente, qualcosa che ci sorpassa e qualcosa che ci rimane, qualcosa che ci sfugge e ci abbandona e qualcosa che ci regala sapore e gusto concentrato e durevole.
Questa molteplice valenza, dovuta forse a una casuale sovrapposizione di significati fra il campo esistenziale e quello culinario ci permette di intravvedere qualche potenzialità e anche qualche aspetto consolatorio di una parola che spesso associamo a pensieri negativi e tristi. Nel passato possiamo vedere l’ineluttabilità del tempo che ci sfugge di mano oppure la bellezza e la meraviglia di tutto quello che ci ha regalato e lasciato in eredità. Possiamo considerarlo un qualcosa perso per sempre, un “vuoto a perdere”, oppure una ricchezza che si accumula e cresce col passare dei giorni, un capitale che frutta buoni interessi e riflette le sue bellezze nell’attimo presente. Perché è vero che possiamo vivere solo il presente, ma è altrettanto vero che per viverlo pienamente e assaporarlo a fondo dobbiamo appoggiarlo bene sul passato, dargli radici profonde capaci di sostenerci, nutrirci e darci stabilità. In fondo, sta a noi colorare di gioia e speranza oppure di tristezza e ansia i nostri giorni: siamo noi stessi gli artefici di buona parte della qualità della nostra vita.
Il passato non riguarda solo la nostra personale esistenza, ma diventa termine più ampio che comprende genitori, nonni, antenati, conoscenti, compaesani e arriva a sfiorare la storia e a far parte della nostra geografia, personale e condivisa. E l’aggettivo “condiviso” è forse il più importante, quello che più dà valore anche alla nostra dimensione “privata”. Aver condiviso gli anni dell’infanzia, quelli delle scuole elementari, delle superiori, una passione politica, sportiva, sociale (avere, insomma, un qualche passato comune) ci lega in modo irreversibile per tutta la vita. Allora ci rendiamo conto di non essere soli, di far parte di un grande fiume che scorre e assumono consistenza valori conservati per secoli da chi ci ha preceduto, trasmessi anche a noi con molto esempio e quasi nessuna parola: onestà, laboriosità, pazienza, compassione, giustizia, rispetto, altruismo, coraggio. Termini che rischiano di restare astratti se non assumono i volti, le mani e i gesti di persone che ci hanno in qualche modo accompagnato.
Il passato non è quindi qualcosa che ci sorpassa e ci lascia soli e disorientati a bordo strada, non è la perdita irreparabile della giovinezza, della forza, delle prospettive, ma è, proprio come capita con i pomodori, un concentrato di sapore, gusto e sostanza.
Il passato è anche la tranquillità e la soddisfazione per il “fieno in cascina”, per le cose fatte e compiute, la certezza che ci sarà accreditato anche il minimo “bicchier d’acqua donato”, come ci rassicura l’evangelista Matteo, e la speranza del perdono per gli sbagli e le colpe.
Il passato è un’eredità e come ogni eredità è insieme un regalo e un impegno. Ci obbliga alla gratitudine per quello che, senza merito, abbiamo ricevuto in dono e ci impegna a mantenerlo, incrementarlo e trasmetterlo a nostra volta a chi ci seguirà.
Penso alla terra, che ci arriva dal lavoro di generazioni di coltivatori che senza aiuti meccanici e tecnologici l’hanno resa fertile e migliorata. Penso alla libertà, alla pace e alla democrazia per cui i nostri padri hanno combattuto e sofferto e che oggi stiamo lasciandoci scappare di mano, giorno dopo giorno, senza reagire in modo calmo ma deciso ed efficace (anche solo usando bene la possibilità di votare e scegliendo con attenzione chi deleghiamo a rappresentarci).
Guardare al passato con occhi obiettivi è impresa difficile, se non impossibile. In fondo, il passato è parte di noi, ci ha in qualche modo costruiti e condizionati. Possiamo e dobbiamo, però, evitare gli opposti sbagli di guardarlo con occhiali rosa o lenti scure, di mitizzarlo e farne una impraticabile via di fuga dalle difficoltà del presente o di vederne solo brutture, arretratezza e limiti.
Quando penso al mio passato, personale e condiviso, alla fortuna capitata a noi, generazione nata nel dopoguerra, agli anni dell’infanzia e della scuola, al mio paese di allora, alle valli ancora popolate e coltivate non posso che ringraziare. “La mia sorte è caduta su luoghi deliziosi” diceva il salmista, trovando le parole migliori. Inutile aggiungerne altre.

Pubblicato su La Guida del 17 ottobre 024