Parlare di parole 5: la capacità di ascoltare

Nella comunicazione non c’è, come si potrebbe pensare, un soggetto attivo (che parla) e uno passivo (che ascolta) ma due soggetti entrambi attivi. La stessa cosa vale anche per il rapporto fra chi scrive e chi legge, chi suona e chi sente la musica. L’ascolto è sempre “un’attività”, cioè richiede una partecipazione cosciente e attenta.
I soggetti della comunicazione sono due, e come per una corrente elettrica, il flusso avviene solo se entrambi sono attivi e collegati.
Noi siamo portati a sopravvalutare l’importanza di chi parla o scrive e sottostimare la funzione di chi ascolta o legge, ma nella realtà la riuscita della comunicazione dipende in gran parte dalla disponibilità, attenzione e concentrazione di chi la riceve.
Chiunque abbia fatto l’insegnante sa bene che l’efficacia di una lezione dipende dalla sintonia che si crea nella classe, dal fatto di trasformare il monologo in dialogo e dall’impegno di tutte le parti in causa. La fatica che deve fare chi ascolta e cerca di imparare e assimilare nuovi concetti può essere ben superiore a quella di chi espone cose che già sa e magari ha ripetuto più volte.
Ascolto è parola impegnativa, nel senso che richiede impegno. Invece, in genere ci prepariamo e alleniamo per parlare o scrivere e mai per ascoltare o leggere. Quand’ero ragazzo sentivo spesso ripetere, nel piemontese di allora, che ci sarà ben qualche motivo, se ci hanno fatti con due orecchie e una sola bocca, e la frase, pur nella sua semplicità, conserva un significato tutt’altro che banale. Dobbiamo fare attenzione a parlare, ma dobbiamo farne almeno altrettanta ad ascoltare.
La prima regola dell’ascolto è evidentemente quella di prestare attenzione, cioè di ascoltare “per ascoltare”, non per ribattere, rispondere, criticare. Molto spesso nei dibattiti, nelle assemblee, nelle discussioni non si ascolta veramente l’interlocutore, se non quel tanto che basta per mettere un’etichetta al suo discorso e magari cestinarlo a priori. Si usa il tempo dell’ascolto non per sentire e capire, ma per prepararsi una risposta, per giudicare, per scartare.
Ascoltare è verbo che non si riferisce solo al senso dell’udito, ma anche a tutti gli altri. La comunicazione avviene infatti attraverso molti canali, e allora dobbiamo “ascoltare” anche il tono di voce, i gesti, le espressioni, la mimica. Mi sono reso conto di quanto siano importanti questi aspetti del comunicare un paio d’anni fa, quando mi è capitata una paralisi facciale, per fortuna risolta in tempi non troppo lunghi. Con la faccia bloccata non riuscivo più a relazionarmi con amici e conoscenti e ho capito che noi parliamo soprattutto con l’espressione del viso, col sorriso, con lo sguardo.
Saper ascoltare e saper parlare (e la stessa cosa vale per il leggere e lo scrivere) è in fondo una questione di mettersi in sintonia, di cercare una lunghezza d’onda comune con cui interagire. La radio ci fornisce un buon esempio per capire quanto sia importante cercare e trovare una frequenza comune per far avvenire, appunto, la “comunicazione”. Se l’emittente trasmette con una certa frequenza, il mio apparecchio deve sintonizzarsi su quella lunghezza d’onda per riceverlo. Posso comprare la radio migliore del mondo, ma se non l’accendo e non la sintonizzo, non sentirò nulla. Anche fra chi scrive e chi legge deve crearsi questa “sintonia” perché avvenga il miracolo dell’ascolto e del passaggio di emozioni, idee, concetti. Forse la stessa cosa deve avvenire nel confronto del trascendente e tocca a noi cercare la frequenza per captarne l’emissione.
L’ascolto è fondamentale per evitare che i confronti degenerino in conflitti, in contrasti violenti o in vere e proprie guerre. Il confronto è sempre necessario e positivo, ma anche la parola conflitto non è di per sé così negativa. E in ogni caso, è difficilmente evitabile: l’alternativa è far finta di niente, non prendere posizione, sottrarsi all’incontro. Strategia buona per la nostra tranquillità, ma non sempre giusta e produttiva.
Noi non amiamo le diversità, è insito nella natura umana questo senso di conservazione che ci spinge a diffidare da chi è diverso da noi. Però possiamo cercarne e scoprirne i punti comuni. Le nostre identità hanno infinite facce che si sovrappongono, si intrecciano e non si escludono, ma spesso ci limitiamo a considerare nell’altro una sola dimensione (quella che abbiamo etichettato dopo la prima frettolosa impressione) e questo ci porta inevitabilmente all’incomprensione e al conflitto. Più dimensioni dell’altro imparo a conoscere, maggiori saranno i punti in comune che posso scoprire. Queste sovrapposizioni di dimensioni possono aiutarci a mantenere buoni rapporti senza far troppa fatica, amando semplicemente nell’altro quegli aspetti che inevitabilmente avremo in comune. Ma per questo è necessario saperlo ascoltare senza staccare il contatto dopo le prime parole e senza mettergli un’etichetta non appena apre bocca. In ebraico la parola “muto” e la parola “violenza” hanno la stessa radice, quasi a indicare che la violenza è sempre l’atto di rendere muto l’altro, di non lasciarlo parlare o non ascoltarlo.
Altro aspetto che ritengo fondamentale per l’ascolto è quello del silenzio. Purtroppo viviamo in un mondo che abbiamo reso rumoroso, sia nel senso proprio del termine, riferito al rumore fisico, che in quello figurato. Siamo immersi in un perenne rumore di fondo che ci appesantisce la vita, ci distoglie dal pensare, ci annebbia i riflessi, ci impedisce di ascoltare. Siamo sommersi ogni giorno da un mare di parole vaganti, spesso inutili, ingombranti o vuote e non è facile pescare, in mezzo a questa confusione, quelle poche che ci servono davvero. La parola, così come la musica, risalta e risuona solo nel silenzio, dobbiamo fargli spazio, essere capaci di accoglierla. Come i colori hanno bisogno del bianco della tela di sfondo per formare un dipinto o l’inchiostro vuole una pagina vuota per trasformarsi in scrittura, così anche le parole scambiate hanno bisogno del silenzio per essere accolte e ascoltate davvero.
È bene ricordarsi che non sempre è necessario parlare. A questo proposito potrei citare la famosa frase di Wittgenstein “su ciò di cui non si è in grado di parlare si deve tacere”. Un buon modo per finire questa chiacchierata dandosi, come si dice, la zappa sui piedi, visto che parlo o scrivo quasi sempre su argomenti di cui ho ben poca competenza.
(continua)

Pubblicato su La Guida del 18-2-021