Spiccioli d’economia 1 L’economia al servizio dell’uomo

Thomas Carlyle, studioso scozzese dell’Ottocento, aveva definito l’economia “la scienza triste”, mettendo insieme due concetti (a mio giudizio) sbagliati in un’unica frase.
Tristi, o almeno deprimenti, possono essere alcuni economisti, a giudicare dalle facce sempre ingrugnite e dal colorito che si confonde col grigio della giacca d’ordinanza.
Triste, o almeno preoccupante, è l’ombra lunga della finanza che si mangia, con la complicità di banche e politici, l’economia reale, quella fatta di uomini, donne, lavoro, progetti, sforzi, impegno.
Triste, o piuttosto sconfortante è la “deriva matematica” che ha cacciato la ricerca economica nel vicolo cieco di teorie sempre più complesse, sofisticate e inutili, lontane dalla vita reale e incapaci di risolvere i problemi concreti.
Ma l’economia non è né allegra né triste: è necessaria. È una delle tante facce del vivere insieme. E non è neppure una scienza, se vogliamo essere pignoli, anche se quasi tutti i manuali scolastici la definiscono tale. La parola “scienza”, dopo Galileo, è meglio lasciarla ad altre discipline, come la fisica o la chimica, in cui solide basi sperimentali reggono leggi incontestabili o almeno razionali.
Una larga fetta del sapere economico si basa invece su costruzioni teoriche che esaminano i variabili comportamenti dell’uomo ed è condizionata dalle “opinioni” del pensatore di turno. Così Smith costruisce la robusta piramide del liberismo, Ricardo la perfeziona aggiungendo la sua bella teoria dei costi comparati, Marx smonta il tutto e usa gli stessi mattoncini per un edificio completamente diverso per dare a ognuno secondo i suoi bisogni, Keynes, un secolo dopo, rimette mano al progetto ridisegnando tutta la struttura per cercare di mettere d’accordo società dei consumi e stato sociale.
Un antesignano del gioco del Lego o del Meccano, in cui i principi scientifici della matematica finanziaria, della statistica e di altre scienze sono mescolati a frammenti ideologici e filosofici che ogni “economista” tira fuori dal suo personale cappello a cilindro.
Niente di male, in questa miscela di solido e liquido, anzi i due componenti possono creare un amalgama interessante e nuovo. L’importante è però sapere che ci si muove per larga parte sul terreno inconsistente dell’opinabile e non sulla solida roccia della certezza. Il grave è invece che ogni economista si pretende scienziato e spaccia la sua ricetta per verità incontestabile. L’onestà intellettuale è merce rara e sono ancor più rare le persone, soprattutto pubbliche, che ammettono la propria ignoranza, l’insicurezza, i dubbi. Difficilmente il medico chiamato al capezzale del malato confesserà di non riuscire a fare una diagnosi e trovare una cura, e così nel campo dell’economia guru, tecnici e professoroni si trasformano in spacciatori di certezze, nascondendo fragili teorie e personalissime opinioni dietro sfilze di numeri e parole incomprensibili.
Il primo passo per avvicinarsi alla comprensione dell’economia è proprio capire i suoi scopi e i suoi limiti. È un settore in cui non ci sono verità rivelate, sacre scritture o dogmi e chi sostiene il contrario sta semplicemente cercando di fregarti. L’economia, per definizione, è un mondo pieno di interessi e nel suo sottobosco si nascondono frotte di persone o addirittura istituzioni “interessate”.
Se contrabbando le mie personali costruzioni mentali come “scienza” posso far credere che abbiano il peso della necessità inderogabile e proporre (anzi, imporre) le mie ricette come le uniche in grado di risolvere situazioni difficili. Insomma, la classica cura dolorosa ma necessaria, di cui abbiamo tutti esperienza anche recente.
Oltre a non essere una “scienza” nel senso proprio del termine, l’economia ha un altro grande limite strutturale che è insito nel suo stesso obiettivo: non si interessa dei fini (che dà quasi per scontati), ma solo dei mezzi per raggiungerli. In altre parole, non si preoccupa del fatto che tu voglia andare in America, sulla Luna o semplicemente a Passatore. Si interessa dei mezzi migliori per arrivarci.
Non è chimica o fisica, ma non è neppure quindi teologia o filosofia, non fornisce risposte alle nostre domande, non risolve i problemi esistenziali.
È un gradino sotto. Le sue verità sono sempre relative.
Bisogna esserne coscienti. Scambiare i mezzi con i fini è uno degli errori più frequenti e gravi che ripetiamo spesso, in tanti settori e occasioni. Ed è fonte di innumerevoli guai. La scuola, lo sport, il lavoro, il denaro sono solo alcuni dei mezzi che spesso facciamo diventare fini, col risultato a volte di rovinarci l’esistenza.
Si tratta di un capovolgimento radicale di valori e di un discorso che ha ampiezza e profondità che va ben oltre il ristretto campo dell’economia, ma coinvolge l’intero piano dell’esistenza.
Quando Cristo ricorda che il sabato è stato fatto per l’uomo e non il contrario ci invita a non confondere piani e livelli molto diversi e a dare sempre la giusta priorità alla persona. Prendendo spunto dalle sue parole, potremmo dire che anche l’economia deve essere fatta per l’uomo, deve “servire” l’uomo. Spesso, purtroppo, capita esattamente l’opposto e uomini, donne, vecchi, bambini, animali, ambiente diventano schiavi dell’economia.

Pubblicato su La Guida del 30-11-017