Scrittorincittà: la scelta fra qualità e cuneesità

Non sono uno scrittore, anche se mi capita a volte di scrivere, e non amo le città, anche se a volte devo andarci. Non sono quindi la persona adatta per dire qualcosa riguardo a Scrittorincittà. Amo, però, i libri e qualsiasi forma di lettura, purché non obbligata e trovo terapeutica e vitale ogni forma di scrittura, purché non invadente.
Penso quindi che qualsiasi manifestazione che promuova lettura e scrittura sia importante e positiva. Credo anche che sia corretto far sentire il proprio apprezzamento a organizzatori e amministratori, quando combinano qualcosa di buono, così come è giusto esprimere contrarietà e opposizione per scelte e comportamenti che non riteniamo adeguati. Mi pare doveroso, quindi, prima di ogni altra considerazione, ringraziare di cuore tutte le persone, note e soprattutto ignote, che hanno permesso che, nel corso di molti anni, Scrittorincittà diventasse un evento seguito e radicato. Ormai quasi una bella “tradizione”.
Da cittadino nostalgico dei bei tempi in cui comuni ed enti pubblici vari non erano costretti a fare gli imprenditori, ma fornivano servizi gratuiti a parziale compenso delle tasse versate, mi dà un certo fastidio dover pagare un biglietto per sentire qualcuno che promuove un suo libro. Se mai fossi scrittore mi darebbe ancor più fastidio dover intrattenere un pubblico pagante: mi sentirei un po’ come l’attrazione del circo o il leone allo zoo. Ma queste sono considerazioni personali: in fondo, nessuno è obbligato ad andare a sentire l’autore del momento e può essere giusto che chi partecipa contribuisca ai costi notevoli di incontri di livello così elevato.
Il motivo di questa riflessione è un altro.
Mi è capitato per caso di leggere una lettera a un giornale in cui lo scrivente accusava gli organizzatori di snobbare gli autori locali e la conseguente risposta dell’assessore alla cultura che sosteneva che le scelte fatte guardavano solo “alla qualità e non alla cuneesità”.
A differenza dello scrivere, che permette il ripensamento, la parola sfuggita non si può richiamare indietro e credo che questo sia un problema per le persone che hanno un ruolo pubblico e sono stimolate a esprimersi continuamente su mille questioni. Spero che la frase infelice rientri nella categoria dei pensieri mal formulati perché, se così non fosse, la considerazione dell’assessore sarebbe doppiamente triste.
Se le scelte son state fatte solo in base alla qualità e non alla provenienza geografica e se nella quasi ventennale storia della manifestazione gli autori di casa non hanno quasi mai trovato spazi adeguati, significa che la qualità degli scrittori locali è ritenuta talmente bassa da renderli, in qualche modo, impresentabili, senza dover fare carte false per favorirli. Non fare preferenze è una cosa giusta, ma la precipitosa dichiarazione di onestà intellettuale dell’assessore,, oltre ad essere la classica excusatio non petita, si rivela un apprezzamento molto poco lusinghiero per chiunque abbia pubblicato negli ultimi anni con editori locali.
Forse una risposta formulata in fretta, senza troppo riflettere, un po’ la classica “tampa”, come diciamo in piemontese quando ci sfugge qualche parola inopportuna.
Visto che rientro anch’io nella categoria di chi ha scritto, sono persona poco adatta per intervenire sull’argomento. Mi sono permesso, tuttavia, di buttar giù queste righe perché penso che sia giusto riflettere serenamente insieme su una questione che non è marginale. Mi conforta anche pensare che, pur avendo scritto e pubblicato in passato, la mia attuale estraneità al settore possa sgombrare il campo da ipotesi di conflitto di interesse, recriminazioni o frustrazioni personali.
Considerare valido solo ciò che viene da lontano è una forma di provincialismo vecchia come il mondo e speculare all’altra aberrazione di chi trova buono solo ciò che è fatto in casa propria. Nessuno è profeta in patria e questo vale anche per gli scrittori, almeno finché non passano a miglior vita.
Non sono lontani gli anni in cui ci si vergognava di parlar occitano o piemontese o di provenire dalla campagna. O i tempi in cui si barattava la credenza in noce massiccio dei nonni con l’anonimo mobile in formica del supermercato, sicuri di aver fatto un buon affare. Fino a pochi decenni fa gli allevatori di Castelmagno erano costretti a far vita grama ingrassando vitelli altrui perché il loro formaggio non aveva mercato.
Ora pare che la pendola stia oscillando in senso opposto, almeno per i prodotti materiali. Per vino e tome, per non parlare dei tartufi, la “cuneesità” è diventata un valore aggiunto, anche perché si è creduto nelle potenzialità del settore e investito nel farlo conoscere. Senza paure o complessi di inferiorità.
Evidentemente, noi bugianèn siamo più adatti a far formaggi che a scrivere libri, oppure abbiamo imparato ad apprezzare e vendere i prodotti del territorio e non ancora quelli dell’inventiva letteraria. Alla Fiera di Alba non credo si sponsorizzi il tartufo nero di Norcia e nelle Langhe non si fa pubblicità ai vini di Borgogna. A Scrittorincittà, al contrario, sembra che pubblicare per editori di provincia sia sinonimo di qualità scadente, quasi una colpa. Io credo che una manifestazione che vuol essere radicata in una città debba invece valorizzare le espressioni locali e ritrovare l’orgoglio dell’appartenenza. Aprirsi al resto del mondo senza rinnegare le proprie radici.
La possibilità di convincere gli altri della bontà di un bene, materiale o culturale, parte infatti dalla consapevolezza della validità del prodotto. È anche una questione psicologica: se io per primo penso che quel che offro sia di bassa qualità, come traspare, purtroppo, dalle parole dell’assessore, difficilmente sarò efficace nel promuoverlo.
Mentre nel settore agricolo, artigianale e industriale abbiamo imparato, col tempo, ad essere consapevoli delle eccellenze del posto, per la cultura l’attributo “locale” pare sia ancora quasi un insulto o almeno una limitazione.
Un qualcosa che interessa, al più, i pochi compaesani e quindi non ha mercato.
E proprio la parola “mercato” mi sembra sia l’altro punto focale della questione.
L’economia di mercato ha invaso, oltre che le nostre vite, anche le nostre teste, scacciando o mettendo in secondo piano ogni altro aspetto. In base a questo assioma, uno scrittore è bravo perché vende molto. La qualità, di cui parla l’assessore, si misura in copie vendute, cioè in quantità. Ma qualità e quantità non necessariamente vanno d’accordo, a volte sono addirittura variabili inversamente proporzionali.
Questo, naturalmente, non comporta che uno scrittore che vende molto sia per forza un incapace, ma può significare che, a volte, si costruiscano libri (e magari pure autori) sulla base delle richieste di mercato. La letteratura commerciale americana, ma anche i gialli svedesi o norvegesi e anche certi libri italiani sembrano progettati a tavolino per seguire e nello stesso tempo condizionare i gusti del pubblico. Sono ben confezionati, magari anche di piacevole lettura, ma forse la qualità vera è ancora un’altra questione.
Anche per questo mi lascia perplesso l’assessore quando afferma che le scelte di autori e libri sono decise assieme alle case editrici, enti commerciali che hanno come scopo sociale di vendere il loro prodotto. È un po’ come andare a chiedere al salumiere se i suoi affettati sono buoni o se è meglio rifornirsi dal negozio di fronte.
E non mi pare neppure una buona idea quella di metterci una toppa pensando di affiancare in futuro alla manifestazione una sorta di appendice per gli autori del posto, come sembra “promettere” l’assessore alla fine della dichiarazione. Serie A e serie B, prima la qualità di quelli che vengono da fuori, poi il contentino per la gente di provincia. Un microfono, un posto sul palco e cinque minuti di notorietà non si negano a nessuno. Se l’idea è questa, lasuma perdi, verrebbe voglia di dire.
Per concludere, vorrei che queste mie considerazioni siano prese non come una critica o una contestazione, ma come un contributo per rendere ancora migliore una manifestazione che considero valida e che ha saputo far diventare Cuneo un riferimento importante per chi ama i libri. Poter incontrare autori noti e meno noti è interessante e istruttivo per tutti.
E a forza di sentire bravi scrittori magari finisce che anche noi cuneesi prima o poi impareremo a scrivere. Così chi organizza non sarà più costretto a fare pericolose scelte fra “qualità e cuneesità”.

Cervasca, 18 novembre 017 pubblicato su La Guida del 23-11-017