Andare per borgate 9

La casa rurale delle nostre valli era in genere di tipo unitario, cioè accoglieva sotto lo stesso tetto il ricovero per gli animali (stalla e fienile) e la parte abitativa (cucina e stanze).
La soluzione consentiva di non avere problemi gestionali in caso di forti nevicate e di massimizzare l’isolamento termico. La stalla, in genere con volta a botte, era sovente l’unico luogo caldo della casa, grazie al tepore animale e al sovrastante fienile, e serviva, oltre che allo scopo originario, da soggiorno, da laboratorio artigianale e da salone di ricevimento per le serate fra vicini, le vijà, momenti forti di socializzazione in tempi ancora fortunatamente privi di scatole parlanti, telenovelas e quiz a premi. Il tutto in spazi esigui, condivisi coi bovini di casa o con muli e asini di famiglia.
Il mulo o la mula erano l’equivalente animale della moderna trattrice, con il vantaggio delle quattro zampe motrici, molto più efficienti delle ruote sugli stretti sentieri di allora. L’asino era animale più modesto e rustico, costava e consumava meno al prezzo, però, di una minor capacità di carico e di trazione. Con paragone meccanico, potremmo definirlo un motocoltivatore in rapporto a un trattore.
Sempre dai registri fiscali di inizio novecento vediamo che un mulo poteva valere oltre duemila lire, contro le cinquecento di un asino e pagava 20 lire di tasse contro le sole 5 lire del fratello minore. Così nei frequenti periodi di crisi economica, legati anche a guerre e disgrazie varie, si era a volte costretti a vendere la mula e accontentarsi di un asino, come ora si scambierebbe la macchina con un motorino.
Il rapporto con tutti gli animali era molto stretto e intimo, quello col mulo in maniera particolare, visto che ci si faceva compagnia in innumerevoli viaggi e lavori. Il numero basso, la convivenza, la condivisione di fame e fatiche rendeva questa relazione molto diversa da quella dell’attuale allevatore. I bovini adesso sono “macchine” programmate geneticamente per produrre grandi quantità di latte o per avere accrescimenti ponderali veloci, seguite da specialisti nell’alimentazione che calcolano la razione alimentare con gestioni computerizzate. La loro vita “utile” è molto ridotta, come per automobili e prodotti tecnologici, soggetti a precoci rottamazioni.
Una volta, invece, mucche, muli e asini erano considerati quasi parte della famiglia e non era raro che in stalla ci fossero animali di età avanzata, ancora capaci di produzioni regolari e di dignitose prestazioni. Ma forse erano periodi di minor fretta esistenziale e il rapporto con l’inevitabile passare del tempo era più sereno per tutti, uomini e bestie.
I muli fino alla fine degli anni 70 condividevano col genere umano anche un’altra incombenza poco gradita: erano soggetti a periodiche visite militari. Nei comuni si conservano i registri di queste ispezioni fatte da veterinari dell’esercito, con nome e caratteristiche degli animali e il giudizio accanto: idoneo, precettato, riformato.
La requisizione di un buon mulo, anche se dietro indennizzo, doveva essere un dramma per molte aziende agricole di allora, soprattutto per il rapporto che si era creato fra uomo e animale in anni di condivisione dei lavori.
Un piccolo dramma, se lo paragoniamo a quello dei figli, fratelli, mariti mandati a morire a migliaia di chilometri dalla loro case in guerre assurde. Abissinia, Etiopia, Grecia, Albania, Russia. Nomi di paesi remoti scritti sul marmo di lapidi, con accanto date di morte e i cognomi di qui, delle nostre zone. Le guerre vicine e lontane non hanno risparmiato le nostre valli, aggiungendo angosce e difficoltà a quelle della vita quotidiana. Alcune borgate bruciate da nazisti e fascisti non sono più state ricostruite e mostrano ancor oggi i loro ruderi anneriti, lezioni di storia in forma concreta per gli attuali passanti.