La forza di sorridere

Di questi tempi è davvero difficile sorridere. Eppure è proprio nei momenti difficili che diventa importante trovare la forza per distendere i lineamenti facciali e reagire alla rassegnazione o alla frustrazione.
Il sorriso non è ebete spensieratezza, né patetico tentativo autoconsolatorio: è il modo più efficace di affrontare le difficoltà quotidiane guardandole negli occhi, almeno finchè ci è possibile. Sorridere è la forma più economica ed efficace di psicoterapia, rilassa i muscoli, distende la pelle, facilita le relazioni, migliora l’umore. E’ anche un ottimo biglietto da visita, un modo di presentarsi all’altro accogliente e pacifico, in tempi di relazioni spesso tese e conflittuali.
In questi mesi è anche una forma di resistenza, di “non rassegnazione” purchè non si limiti all’esteriorità, ma si accompagni ad azioni concrete che favoriscano il cambiamento.
Nonostante sia convinto di tutte queste virtù e della straordinaria potenza di questa semplice ginnastica facciale, devo confessare che mai come in questi mesi mi riesce difficile sorridere. Dopo il quasi ventennio berlusconiano e le sue disgustose bassezze, dopo le  pagliacciate leghiste in salsa gallo-padana, è arrivato il sobrio e compassato Monti a dare il colpo di grazia a quel che restava in Italia di democrazia “vera” e stato sociale. Contrariamente ai suoi squinternati predecessori, il sedicente tecnico, chiamato in nome dell’emergenza a fare il curatore fallimentare dell’azienda Italia e mai passato al vaglio del voto popolare, è stato spietatamente efficace in quest’opera di normalizzazione, facendo approvare in pochi mesi provvedimenti che nessun altro governante avrebbe osato neppure concepire.
La cosa che mi deprime maggiormente, però, non è tanto il peso di manovre ingiuste e dolorose dirette sempre verso le fasce deboli, quanto la totale mancanza di un’efficace opposizione e l’indifferenza rassegnata e rinunciataria dell’opinione pubblica. Siamo in tempi di pensiero unico: mai come oggi il governo raccoglie consensi in tutti gli ambienti, è sponsorizzato dagli organi di stampa nazionali ed esteri, osannato da imprenditori ed industriali, appoggiato anche da larga parte di quella che dovrebbe essere l’opposizione, che, tutta presa dalla roulette delle primarie e dal gioco delle rispettive rottamazioni, si limita a un innocuo teatrino di sommesse e scontate proteste.  
Trovo davvero difficile sorridere, in questa atmosfera pesante in cui si fatica a vedere una via d’uscita.
Sarà che ho la fortuna di appartenere ad entrambe le due categorie più bersagliate dal bombardamento governativo, quella dei quasi vecchietti condannati ad anni aggiuntivi di lavoro forzato per pagare vitalizi e pensioni altrui e quella degli insegnanti, bistrattata e vilipesa associazione di sfaticati a cui aumentare ex-lege l’orario (un miliardo di ipotetici risparmi destinati, nello stessa legge di stabilità a finire nel buco nero della TAV).
Sarà che mi ostino, nonostante le ricorrenti crisi di disgusto, a leggere i giornali e a cercare di comprendere quel che ci sta capitando.
Sarà, soprattutto, che sento crescere attorno a me, in ogni ambiente, una depressione generalizzata, figlia della rabbia che non trova sfogo e diventa frustrazione.
La rabbia dei giovani, derubati di futuro, speranze e prospettive.
La rabbia della nostra generazione di mezzo, intrappolata in un lavoro forzato che assume i contorni di una vera e propria schiavitù.
La rabbia degli anziani prigionieri di una vecchiaia sovente appesantita da solitudine e miseria e sempre meno tutelata.
Questa triplice offensiva in nome del rigore economico, applicato sempre a categorie già provate dai rigori della crisi e mai a chi della crisi stessa è diretto responsabile, mi fa pensare, per contrapposizione, alle parole del profeta Gioele del IV secolo a.C. riprese da Pietro nella sua predica di Pentecoste. Anche in quel bellissimo passo biblico sono citate le tre fasi della vita umana, ma in modo molto più consolante:
“I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni”.
Compito degli anziani, per il profeta è dunque sognare e trasmettere i propri sogni a chi raccoglierà il loro testimone. “Sogno” è parola promettente, l’esatto contrario della delusione, ha in sé aspettativa e speranza, guarda al futuro e non si chiude nel passato. E’ anche una parola “giovane”. Trovo bello che sia affidato proprio ai “vecchi” (termine che temiamo tanto da evitare di usarlo, considerandolo quasi un insulto) il lavoro di sognare. A chi ha dato, si è speso, ha percorso quasi del tutto il faticoso cammino della vita, resta ancora quell’ultimo, piacevole e consolante compito: sognare e regalare sogni.
La generazione di mezzo, quella ancora operativa, deve essere capace di “avere visioni”, cioè di progettare con mente aperta e audace, deve essere in grado di usare l’immaginazione, di osare, di uscire dalle sabbie mobili dell’immobilismo e della rassegnazione.
Ai più giovani, poi, è affidata la forza dirompente della profezia: a loro il compito di dire parole nuove e scomode, di usare le armi della critica e della contestazione, di scuotere le coscienze sempre a rischio di assopimento dei più anziani.
In questi mesi di democrazia sospesa, di eterna emergenza, di provvedimenti ingiusti e vessatori, di opinione pubblica rassegnata, di scenari politici sempre più squallidi e penosi, mi piace ricordare le parole di Gioele e di Pietro: contengono la promessa di un riscatto e mi danno ancora la forza di tentare un sorriso.

Cervasca, 28 ottobre 012                                   lele
Pubblicato su la Guida del 2-11-012