Buoni motivi

Ci sono davvero molti buoni motivi per andare a votare ai referendum: dai trecento ai quattrocento milioni, a seconda delle stime. E’ la cifra che ci costerà la discutibile scelta dell’esecutivo di separarli dalle votazioni amministrative, costringendo molta parte dell’Italia al doppio o triplo impegno elettorale. Scelta passata per un solo voto e dettata dall’unico scopo di boicottare i quesiti referendari e impedire il raggiungimento del fatidico quorum.
In una nazione in cui oltre metà dei pensionati vive con cinquecento euro al mese e un terzo dei giovani è disoccupato è l’ennesimo schiaffo alla miseria da parte di un potere politico sempre più lontano dalla gente e dalla realtà. E, cosa ancor più grave, è l’ennesimo tentativo sfacciato, assieme  al colpo di mano della legge Omnibus, di mettere il dito sulla bilancia, come facevano un tempo i commercianti disonesti, per condizionare la volontà popolare, invece di consultarla davvero.
Perché tanto impegno per far fallire i quesiti referendari, si chiederà qualcuno.
La risposta immediata si potrebbe dare con altri numeri, sempre in euro, ma questa volta dell’ordine di grandezza dei miliardi. Una sessantina mal contata il valore dell’acqua privatizzata, diverse altre decine per acquistare tecnologia nucleare in svendita. Tanti soldi, tanti interessi. Ma non è tutto qui.
La ragione vera è un’altra. E si chiama democrazia. Il referendum, assieme alla Costituzione che lo garantisce, è ormai l’unico esile filo che ci tiene attaccati a questa precaria forma di governo, l’unica vera arma in mano al cittadino. Non lo sono più, se non in minima parte, le elezioni politiche, grazie a liste bloccate e premi di maggioranza che hanno di fatto espropriato gli italiani della forza effettiva del voto
Ognuno di noi  ha sempre meno occasioni per esprimersi e per contare qualcosa. Ognuno di noi assiste quotidianamente al degrado della vita civile, all’erosione dei diritti, all’avanzare del razzismo, alla distruzione dello stato sociale, dell’ambiente, del diritto. La frustrazione, il disgusto, il senso di impotenza generano la pericolosa tentazione di estraniarsi, di non occuparsi più di una politica vista da molti con un senso di repulsione, quasi di “schifo”. Pochi si rendono conto che proprio questo farsi da parte, questo dire “tanto son tutti uguali, tanto non cambierà mai niente” è esattamente quello che vogliono quei politici che rendono la partecipazione democratica una corsa a ostacoli. “Non disturbare il manovratore” non è purtroppo solo un cartello da vecchio tram cittadino, ma la parola d’ordine imposta da chi vuole continuare a fare i propri interessi alle nostre spalle; anche a costo di sprecare somme importanti in tempi difficili.
Quattrocento milioni di buoni motivi per andare a votare sono tanti, ma ne possiamo aggiungere altri, di peso ancora maggiore rispetto alle semplici considerazioni economiche. Migliaia, decine di migliaia: persone, donne, uomini, ragazzi, anziani. Gente che da mesi, da anni lavora con impegno e passione, non solo gratis, ma spesso pagando di persona. Volontari nel senso puro del termine, che hanno raccolto firme, organizzato e partecipato a incontri e dibattiti,  fatto collette, attaccato manifesti. Senza alcun tornaconto, senza visibilità, senza gratificazioni. E’ la parte pulita e nobile dell’Italia, lo zoccolo sommerso dell’iceberg che tiene a galla la nostra ansimante democrazia appesantita da affaristi e parassiti, da mafie vecchie e nuove, da imbonitori, urlatori e intrallazzatori di professione
Sono quelli che al fango e allo squallore di certa politica contrappongono la dedizione, alle parolacce e agli insulti le discussioni pacate, agli slogan i ragionamenti, al “me ne frego” il “mi interesso, mi prendo cura”.
Il lavoro ostinato e oscuro di queste migliaia di persone merita almeno il piccolissimo sforzo di recarsi alle urne. Insomma, votate sì o no, ma andate comunque a votare. Andate a votare per convinzione, per riconoscenza, per senso civico.
E se non volete andarci “per”, andateci “contro”.
Contro chi ci fa spendere un sacco di nostri soldi per far fallire le consultazioni.
Contro chi ha infilato nell’ultima legge Omnibus una norma che blocca il programma nucleare col chiaro intento di fermare il referendum. Senza dimenticarsi di rassicurare il socio d’affari francese  che tanto “le centrali si faranno” non appena passata l’ondata emotiva partita dal Giappone.
Contro chi ti prende per fesso e te lo dice pure in faccia, sicuro di poterti comunque manovrare a suo piacimento.
Le buone ragioni per andare a votare sono quindi molte. Ne aggiungo una, l’ultima.
Non di tipo economico, politico o giuridico, come le precedenti.
Una motivazione che potrei definire storico-sentimentale.
C’era una volta, tanti anni fa, un vecchio leader che si definiva socialista, ormai nella fase calante di una parabola di potere tutt’altro che limpida. Erano anche quelli tempi di referendum invisi al governo, piazzati, guarda caso, in una calda domenica di inizio estate. “Andate al mare”, fu il suo invito esplicito.
La gente, invece, andò a votare e il mare dovette attraversarlo lui, per sfuggire con un vergognoso esilio volontario a una condanna penale.
Qual è il collegamento con l’attualità, si chiederà qualcuno. Cosa c’entra questa vecchia storia con le ragioni per andare a votare oggi?
Niente, non c’entra proprio niente.
Ma visto che sognare (per adesso) è gratis, lasciatemelo fare.
Lasciatemi sognare che l’acqua pulita di quella gran massa di donne e uomini che si sono sbattuti con ostinazione e fede per la riuscita del bel rito di democrazia partecipata che celebreremo domenica possa lavar via il fango, la sporcizia e lo squallore di questa triste pagina della nostra Repubblica.
Domenica è Pentecoste, una coincidenza che mi pare bella e significativa: il referendum e la venuta dello Spirito nella stessa giornata festiva. Spirito nel greco evangelico è pneuma, che vuol dire vento, soffio e ha dentro la forza gioiosa della libertà (Giovanni  avverte che “soffia dove vuole”).
Vento e acqua: promessa di pulizia e di liberazione, di rinnovamento e di rinascita.

Cervasca, 30 maggio 011              lele