Dare i numeri

Visto che di questi tempi faccio sovente fatica a trovare le parole, non mi resta che dare i numeri.
Cominciamo dal basso: zero. Cioè niente, nulla. Sono gli aumenti che noi lavoratori dipendenti vedremo in busta paga nei prossimi anni, per effetto del blocco degli scatti di anzianità. Tremonti dal suo cappello ha tirato fuori questa meraviglia, una sorta di elisir di lunga vita ed eterna giovinezza che fissa nel tempo la nostra età lavorativa, impedendoci di invecchiare. Meglio del Gerovital, se qualcuno ancora se lo ricorda.
Venticinque miliardi (di euro) il totale dei risparmi, quasi tutti presi, soldino dopo soldino, agli enti locali (vedi più avanti) e ai lavoratori dipendenti con trucchetti come quello di cui al punto precedente. Una manovra che peserà sulle nostre vite, creando a volte veri drammi o assumendo la forma di vessazioni con diverso grado di crudeltà e accanimento. Un esempio a caso: il ritardo di nove mesi per concedere la pensione ai lavoratori con 40 anni di contributi. Come dire ai corridori che arrivano distrutti al termine di una gara ciclistica che il traguardo è stato spostato di una ventina di chilometri.
Ventinove miliardi (sempre di euro): il costo per comprare aerei, navi, elicotteri da guerra ed armamenti vari. Tutti aggeggi che – per come la penso io – nella migliore delle ipotesi sono inutili, nella peggiore possono fare danni seri. Curiosa la quasi coincidenza delle due cifre: fa pensare che, rinunciando a giocare ai soldatini, si sarebbe forse potuta evitare la sanguinosa manovra economica, avanzando pure qualche miliardo.
E’ vero che il problema è complesso e meriterebbe analisi più serie di quelle consentite da questo giochetto coi numeri. Fra l’altro non è solo una questione di tipo militare o strategico, ma economico e di democrazia. Quello degli armamenti è uno dei tre settori in cui si muovono enormi capitali al di fuori di ogni reale controllo, con conseguente corollario di tangenti e intrallazzi vari di cui possono beneficiare, a spese nostre, i soliti noti. Gli altri due settori, per la cronaca, sono le eterne emergenze e le grandi opere
Duecento. Sono gli ettari di terreno agricolo, pari ad oltre cinquecento giornate piemontesi, che ogni giorno abbiamo distrutto e cementificato dal 1982 al 2007, per un totale che si misura in milioni di ettari (1,8 milioni se contiamo solo quello mangiato da case, capannoni e strade; 3,1 milioni se contiamo la superficie agraria utile; 5,8 milioni se prendiamo in considerazione la superficie totale. (Sono dati Istat: su questo punto, purtroppo, non sto dando i numeri).
Noi cuneesi abbiamo contribuito per la nostra parte, fra capannoni, edilizia residenziale, rotonde e autostrade varie. A perenne vergogna di amministratori e cittadini, incapaci gli uni di uno sguardo lungimirante, gli altri – cioè tutti noi – di pretendere dagli eletti almeno il rispetto del territorio.
(Quasi) mille. Sono sempre gli ettari di terreno agricolo consumati giornalmente negli ultimi tempi, aumentando di 5 volte il dato già grave del punto precedente che esprimeva la media su un periodo venticinquennale. La cifra è doppiamente preoccupante, perché segnala una crescita esponenziale che pare destinata a non finire, anzi, a subire un’ulteriore accelerazione.
15 milioni (di euro) i tagli previsti dalla Finanziaria per la nostra Provincia nei prossimi due anni. Curioso notare come un governo che predica il federalismo fiscale e “il padroni a casa nostra” tagli sempre in casa altrui e imponga dolorose cure dimagranti solo agli enti locali (invece di pensare a ridurre i “propri” sprechi). Dopo la mossa elettorale dell’ICI, che ha devastato le finanze dei comuni, ora la dieta interessa anche regioni e province.
Meno soldi in tasca agli enti periferici significa anche meno servizi e meno democrazia, e vuol dire, di fatto, un ritorno al peggior centralismo.
Significa anche che i comuni per reperire risorse dovranno ricorrere sempre più alla svendita del territorio e all’urbanizzazione selvaggia. E qui il cerchio si chiude e si torna al punto precedente.
143 (milioni di euro) la cifra spesa quattro anni fa, nel 2006, in occasione delle Olimpiadi invernali per varie, utilissime infrastrutture. Precisamente 64,1 milioni per la pista da bob di Cesana, 25 per il poligono del biathlon, 20 per l’anello di fondo, 34,3 per lo ski jumping. Opere tutte o quasi inutilizzate o addirittura in via di smantellamento.
Per fortuna che i Mondiali di calcio han deciso di farli in Sud Africa e non a Bombonina.
Sei. In una scala da uno a dieci rappresenta la sufficienza. La novità dell’anno, tanto strombazzata, era contenuta nell’articolo 2 dell’O.M. 44/2010: per essere ammessi all’esame di Stato (la vecchia, cara maturità) era necessario avere il 6 in tutte le materie. Una norma severissima, ai limiti dell’irragionevole; dettata da motivi di immagine, visto che di questi tempi pare sia produttivo fare la faccia feroce. Scagliarsi contro il lassismo dilagante e invocare a gran voce un ritorno alla serietà e all’intransigenza dei bei vecchi tempi crea facile consenso. Peccato che, con un’applicazione appunto “seria” di questo sano criterio, sarebbe stato del tutto inutile fare l’esame, per mancanza di candidati. E allora, come capita sovente dalle nostre parti, alle proclamazioni di principio ha fatto seguito la solita soluzione di comodo e la ricerca di cavilli. Che in un paese con un numero di leggi dieci volte superiore alla media europea, non mancano mai. Così è stato rispolverato l’articolo 79 del Regio Decreto 653 del 1925, il cosiddetto “voto di consiglio” e liberi tutti. O quasi, visto che, quando si fanno questi giochetti, qualcuno a rimetterci c’è comunque, e non sempre chi se lo sarebbe meritato.
Si fanno leggi dalla faccia tremenda per poi applicarle o interpretarle in modo più o meno rigoroso a seconda del luogo geografico (è questo che intendono con federalismo?), della convenienza e, naturalmente, dell’interlocutore. Secondo il noto principio di accanirsi contro gli onesti e i deboli e di inchinarsi davanti a potenti e “furbi”.
La domanda che viene spontanea è: quando mai potremo vivere in un paese normale, in cui si fanno norme meditate, semplici, sensate e si applicano col giusto rigore?
Diciotto milioni (di euro) l’assegno staccato da Pier Silvio Berlusconi per il suo secondo yacht, un 37 metri prodotto dai cantieri Ferretti . La cosa non sarebbe da segnalare, se non per la curiosa coincidenza della frase pronunciata lo stesso giorno dal padre per annunciarci l’inevitabilità dei sacrifici imposti dalla crisi: “Siamo tutti sulla stessa barca”. “Non proprio” ho pensato, ricordando la canoa gonfiabile a due posti di fabbricazione cecoslovacca con cui giocavano i miei figli. Ce l’ho ancora in cantina, verrà buona magari per i nipoti.
(Fino al ) cinquecento (per cento) l’aumento delle spese postali per l’editoria in abbonamento. Un introito trascurabile per le poste spa, un enorme danno alla libertà di informazione.
Ventiseimila è il numero delle intercettazioni telefoniche autorizzate ogni anno secondo fonti ufficiali. Sette milioni e mezzo la cifra degli intercettati secondo il nostro Premier. Due notizie che apparivano affiancate sui quotidiani, pochi giorni fa. Colpisce la discrepanza fra dati che dovrebbero essere omogenei. Colpisce anche l’ordine di grandezza del secondo numero. Togliendo i lattanti e gli altri felici non possessori di utenze telefoniche, su una popolazione di sessanta milioni di abitanti sarebbe intercettato un italiano su quattro o cinque. Diciamo diecimila cuneesi sul totale dei nostri concittadini.
Quando, oltre alla lingua italiana, diventa relativa anche la matematica, c’è da iniziare a preoccuparsi. Mi consolo pensando che evidentemente non sono l’unico, in questa pazza quasi estate, a dare i numeri.

Cervasca, 20 giugno 2010 pubblicato su La Guida del 25-6-010