olio lubrificante

Olio lubrificante
Lo scorso anno, di questi tempi, avevo scritto qualche considerazione preoccupata, da insegnante in procinto di sentire, per l’ennesima volta, la campanella del primo giorno di scuola, sulle novità che si preannunciavano allora. Dietro al fumo di questioni secondarie sapientemente sbandierate (ve le ricordate?, il grembiulino, il cinque di condotta) si intravedeva l’ombra di riforme devastatrici, introdotte con studiata gradualità e sempre condite da divagazioni mediatiche su questioni futili, in modo da mimetizzarne l’impatto.
E’ passato un anno e i risultati di questo picconamento quotidiano iniziano a vedersi.
Cinquantamila insegnanti precari senza lavoro, il più grande licenziamento di massa della storia recente, in un momento in cui la crisi economica già pesa su occupazione e famiglie..
Tagli dissennati di cattedre, con conseguente balletto di docenti costretti a cambiare materia e luogo di lavoro, a girare come trottole su più sedi disperse nell’immensa provincia.
Classi con più di trenta alunni stipati come polli per sei ore consecutive in aule dimensionate per una ventina di occupanti.
Per i non addetti ai lavori, per chi non vive in prima persona il dramma quotidiano dello sfacelo della realtà scolastica, non è facile immaginare le conseguenze reali di quelli che possono sembrare solo piccoli cambiamenti numerici, capire cosa si nasconde dietro l’apparenza innocua o addirittura positiva, di termini come “risparmio”, “razionalizzazione”, “riforma”.
Mi scuso, quindi, se dovrò essere un po’ pedante, e scendere sul terreno dei casi pratici.
Ma la realtà è proprio un insieme di piccolezze e di banalità ricorrenti. I voli di mente e intelletto, i grandi proclami e le dichiarazioni di principio sono riserva di caccia di politici e alti dirigenti ; noi dobbiamo accontentarci della dimensione, molto meno gratificante, della quotidianità ripetuta.
Prendiamo il numero di allievi per classe, aumentato ex-lege, senza alcun riguardo alle situazioni contingenti. – Che sarà mai qualche alunno in più?- è portato a pensare chi affida la propria mente all’oppio televisivo o, semplicemente, chi non vive sulla propria pelle gli effetti devastanti di questa apparentemente piccola novità.
Provate a pensare di fare entrare a forza nella vostra utilitaria, omologata per quattro o cinque passeggeri, altre due o tre persone e costringerle a sei ore consecutive di viaggio. Fate uno sforzo di immaginazione. Questo vi consentirà di avere una pallida idea di cosa significa gestire, alla sesta ora di lezione, una classe di trentadue allievi stufi, affamati, stressati e stipati in banchi sottodimensionati.
Oppure parliamo dell’obbligo della cattedra di non meno di diciotto ore effettive di insegnamento, con l’eliminazione delle ore a disposizione. Può sembrare una banalità, una questione di nessuna importanza pratica. Anzi, visto il bombardamento mediatico (Brunetta docet), che equipara ogni dipendente pubblico a un fannullone, e dipinge i docenti in particolare come una congrega di scansafatiche e di professionisti dell’assenteismo, può sembrare un atto dovuto, un provvedimento sacrosanto.
– Han già solo diciotto ore, che almeno le facciano davvero – è il pensiero indignato dell’opinione pubblica sapientemente manipolata. Non entro nel merito del tempo “effettivo” che richiede l’attività dell’insegnare, dell’incremento costante degli impegni didattici e burocratici (accompagnato da un altrettanto costante caduta libera del riconoscimento sociale della nostra maltrattata categoria professionale), non parlo dell’usura mentale e fisica e della stanchezza che comporta la “lotta” quotidiana del docente con la classe e col resto del mondo.
Ci tengo solo a precisare che le diciotto ore di insegnamento le abbiamo sempre fatte tutte. Chi aveva una cattedra di sedici ore, ad esempio, ne aveva due a disposizione usate per sostituire i colleghi assenti o per altre necessità, in modo da arrivare comunque a completare l’orario. L’impegno complessivo dell’insegnante non è cambiato, sono semplicemente sparite quelle ore “a disposizione” indispensabili per far funzionare la complessa macchina scolastica. Insomma, un bell’esempio di come fare immensi danni per un vantaggio trascurabile.
Parallelamente, per un malinteso senso del risparmio, gli istituti non nominano più supplenti, se non per assenze di lunghissima durata.. Le classi restano per ore ed ore senza insegnante, o, nella migliore delle ipotesi, con qualche assistente estraneo alla materia e sconosciuto agli allievi.
E’ una perfetta educazione alla perdita di tempo, ai giochi di carte, all’uso improprio di telefonini e palmari, agli scherzi di caserma, agli atti vandalici e al bullismo.
La scorsa primavera, per un intervento chirurgico, sono stato assente per una ventina di giorni. Era maggio, momento cruciale dell’anno, avevo due quinte da portare all’esame, due quarte e una terza. Naturalmente, prima del ricovero mi sono premurato di stendere un dettagliato promemoria per il supplente, in modo da facilitare e ottimizzare il suo lavoro. Fatica sprecata!. In tre classi su cinque non sono stato sostituito del tutto. Neppure per un’ora. Risultato: il programma non è stato terminato e i ragazzi hanno perso quasi un mese di lezione. Ma, soprattutto, hanno “imparato” a non fare nulla, ad ammazzare il tempo invece di sfruttarlo al meglio. E queste lezioni, purtroppo, si apprendono in fretta e sono molto difficili da dimenticare.
Questo discorso ci riporta alla parolina che sta alla base di tutto: “risparmio” e all’ombra lunga di Tremonti che si intravede dietro le fattezze eteree della signora Ministro.
E mi costringe ad un altro esempio di natura meccanica.
Cosa pensereste di un automobilista che, per risparmiare una manciata di euro, non mettesse l’olio nel motore? Evidentemente che è un pazzo, perché il piccolo, ipotetico “risparmio” di oggi lo condannerebbe a un danno futuro certo, pesante e forse irreparabile.
Non credo sia necessario dilungarmi ulteriormente sul paragone, né tradurlo in termini “scolastici”. Preferisco spendere le ultime righe per una considerazione ancora più amara. L’Italia partecipa, tramite Finmeccanica, ad uno dei più costosi programmi militari di tutti i tempi, la costruzione del cacciabombardiere di ultima generazione F35, un’arma aggressiva, contraria allo spirito e alla lettera della Costituzione..
Il Governo ha in mente di comprarne 131. Spesa prevista, destinata a sicuro aumento, 15 miliardi di euro, trentamila miliardi mal contati di vecchie lire.
Basterebbe una piccola frazione di questa cifra folle, destinata a future violenze e distruzioni, per evitare tutte queste acrobazie contabili sulla pelle di allievi e insegnanti e trovare i mezzi per non far mancare l’olio al motore.

Scritto il 3 settembre 09,pubblicato su La Guida dell’11-09-09 lele viola