La necessità  di “fare memoria”

La necessita di “fare memoria”
Il parlamento italiano ha istituito nel 2000 la Giornata della Memoria per ricordare, nell’anniversario della liberazione di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio del 1945, tutte le vittime della shoà, dei campi di concentramento, delle deportazioni razziali e politiche e, più in generale, del nazismo, del fascismo e della seconda guerra mondiale. Una tragedia senza precedenti nella storia, come dimensioni e organizzazione, 6 milioni di ebrei uccisi (ma si parla di 26 milioni di vittime complessive dei campi di concentramento) più altri 32 milioni di morti nel conflitto: in tutto, un’intera Italia cancellata.
Fra i tanti, anche mio nonno, tipografo reo di aver stampato qualche frase poco gradita al regime e mandato per questo a morire di stenti a Mauthausen.
E’ quindi necessario fermarsi un attimo a ricordare, a fare memoria.
Perché la memoria è insieme la più strana e la più magica delle nostre facoltà, ha bisogno di essere rinnovata, muore per mancato uso, per distrazione, per indifferenza, per sovrapposizione eccessiva di immagini e stimoli. Ricordiamo poco, perché il nostro disco fisso è continuamente riscritto da altre notizie, da nuove informazioni, sommerso da voci, suoni, volti. Nel mezzo di questa bufera quotidiana di dati e attività, è indispensabile fermarsi, lasciar depositare il polverone che ci circonda e regalarci il silenzio necessario per “fare memoria”, per far riemergere dal passato facce, voci, ragioni, sorrisi, pianti, speranze e disperazioni di queste persone travolte dalla guerra, dal razzismo e dalla dittatura. Perché solo così cessano di essere numeri e diventano uomini, donne, bambini. Come in tutte le tragedie, i milioni non sono capaci di scuoterci, restano statistica. Siamo capaci di piangere solo se intravediamo, dietro i numeri, un volto.
Ma è necessario anche chiedersi cosa significhi, oggi, a 64 anni di distanza, ricordare quei fatti, quelle persone, quelle storie.
Io credo che la memoria sia la colla capace di tenere insieme passato, presente e futuro e che abbia un senso solo se rivolta in avanti, all’oggi e al domani. Se la confiniamo nell’ieri, la rendiamo inutile e polverosa, come un soprammobile su un armadio. Tanto è vero che un modo raffinato per annullarla, per renderla innocua e inefficace, è proprio quello di ridurla a celebrazione, incartarla e impacchettarla nella routine stanca di cerimonie commemorative. La ripetizione annacqua tutto, trasforma la rabbia in disillusione, ci scarica la coscienza, come se ricordare fosse un dovere e non una necessità, un’urgenza impellente.
La memoria serve se si trasforma in impegno, in indignazione non solo per quel che è capitato, ma per quello che “sta capitando”. Per il genocidio di Gaza, per la Costituzione calpestata, per il razzismo incombente, per la corruzione diffusa, per il fascismo prossimo venturo.
La memoria ha un senso se risveglia la nostra capacità di indignarsi.
Capacità sacrosanta e che sembra sparita del tutto in quest’Italia di inizio millennio. Sembriamo tutti vittime di un torpore diffuso, accettiamo con ebete indifferenza situazioni, frasi, gesti, prese di posizione che hanno dell’incredibile e che, anche solo pochi anni fa, avrebbero suscitato reazioni ben più vivaci.
E’ di ieri la notizia, passata nel disinteresse generale dei media, della “barzelletta” sui campi di sterminio pronunciata dal nostro Presidente del Consiglio durante un comizio elettorale a Nuoro. Chi l’ha sentita o letta non può non vergognarsi e rabbrividire.
Non si può pretendere da Berlusconi la delicatezza e la sensibilità di un Benigni, capace di trasformare in messaggio e speranza l’immane tragedia. Si può però pretendere che stia zitto e che abbia almeno quel minimo di buon gusto per evitare di dire cose penose e urtanti proprio alla vigilia della Giornata della Memoria.
La storia ci insegna che fascismo e nazismo non sono nati in un giorno e neppure in un anno. Hanno impiegato decenni per mettere radici, sono entrati lentamente nel quotidiano, senza clamori. Sono stati concimati, come ogni dittatura, dall’indifferenza, dalla sbadataggine, dalla voglia di farsi gli affari propri di milioni di italiani e tedeschi.
Con l’aiuto della crisi economica di allora e col supporto di una propaganda efficace e capace di sostituirsi progressivamente alla coscienza.
Insomma, proprio quello che sta capitando adesso, in questo preciso momento, qui da noi. E allora, “fare memoria” non è solo scoprire lapidi o rivedere documentari. E’ agire, reagire, indignarsi, difendere democrazia e Costituzione, bloccare sul nascere ogni razzismo
Perché ogni totalitarismo è preceduto e reso possibile dall’atteggiamento di passiva complicità della popolazione, dal “chissenefrega” quotidiano di ognuno di noi.
E la madre di ogni dittatura è, secondo me, l’indifferenza.

Scritto il 19-1-09, pubblicato su La Guida del 23-1 col titolo “La colla per tenere insieme passato, presente e futuro”