Autosufficienza 7: la soddisfazione dell’autunno

Quando sentiamo parlare di economia di autosufficienza sovente la associamo a concetti non sempre gradevoli o appaganti. Il nostro cervello funziona per associazioni, anche nel senso proprio del termine, visto che quella che chiamiamo “intelligenza” è data proprio dalla capacità dei neuroni di comunicare fra loro. Così associamo, magari senza esserne coscienti, ogni parola e addirittura ogni suono a una sensazione, piacevole o sgradita. Tutta la “scienza” pubblicitaria e più in generale, la comunicazione, si basa proprio sul trasmettere messaggi occulti giocando con questa nostra tendenza a collegare inconsciamente immagini, suoni e parole a sensazioni e concetti.
Un’economia di autosufficienza ci fa subito pensare a povertà, privazioni, lavoro duro, arretratezza culturale, insomma, un salto indietro nel basso medioevo. Ma non è sempre stato così e, soprattutto, non deve sempre necessariamente essere così. In fin dei conti siamo noi che diamo un senso alle parole e questo non è cosa da poco, anzi, è addirittura delega del Creatore (se leggiamo Genesi, vediamo che il primo compito dell’essere umano, oltre a custodire il Giardino, è proprio quello di dare un nome, cioè un senso, alle cose, partecipando così al mai finito lavoro di creazione).
Allora possiamo non fermarci a questa prima impressione di penuria e arretratezza che il condizionamento storico e culturale ci impone e costruirci, per la nostra parola composta, un’altra serie di associazioni più positive e piacevoli, scoprendone così la faccia meno arcigna e più sorridente.
Provo a elencare qualcuno di questi termini positivi associabili all’idea di autosufficienza. Semplicità, essenzialità, soddisfazione, serenità, autonomia, libertà sono le prime parole che mi vengono in mente. Ognuno di questi sostantivi è collegato con tutti gli altri, con rapporti di reciproca dipendenza. Ognuno è allo stesso tempo causa ed effetto di quello che lo segue e di quello che lo precede e tutti contribuiscono a dare all’autosufficienza un aspetto più gioioso, leggero, amabile.
Tutti ci lamentiamo di vivere in un’epoca e una società troppo complicati, tutti ci sentiamo oppressi da un sistema invadente e pervasivo. Un buon motivo per realizzare nelle piccole cose qualche concreto tentativo di autosufficienza, che ci regalerà soddisfazioni semplici e, alla lunga, serenità. L’autosufficienza, nel senso di capacità di prodursi da soli le cose essenziali alla sopravvivenza, come aveva capito Gandhi un secolo fa, è la base per qualsiasi forma di autonomia. E l’autonomia, letteralmente è la capacità di darsi da sé le proprie leggi ed è una buona premessa per una serenità consapevole e per vivere in libertà.
Per evitare altre divagazioni, vorrei concentrarmi sulla parola “soddisfazione”, legata allo sforzo di prodursi qualcosa di utile per la vita quotidiana e vorrei associarla alla stagione che stiamo vivendo, l’autunno. A prima vista potrebbe sembrare una scelta sbagliata: è piuttosto la primavera che pare collegata alla gioia di vivere, alla crescita, agli incontri; l’autunno fa pensare alle foglie morte e al rintanarsi in casa. Ma per chi vive in campagna l’autunno è soprattutto stagione di raccolti, di provviste, di cantine e legnaie piene, oltre che l’esplosione di colori dei boschi che sembrano voler sfoggiare tutta la gamma cromatica prima che sia cancellata dal bianco uniforme della neve.
La festa, nella civiltà contadina del passato, fin da tempi remoti, è sempre stata legata alla sensazione di appagamento e tranquillità che segue il raccolto, finalmente messo al sicuro. La mietitura, la trebbiatura, la vendemmia, l’idea del “fieno in cascina”, delle dispense e cantine piene, del poter disporre di provviste. Soddisfazioni semplici ma profonde, che il contadino di un tempo condivideva con ghiri, scoiattoli, formiche. La fine dell’incertezza e dell’apprensione, per grandine, parassiti, perdite di ogni tipo, che in passato ancor più di oggi doveva accompagnare il susseguirsi dei lavori stagionali. Il sospiro di sollievo dello studente che ha finito gli esami, del malato che intravvede la guarigione e ascolta una diagnosi favorevole. Oggi fatichiamo a renderci conto di cosa volesse dire, nell’economia di autosufficienza del nostro comune passato, dipendere in tutto e per tutto dal prossimo raccolto e, di conseguenza, quanto grande fosse la consolazione di saperlo al sicuro e abbondante.
Anche oggi, coltivare e prodursi almeno in parte il cibo quotidiano, sapersi arrangiare con i piccoli o grandi lavori di manutenzione, scaldarsi con la propria legna è una ginnastica fisica e mentale che richiede impegno e genera a volte preoccupazioni e delusioni, ma alla fine regala una profonda soddisfazione.
Capire e apprezzare le bellezze dell’autunno meteorologico può magari aiutarci a vivere meglio l’autunno dell’esistenza, cosa non sempre facile.
Il contadino o il montanaro di una volta guardava il fienile traboccante, la legna ben accatastata, le buone riserve di cereali, farina, patate, castagne e sapeva di poter affrontare con serenità l’inevitabile inverno.
E’ consolante pensare che le cose belle e buone del passato non ci saranno tolte (neppure un bicchier d’acqua…) e che per quelle negative c’è perdono e misericordia. Mi sembrano davvero condizioni contrattuali straordinariamente favorevoli che possono regalare anche all’autunno dell’esistenza gli stessi colori luminosi e le stesse soddisfazioni tranquille dell’autunno meteorologico.

Pubblicato su La Guida del 24-11-022