Rottamazione? No, grazie! 1

Ci sono tanti buoni motivi per cui non mi sogno neppur lontanamente di rottamare il mio fedele furgone classe 1997 (neanche ancora venticinquenne), nonostante i pressanti inviti di politica, media e sedicenti paladini dell’ambiente e dell’aria pulita.
Per i casi della vita, il mio primo articolo su La Guida di cui conservo traccia sul computer aveva proprio per tema la difesa dei diritti degli anziani (automezzi) ai tempi della prima ondata di rottamazioni forzate, a inizio anni duemila. A distanza di oltre tre lustri mi tocca ritornare sull’argomento e vorrei approfittarne per qualche divagazione su ambiente e tematiche connesse.
Siamo in una società in cui ci si schiera prima ancora di fermarsi a riflettere e si usano le parole come armi di offesa e di difesa, invece di farle diventare ponti, vie d’accesso e materiale da costruzione delle relazioni e della politica. Cercherò quindi, in questa chiacchierata, di spiegare i motivi per cui sono fermamente contrario a questa nuova imposizione, invece di cadere nella trappola dei giochetti di parole. Eviterò, perciò, con cura affermazioni che verrebbero spontanee, del tipo che, messo di fronte all’alternativa, preferirei rottamare l’intera Commissione Europea assieme alla Giunta Regionale piuttosto che rinunciare al mio buon vecchio diesel.
Il verbo rottamare, fra l’altro, è un brutto neologismo che non mi è mai piaciuto, né come forma, né come sostanza e significato. Lo trovo poco simpatico quando applicato a oggetti e mezzi, offensivo e imperdonabile se rivolto a persone.
La parola non ha portato molta fortuna al suo inventore politico, Matteo Renzi da Rignano, e neppure alla giunta di centro sinistra Bresso, ai tempi della prima ondata di rottamazioni forzate. Chi vuol rottamare finisce spesso rottamato, per la buona vecchia legge dantesca del contrappasso, e politici ed amministratori dotati di un minimo di furbizia spicciola dovrebbero rendersene conto.
Sempre restando in tema di parole e del loro uso per condizionare l’opinione pubblica e indirizzare il consenso, definire “automezzi inquinanti” i vecchi diesel significa implicitamente assolvere le categorie più recenti, come se un’auto nuova non facesse danni all’ambiente e alla salute. Se leggete i tanti articoli su giornali e siti on line che parlano delle nuove norme, si usa sempre quest’espressione che nasconde l’equazione “vecchio uguale inquinante” (e perciò “nuovo uguale rispettoso dell’ambiente”).
Le parole non sono mai casuali e condizionano i modi di pensare, facendo leva anche sul nostro inconscio e il moderno marketing si basa proprio su precisi studi in campo psicologico. Non si tratta, quindi, solo di sviste o di superficialità nell’uso dei termini, ma c’è il preciso intento di far passare un messaggio, tanto più efficace quanto meno riconoscibile e apparentemente innocente. Una pubblicità è tanto più convincente quanto meno la percepiamo come pubblicità (cioè come un qualcosa di estraneo che in qualche modo vuole fregarci) e finiamo invece per considerarla come fosse un pensiero nostro, assimilandola senza accorgercene.
Io credo che, in genere, sia vero piuttosto il contrario, cioè che “vecchio” sia spesso indice di un uso oculato e attento all’ambiente e “nuovo” possa essere, all’opposto, sinonimo di spreco e inquinamento.
Cominciamo da un’osservazione banale. Se ho ancora il mio “automezzo inquinante” nato nello scorso millennio è perché l’ho usato poco. Se invece di andare al lavoro in bici (centomila chilometri a pedali prima di meritarmi la pensione) avessi usato il furgone, lo avrei già dovuto cambiare e adesso sarei felice proprietario di un mezzo più recente, magari un Euro 5 o 6 che mi permetterebbe di andare ovunque senza problemi, continuando a inquinare tranquillamente con la benedizione e la preventiva assoluzione di autorità, mondo economico e finti ambientalisti.
Chi non è proprio digiuno da elementari nozioni di chimica non può non sapere che la combustione di idrocarburi “sporchi” come i derivati del petrolio (benzina o gasolio) lascia residui di cloro, zolfo, azoto e altre sostanze che solo in parte possono essere ridotti con giochetti di alta tecnologia (fra l’altro, come si è visto, spesso truccati).
È inutile aumentare il numero dopo la sigla euro. L’inquinamento in una combustione dipende dal combustibile, non solo dal mezzo che usiamo per bruciarlo. In altre parole, è inutile usare stufe sempre più perfezionate se poi ci mettiamo dentro legna marcia.
E qualsiasi combustione, anche di idrocarburi “puliti” come il metano o il GPL, produce la famosa CO2, l’anidride carbonica, che contribuisce al riscaldamento climatico e a regalarci questo clima impazzito. In questo, a parità di consumo, non c’è alcuna differenza fra veicoli vetusti o nuovissimi, è una semplice questione di chimica. L’energia che muove gli automezzi deriva dalla rottura del legame fra atomi di carbonio, che una volta liberi trovano l’ossigeno nell’aria e formano la dannosa anidride. Un processo inevitabile, che non ha nulla a che vedere con l’età del mezzo o con la tecnologia, ma solo con la quantità di carburante consumato. Solo le auto elettriche ricaricate con energia rinnovabile (pannelli solari o altro) sfuggono a questa regola.
In altre parole, se non voglio inquinare, devo lasciare il più possibile l’auto nel garage, e quindi, dovrò, per valide ragioni economiche ed ecologiche, poter usare lo stesso mezzo per decenni.
Con buona pace delle lobbies industriali che stanno dietro a questa improvvisa e ipocrita attenzione all’ambiente e ai nostri polmoni. (continua)

Pubblicato su La Guida del 30-9-021