Una strana primavera

Ai più vecchi ricorda i tempi della guerra, quando si teneva una gallina in soffitta per dividersi un uovo a pranzo e si andava di nascosto in campagna a comprare verdure a borsa nera. Ma neanche allora avevano chiuso i negozi, aggiungono sconsolati, e poi il coprifuoco era solo di sera…
Noi, che di guerra conosciamo solo i racconti dei superstiti, ci guardiamo smarriti, catapultati da un giorno all’altro in una dimensione che ci sembra surreale: le strade vuote, le serrande abbassate, l’impossibilità di incontrare amici e parenti, i controlli per le vie, i divieti che si accumulano in una spirale opprimente, le notizie drammatiche che arrivano da alcune zone d’Italia.
Una dimensione strana, imprevista e imprevedibile, in cui ci troviamo tutti collegati, ma tutti isolati. Un’invasione della sfera normativa fin oltre la soglia del privato e del personale che ci lascia sconcertati.
Davvero uno strano anticipo di primavera, dopo un inverno anomalo e svogliato, con gli alberi fioriti e i canti degli uccelli che non riescono a farci gioire come d’abitudine. Sarà forse perché la gioia necessita di condivisione, è sentimento che vive solo al plurale, a differenza della serenità e della pace interiore che possono essere coltivate anche in una dimensione personale.
Di certo, un trauma, e come ogni trauma lascerà tracce profonde, cambierà (anzi, sta cambiando) sia le singole persone sia la collettività. In meglio o in peggio, dipende in buona parte da noi, come per ogni cosa che ci capita nella vita: noi non siamo tanto ciò che ci succede, ma ciò che decidiamo, momento per momento, di essere in relazione a quello che ci sta capitando.
Tutto finirà, prima o poi, ma ci lascerà diversi, come singoli e come comunità. Non è facile prevedere la tempistica, ma penso che sia bene non farsi illusioni di risolvere la questione in un paio di settimane di vacanza forzata ed eremitaggio imposto. Anche per questo, credo siano davvero sagge le parole del Papa, che venerdì ha ricordato che “le misure drastiche non sono sempre buone”. Possono magari andare bene, anzi, essere necessarie e inderogabili per una breve emergenza, ma col tempo diventano insostenibili e finiscono di fare danni gravi. Se con il coronavirus dovremo conviverci a lungo, sarà necessario trovare un equilibrio fra le esigenze sanitarie e quelle personali, sociali, produttive, educative, relazionali, spirituali, comunitarie.
Nel frattempo, dobbiamo adottare comportamenti utili a minimizzare i pericoli di una diffusione “virale” (curioso che questa parola che normalmente ci fa pensare a video e informatica ritorni al suo originario significato). Non tanto per obbligo di legge, ma per scelta personale: io credo che gli unici provvedimenti davvero efficaci siano quelli attuati per convinzione e con convinzione.
Al legislatore possiamo chiedere di parlare, almeno in queste occasioni, con voce chiara e di evitare di aumentare il peso che già grava su tutti con disposizioni non necessarie e atteggiamenti punitivi e sanzionatori. In questi momenti difficili sarebbe bello sentirsi tutti Stato e sentire lo Stato dalla nostra parte, non percepire le autorità come nemiche o cercare di “fare i furbi”.
Sarebbe una buona cosa, se l’emergenza ci facesse capire l’importanza di agire con senso civico e, nello stesso tempo, di poter contare sulle istituzioni e ci facesse ritrovare un corretto rapporto di collaborazione ed empatia con chi ha compiti di rappresentanza o controllo.
Il virus ha messo in luce tanti problemi sommersi, per esempio lo scollamento e la poca chiarezza fra i vari centri di potere, soprattutto fra stato e regioni. Ha fatto capire che anni di tagli nella sanità e di gestione poco attenta delle risorse umane presentano conti salati e costi molto superiori agli ipotetici risparmi. Ha sottolineato come nell’era della comunicazione chi ci governa non sia sempre in grado di fornire versioni chiare e univoche dei provvedimenti: il decreto che metteva in quarantena buona parte del Nord Italia è stato preceduto da bozze diffuse in anticipo che hanno provocato una fuga di massa verso il sud e la Liguria. L’esatto contrario di quanto si voleva ottenere con quelle misure urgenti e importanti.
Ma non è certo questo il momento di perdersi in facili critiche. La posizione di chi deve prendere in tempi rapidi decisioni di importanza vitale (sempre comunque “sbagliate” e impopolari) non è certo invidiabile e prima di brontolare dovremmo immedesimarsi in chi si trova in posti di responsabilità e immaginare cosa faremmo noi al posto loro. Solo dopo potremo chiedere che anche i governanti usino meno fantasia e più immaginazione e sappiano immedesimarsi anche loro nelle tante situazioni difficili o drammatiche che l’emergenza sta creando.
La crisi è anche sempre un’opportunità per fermarsi a riflettere, per rivolgere lo sguardo all’interno e fare il punto della situazione personale ed esistenziale. Se non possiamo uscire troppo fuori, conviene approfittarne per guardarci un po’ dentro e ritrovare la dimensione tranquilla del tempo usato senza fini produttivi o imposizioni esterne. Sfogliare vecchi album di foto di famiglia, rileggere libri importanti, ripensare alle cose belle del passato che nessuno potrà toglierci, godersi l’oggi col suo tempo dilatato, fare progetti per il futuro. Ritrovare l’utilità dell’inutile, far compagnia a se stessi e ai propri cari, riscoprire la bellezza e l’importanza dei rapporti con i famigliari, spesso trascurati nella frenesia della vita lavorativa.
Serve anche a farci apprezzare quelle cose che ora sono (si spera per breve tempo) negate e capire l’importanza della dimensione comunitaria, dei contatti fisici, degli abbracci, anche di una semplice stretta di mano. E anche dei diritti costituzionali di libertà di movimento, di riunione, di aggregazione.
Dobbiamo evitare di “abituarci” alla privazione di queste sacrosante libertà e vigilare che nessuno abbia la tentazione di approfittare dell’emergenza per sottrarci un’ulteriore fetta della nostra sofferente democrazia. Nei momenti critici, infatti, spunta sempre qualcuno che pensa che ci “vorrebbe un uomo forte” a gestire la situazione, “magari un militare”, come suggeriva pochi giorni fa la leader di un partito di destra.
Il coronavirus ci ha rubato un po’ della magia della primavera e ci sta facendo vivere questa strana Quaresima, che magari sarà anche più lunga e triste del solito. Possiamo consolarci con la certezza che, prima o poi, comunque arriverà come sempre la Pasqua e la Resurrezione.

Pubblicato su La Guida del 19-3-020 con altro titolo