Lo strano caso di Entracque 2

Possiamo capire meglio la ricchezza e la potenza dei pastori di Entracque nei secoli XVI e XVII leggendo ordinati e causati di alcuni comuni della valle Stura e Grana, come Demonte, Vinadio o Castelmagno.
L’affitto degli alpeggi era allora di gran lunga l’entrata più consistente per le comunità che avevano la fortuna di possedere grandi estensioni di pascoli. L’assegnazione si faceva sempre in occasione di qualche festa importante, col metodo dell’estinzione della candela, al miglior offerente. Spesso si dovevano usare parecchie candele per il ripetersi di offerte e rilanci che fruttavano cifre notevoli per le casse comunali.
A Demonte, ad esempio, l’affitto di “montagne e dezene” (cioè degli alpeggi e dei prati in quota) costituiva l’80% delle entrate pubbliche e permetteva di tener basse le tasse richieste ai cittadini.
Negli Ordinati di questa Comunità ho trovato traccia per la prima volta di un pastore della val Gesso nel 1602, quando un certo “De Michelis d’Intrache” si aggiudica uno degli alpeggi più ambiti per la forte somma di 400 fiorini.
Da allora è un crescendo che porterà a fine secolo a un vero e proprio monopolio: nel 1679, ad esempio, tutti gli alpeggi migliori del vallone dell’Arma sono assegnati a famiglie di Entracque, per cifre molto elevate. Ai pastori locali non restano neppure più le dezene, i prati in quota di minori dimensioni: un certo Lorenzo Odisio, naturalmente di Entracque, le affitta tutte in un sol colpo offrendo “la somma di duecentoventitre ducali”, una cifra irraggiungibile per le tasche degli allevatori del posto.
Aggiudicarsi gli ambiti alpeggi del vallone dell’Arma non era però che un primo passo nella strategia di espansione dei pastori della val Gesso. Il lungo vallone laterale consentiva infatti di raggiungere i ricchi pascoli di Castelmagno e di arrivare fino alla val Maira senza aver problemi nel far passare gli animali.
Per il comune dell’alta val Grana le forti somme pagate dai pastori di Entracque erano una benedizione e una necessità, come è testimoniato da una lite con Demonte, che voleva negare il passaggio agli armenti, durata tre secoli e costata cifre folli: a titolo di esempio, nel 1744 Castelmagno spendeva 600 lire per sostenere questa causa davanti alla Suprema Corte, quasi il doppio di tutte le entrate comunitarie di quello stesso anno.
Ma come si concilia questa schiacciante supremazia economica e questa grande disponibilità di capitali con la terribile percentuale del 62% di poveri assoluti registrata nella Relazione del 1716 nel paese della val Gesso?
Per cercare di rispondere a questa domanda dobbiamo ritornare a quel secolo di svolta, il 1400, e ricostruire le varie tappe del percorso, cercando anche di capire le dinamiche interne a una società in rapida trasformazione.
Nel 1443 Entracque conta 92 “fuochi”, cioè 92 famiglie (Borgo allora ne aveva 93) presumibilmente tutte dedite all’attività pastorizia: 92 è infatti esattamente il numero dei pastori che potevano usare gli undici alpeggi estivi della Comunità. Una gestione che appare quindi paritaria, con uguali diritti di sfruttamento dei beni comuni da parte di ognuna delle famiglie del posto. Una situazione di partenza che potremmo definire orizzontale, in cui la maggiore o minore ricchezza delle diverse famiglie era ridotta e non ostentata e diritti e doveri erano uguali per tutti.
Situazione destinata ad evolversi e cambiare radicalmente nel secolo successivo, proprio grazie alla ricchezza garantita da allevamento e traffici commerciali, che porta a una differenziazione e gerarchizzazione della società, con alcune famiglie, una ventina, che riescono ad accumulare patrimoni notevoli ed altre escluse da questo processo e marginalizzate. Nella Pentecoste del 1605 la Confratria distribuisce come tradizione “pane e ciceri…tanto a comodi come a mezani e poveri”, rimarcando, pur nel momento di apparente uguaglianza del pranzo condiviso, come la società sia ormai formata da tre strati distinti. “Comodi” sono i notabili, i grandi allevatori, i mercanti: cioè i ricchi. Dall’altra parte stanno i poveri, cioè servi, salariati, tosatori, operai della lavorazione della lana, disoccupati, invalidi. A separare le due estremità il gruppo dei mezani, costituito dalle famiglie meno fortunate o incapaci di seguire l’onda dello sviluppo economico.
Ma quello che colpisce maggiormente è la crescita demografica del paese della val Gesso, tipica di una realtà “industriale” in pieno boom economico e dovuta al fortissimo flusso migratorio che decuplica nel giro di un secolo e mezzo la popolazione: i 500 abitanti di metà 400 diventano 1800 nel 1571, 2800 nel 1599 e arrivano a sfiorare le 5000 unità a inizio 600. A questo punto, Entracque è a pieno titolo una città, più popolosa di Bra o Cherasco, che allora non arrivavano alle 4000 persone, e a poca distanza dai 5586 abitanti di Saluzzo.
Crescita demografica ed immigrazione sono dovuti, come capita in ogni epoca, alla possibilità di trovare lavoro, non solo nell’attività legata alla pastorizia, ma soprattutto nelle quattro gualcherie della comunità, cioè nella lavorazione, cardatura, follatura e tessitura della lana. I notevoli capitali prodotti dal commercio e dalla pastorizia erano stati infatti investiti, da alcuni imprenditori del posto e dalla stessa comunità, nella costruzione di edifici e macchinari per trasformare la lana grezza delle pecore in un prodotto richiesto e di alto valore. Col termine ormai desueto “gualcheria” o anche “gualchiera” si intendono sia i macchinari per la follatura e l’infeltrimento della lana (vasche e magli) sia l’edificio stesso che li conteneva. Il processo era laborioso e prevedeva la preventiva cardatura, filatura, tessitura ma portava a un panno resistente, impermeabile e traspirante, prezioso antenato dei nostri goretex e degli attuali tessuti tecnici sintetici.
Una produzione a ciclo chiuso, che partiva dall’allevamento, passava per la tosatura invernale, per tutte le complesse e lunghe fasi di lavorazione e finiva con la commercializzazione del panno. Tutte attività che richiedevano molta manodopera e facevano di Entracque un polo di attrazione per l’enorme massa di persone alla disperata ricerca di un modo per riempirsi la pancia e ripararsi dal freddo. (continua)

Pubblicato su La Guida del 27 febbraio 2020