Lo strano caso di Entracque 1

Nella Relazione del 1716 il record di povertà fra i 57 comuni che allora componevano la Provincia di Cuneo era detenuto da Entracque, col 62% di miserabili, ben 1700 su una popolazione di 2750 persone. Un dato che spicca anche nel panorama di povertà diffusa messo in luce dalla Relazione e che distanzia di molto tutte le altre Comunità di montagna, che arrivavano al massimo al 50%.
Questi numeri così negativi mi avevano stupito, visto che nel mio girovagare passato per archivi mi ero imbattuto in molti documenti che dimostravano che il paese della val Gesso era noto per la ricchezza e la potenza dei pastori e per l’intraprendenza commerciale dei propri abitanti, che avevano creato una fiorente industria di lavorazione della lana.
Dato che la curiosità è una buona maestra e una piacevole compagna, ho ripreso in mano un po’ di materiale d’archivio di passate ricerche (e per questo sia benedetta la tecnologia, che con fotografie digitali e computer ci regala possibilità un tempo impensabili) e ho anche approfittato della cortesia di Diego Deidda, uno dei massimi esperti di questioni storiche legate alla pastorizia, autore di importanti saggi sull’argomento (e per questo sia benedetta l’amicizia, che fra le tante altre cose positive, serve anche a risolvere problemi e dissipare dubbi: chiedere a chi sa è ancora il mezzo più efficace per informarsi).
Per capire lo strano caso di Entracque nel Settecento bisogna partire da lontano e risalire a quel periodo che gli storici definiscono “pieno medioevo” e che va dall’ XI al XIII secolo, cioè dall’anno 1000 a fine 1200. Un’epoca di prosperità per le nostre valli, favorite anche dal clima mite che aiutava le colture in quota e i commerci attraverso i passi alpini.
La montagna, allora, era privilegiata rispetto alla pianura per il possesso di vasti pascoli sfruttati in modo comunitario, che permettevano l’allevamento di un gran numero di bovini e ovini. Un immenso capitale a quattro zampe (il termine piemontese “caviàl” non è casuale) che poteva sopravvivere in inverno scendendo in pianura, con una transumanza inversa rispetto a quella attuale, sfruttando i terreni comuni non appoderati in quel tempo ancora molto diffusi anche nei dintorni di Cuneo.
Il patrimonio zootecnico e l’abbondanza di risorse foraggere si traduceva in una forza economica che diventava, come sempre, forza contrattuale e politica e le comunità locali erano riuscite, in quei secoli, a garantirsi autonomia e privilegi, fra cui esenzioni di pedaggi e gabelle. Tutta l’alta valle Stura era, ad esempio, libera dalla gravosa tassa sul sale e ancora nel Settecento non era obbligata a sottostare a quella che allora era una pesante e odiosa imposizione fiscale.
Il forte raffreddamento climatico iniziato nel 1300 (che gli studiosi definiscono addirittura “piccola età glaciale” e che è durato, con alti e bassi, fin quasi a inizio Novecento, quando la tendenza si è invertita anche per azione antropica) ha posto fine a quel periodo d’oro della nostra montagna. Estati fredde e piovose, con conseguenti malattie fungine dei cereali, carestie ed epidemie hanno messo a dura prova gli abitanti delle terre alte. Anche la famosa peste del Trecento si innesta su questa triste sequenza di disgrazie: come sempre, le malattie epidemiche si diffondono meglio in una popolazione malnutrita e depressa.
Ma la vera causa dell’inversione di tendenza che ha cambiato i rapporti di forza fra montagna e pianura è stata la privatizzazione e la messa a coltura dei terreni comuni attuata nel secolo successivo grazie agli imponenti lavori di canalizzazione e bonifica che ancora oggi sono testimoniati dalle tante “bialere” che solcano il cuneese. Fino ad allora la pianura, ancor poco coltivata, era stata la valvola di sfogo che consentiva la sopravvivenza nella cattiva stagione di mandrie e greggi di proprietà di allevatori di montagna. Non poter più usare liberamente in inverno i gerbidi e le terre marginali migliorate e bonificate grazie alla rete di canali ha creato problemi non indifferenti alle varie comunità delle medie e alte valli, che hanno cercato di reagire, ognuna in modo e con risultati diversi.
Entracque, in questa situazione difficile, ha saputo, per lungimiranza o per fortuna, attuare una strategia vincente che ha posto le basi per lo straordinario sviluppo economico del periodo successivo.
A fine Quattrocento la situazione politica a Cuneo era complessa e dominata da fazioni che si contendevano il potere. In particolare due famiglie rivaleggiavano per il controllo della città: i Morra e i Dal Pozzo.
In questo scenario, la scelta dei Morra di allearsi con gli allevatori della val Gesso (sfruttando anche i legami di parentela con la potente famiglia dei Lovera originari della valle) e di adoperarsi per la concessione dei Privilegi accordati attorno al 1480 si rivela vincente e crea accordi che produrranno vantaggi sia per Cuneo che per Entracque, a scapito delle altre comunità alpine, soprattutto della valle Stura e della val Grana. Il tutto, naturalmente, con ricadute positive per gli stessi Morra, che resteranno interlocutori privilegiati e alleati naturali di una florida potenza economica valligiana, sostituendo i Dal Pozzo (di cui torneremo a parlare) nel ruolo di referenti delle comunità alpine.
Nei patti vi era la conferma per i cittadini della val Gesso degli antichi diritti consuetudinari, l’esenzione di pedaggi e gabelle e la libertà di commerciare bestiame. In cambio, era previsto che negli alpeggi di Entracque potessero pascolare, oltre a quelli locali, solo capi provenienti dalla giurisdizione di Cuneo.
Un accordo positivo per entrambe le parti, che permetteva una buona integrazione fra le esigenze di montagna e pianura e che favoriva in modo determinante gli allevatori di Entracque, garantendo loro prosperità e sviluppo e mettendo le basi per quello che diventerà, nei decenni successivi, un vero e proprio monopolio. (continua)

Pubblicato su La Guida del 20 febbraio 2020