Relazione del 1716/2 Ospedali e strutture assistenziali

Quando siamo tentati di lamentarci per i disservizi e le incongruenze della nostra sanità e per le carenze delle strutture assistenziali per anziani e bisognosi, possiamo consolarci leggendo quale fosse la situazione nei nostri comuni tre secoli fa.
La relazione del 1716, firmata dall’ “Umilissimo, Fedelissimo et Obedientissimo Servitore e Vassalo M. Rubato” e preceduta da tabelle riassuntive, ci dà precise informazioni su come fossero gestiti allora questi servizi.
I comuni dotati di ospedale, secondo la Relazione, sono Cuneo, Aisone, Borgo san Dalmazzo, Bersezio, Busca, Centallo, Caraglio, Dronero, Limone, Pietraporzio, Sambuco, Vinadio e Vernante. In genere si tratta di strutture molto modeste, composte da poche stanze e con un numero ridottissimo di letti. Molto basso, di conseguenza, anche il numero dei “poveri albergati di presente”.
La distribuzione sul territorio è molto disomogenea, con una forte concentrazione in valle Stura dove troviamo cinque dei dodici ospedali di cui è dotata l’intera Provincia e per di più in comuni fra loro confinanti.
Colpisce anche la sproporzione fra il numero delle stanze e quello dei letti disponibili: a Borgo quattro stanze ma solo tre letti, a Busca “sei stanze, due dormitori, tre camerini e due crotte” con in tutto quattro letti e due ammalati, a Centallo due stanze e due letti, di cui uno solo occupato da una donna inferma, a Caraglio una sola piccola stanza con un unico letto.
L’ospedale di Dronero è di dimensioni più rilevanti e ha due infermerie separate per uomini e donne e altre tre stanze, ma solo sei letti in tutto; a Limone vi sono sei stanze “al secondo piano, per essere il piano di terra della Confratria” e sette letti, tutti vuoti.
A Vernante le stanze sono due, ma una è occupata dall’ospitaliere, a cui va anche come “mercede…bona parte” delle 12 lire annue di reddito dell’ente.
A Vinadio l’ospedale ha due case con complessivi quattro letti, tutti occupati.
Ancora peggiore la situazione negli altri comuni dell’alta valle Stura. A Pietraporzio vi è la casa dell’ospitaliere, che “resta tenuto” ad alloggiare i pellegrini “ma non vi sono letti ne amallati”. Ad Aisone vi è un “ospedale per li poveri” che ha “due piccole stanze e due crotte” ma è senza letti né mobili. A Sambuco il ricovero gestito dalla Comunità sembra puramente teorico, visto che non possiede alcun immobile: “vi è una specie di ospedale senza fabrica e senza letti”.
In realtà, più che di veri e propri ospedali nel senso moderno del termine, doveva trattarsi, soprattutto nelle località di alta valle, di ospizi per ricoverare pellegrini o viaggiatori ammalati o bisognosi. La struttura di Limone, ad esempio, pur essendo dotata di sette letti non dava ricovero a poveri e ammalati del paese, che “sono soccorsi nelle case lluoro per conto di detto ospedale”, “e questo ad effetto di poter dare alloggio a poveri forastieri e pellegrini in occasione di luoro passaggio della Colla, a quali pure si usa dare qualche caritatevole soccorso per il vitto”.
Anche allora, la struttura sanitaria e assistenziale più importante era a Cuneo, che a quei tempi contava poco più di 9400 abitanti fra concentrico e “finaggio”. La Relazione ci informa che in città vi è “un ospedale per li poveri amalati, Pellegrini et esposti” dotato di quasi 9000 lire annue di reddito medio, derivante da “cenzi, credditi, fitti di case, canoni e redditi di cassine”. La somma è per l’epoca ingente, ed è usata tutta “a benefficio, uso, carità e servaggio” dello stesso ospedale e “ben spesso” non è neppure sufficiente per la gestione ordinaria.
L’ospedale ha 37 stanze inclusi due dormitori, ma il numero totale dei letti è anche qui basso: 28 in tutto, 15 per gli uomini e 13 per le donne.
Ingente invece l’apparato direttivo: un Rettore, un Vicerettore, un Controllore, un Segretario, un Tesoriere, un Massaro de poveri, otto consiglieri, tutti appartenenti alla Confraternita di Santa Croce, eletti “parte di anno in anno e parte di sei mesi in sei mesi” e assistiti da un sindaco e dal Vicario Episcopale.
L’impressione è quindi di una complessa macchina burocratica, con costi e redditi elevati e con una struttura per l’epoca abbastanza imponente, ma con uno scarso impatto sulla realtà sanitaria e sociale.
Quest’ultima, almeno a leggere i dati della Relazione, doveva essere davvero drammatica e di certo, soprattutto in occasione delle ricorrenti carestie ed epidemie, la sessantina di letti disponibili in Provincia fra ospedali, ospizi e ricoveri vari non doveva bastare a risolvere i problemi della popolazione.

Pubblicato su La Guida del 16-1-020