Coincidenze quasi casuali

Non sempre le coincidenze sono casuali, anzi, a volte assumono la forma che Jung definiva “sincronicità” e possono lasciar intravvedere, fra le pieghe degli avvenimenti che si sovrappongono, qualche filo conduttore che ci aiuta immaginare disegni e progetti o effettuare collegamenti impensati.
Due notizie sui quotidiani di qualche giorno fa, accomunate solo dalla stessa data di pubblicazione e dalla lettura quasi contemporanea.
Una mi riguarda più da vicino: a Dronero, per iniziativa del centro culturale Il Dragone e con il sostegno del Comune, si rende omaggio alla memoria di cinque deportati morti a Mauthausen con la posa di altrettante pietre d’inciampo nella vicinanza delle abitazioni di ognuna delle vittime. Una fotografia d’epoca ricorda quel triste 2 gennaio del 1944 in cui i nazisti fucilarono otto ostaggi e arrestarono i cinque cittadini successivamente internati e deportati, col chiaro intento di reprimere sul nascere ogni forma di resistenza al regime. Una colonna di fumo di alza dal concentrico del paese: è la tipografia e la casa di mio nonno, Cristoforo Coalova, che stava bruciando. Per lui, per mia nonna Bianca, per mia mamma Marisa, che allora aveva 12 anni e per il fratellino Aldo di sei mesi, iniziava un doloroso calvario.
Mio nonno Cristoforo faceva di mestiere il tipografo e col suo socio Lantermino stampava un giornale, il Progresso della Val Maira, nato a inizio secolo e fatto chiudere già da anni proprio dal regime a cui dava fastidio. Scrivere e stampare parole di libertà è cosa pericolosa e per nonno Cristoforo e per la sua famiglia il prezzo pagato è stato altissimo, crudele e forse insensato.
È bello che a settantasei anni di distanza da quel brutto giorno si ricordino le vittime di allora scrivendone i nomi nella pietra e nell’ottone, non solo perché, parafrasando il Talmud, una persona continua a esistere finché se ne ricorda il nome, ma anche perché la nostra memoria è facoltà precaria, che ha bisogno di continui richiami e stimoli per mantenersi in vita. Soprattutto in questi tempi, in cui la nostra piccola testa è riempita all’inverosimile di dati, cifre, scadenze, incombenze che occupano l’esiguo spazio del nostro disco fisso mentale e distolgono la concentrazione e l’attenzione dalle cose veramente importanti.
Ma la memoria, come anche l’attenzione, non deve solo essere volta al passato, non consiste solo nel tenere a mente avvenimenti, valori e persone di tempi ormai lontani per non spezzare il filo del ricordo e della riconoscenza. Ha senso solo se vissuta nel presente e proiettata nel futuro. E la parola “riconoscenza” non è solo gratitudine, ma ha qualcosa del “riconoscersi” nei valori, dell’immedesimarsi negli sforzi e nella sofferenza, del partecipare al comune impegno per un ideale con chi ci ha preceduto e indicato la strada.
La seconda notizia che, per i giochi improbabili delle associazioni il mio inconscio ha collegato in qualche modo alla prima, ha per titolo “Casaleggio fa causa al giornale fondato dal partigiano Segre per un articolo che definiva la piattaforma Rousseau una distorsione della democrazia”.
Davide Casaleggio che cita per danni L’incontro, un piccolo giornale nato nell’immediato dopoguerra per iniziativa del partigiano Bruno Segre e trasformato da pochi mesi in una testata on line da un gruppo di soci intenzionati a non disperdere l’eredità morale del fondatore, sembra una triste parodia della vicenda biblica di Davide e Golia, con coincidenza di nome ma ruoli invertiti. Usare la giustizia civile, coi tempi (questi sì, biblici) e i costi che tutti conosciamo e che la rendono un’arma in mano ai forti invece che una garanzia per i più deboli, è, a mio giudizio, la prova provata di quanto abbiano ragione a preoccuparsi i continuatori del pensiero di Segre per lo stato della nostra democrazia.
Il “controllo tentacolare che l’associazione Rousseau effettua sistematicamente sulla Rete che dissente” (per citare testualmente l’incipit dell’articolo in questione) è anche la triste conferma di quanto poco rimanga dell’idea di “movimento” che, almeno all’inizio, aveva sedotto e interessato molti militanti e simpatizzanti.
Io resto dell’idea che la democrazia rappresentativa resti l’unico sistema che possa garantire libertà e diritti civili e che la “rete”, come sembra indicare anche il nome, serva a imprigionarci e legarci piuttosto che a garantire trasparenza e rispetto di tutti. I giganti del web, che ormai conoscono, accompagnano e condizionano in ogni istante le nostre vite ce ne offrono una quotidiana verifica.
Reprimere il dissenso è, sempre e in ogni caso, “una distorsione della democrazia” e l’anticamera di ogni forma di dittatura. È anche il sintomo di una debolezza intrinseca, dell’inconscia consapevolezza dei propri limiti ed errori, dell’attaccamento a quel potere che si diceva di combattere.
Cinque pietre d’inciampo per cinque persone che hanno pagato con la vita l’ostinazione di voler difendere le proprie idee e le libertà civili. Fra loro, mio nonno e il suo amico e socio rei di aver stampato parole non gradite al regime.
Un giornale citato in tribunale per aver espresso un’opinione.
Due notizie senza alcun collegamento fra loro, ma apparentate dalla comune presenza sui quotidiani sfogliati nella stessa mattinata. Una semplice coincidenza (ma di casuale, e in questo concordo con Jung, nelle nostre vite c’è davvero poco) che può servire a ricordarci che la memoria è dovere sempre attuale e che ogni forma di dittatura (o se vogliamo, ogni “distorsione” della democrazia) inizia sempre col mettere il bavaglio ai giornali e col reprimere ogni forma di legittimo dissenso.

Pubblicato su La Guida del 23-1-020 col titolo: “Le parole di libertà danno fastidio”