Multe fra storia e attualità

Il problema delle multe ha attraversato ogni epoca storica e fin dagli Statuti medievali dei nostri comuni troviamo l’argomento riproposto continuamente. Come per gli attuali governanti, anche per i signori e signorotti di allora era prassi diffusa far cassa con pesanti sanzioni e gli Statuti dei nostri paesi nascono anche col preciso intento di salvaguardare i cittadini dall’ingordigia dei potenti e di imporre regole precise e condivise.
Oggi più che mai è importante far tesoro degli insegnamenti che ci arrivano da questi antichi corpi legislativi, particolarmente preziosi perché costituiscono un primo (e per certi aspetti ultimo e purtroppo unico) tentativo di reale autogestione da parte delle piccole comunità locali. Un’esperienza che, dopo sei secoli, ha ancora molto da insegnarci: la storia può essere davvero maestra di vita, a patto che trovi alunni attenti e disponibili a recepirne i silenziosi insegnamenti. Quella che noi chiamiamo storia, infatti, è un immenso catalogo di cose successe e che continuano a riproporsi periodicamente, un’esperienza collettiva che può servire a capire il presente e indirizzare il futuro.
Una prima cosa che colpisce studiando gli antichi Statuti è l’attenzione a mantenere il delicato equilibrio fra la necessità di far rispettare con il giusto rigore norme condivise e quella di non “approfittare” del potere sanzionatorio in modo illegittimo o ingiusto. Diversi articoli limitano in maniera precisa i compiti dei “campari”, le guardie forestali del tempo, che devono sempre rendere conto del loro operato, non possono maltrattare cittadini o forestieri di passaggio, non possono entrare in appezzamenti recintati senza permesso e neppure prendere direttamente quanto dovuto come ammenda. Gli stessi campari dovevano essere scelti fra persone del paese che possedevano terreni ed avevano esperienza pratica di coltivazione e allevamento. L’incarico era temporaneo, soggetto a veloce turnazione e i prescelti dovevano giurare di operare in modo corretto e rispettoso.
Si poneva la massima attenzione a distinguere i comportamenti dolosi e delittuosi, puniti con una severità che ai giorni nostri sembrerebbe eccessiva, dagli sbagli non intenzionali, che non erano neppure multati. Oggi può farci sorridere leggere, nel bel latino medioevale degli Statuti di Valgrana, dopo il lungo elenco di sanzioni per i danni causati dal bestiame alle diverse colture, che non erano puniti sconfinamenti di animali imbizzarriti perché punti dal tafano, o di vacche in calore e perfino di scrofe con il codazzo di porcellini lattanti (trogia cum parviculos porcelos). Ma il testo dimostra che le norme erano state scritte da gente del posto, dotata di buon senso e di precise conoscenze pratiche della realtà locale e che le sanzioni avevano lo scopo di punire il dolo e l’abuso volontario, senza accanirsi nel caso di trasgressioni non intenzionali.
Gli anonimi estensori dei Capitula magari non erano più in grado di usare perfettamente la lingua di Cicerone, ma sapevano per esperienza personale quanto fosse difficile far convivere agricoltura e allevamento e quanto fosse importante adeguare le norme al mutare delle situazioni.
Appositi ufficiali, i capitulatores, avevano proprio il compito di mantenere aggiornate le leggi e dovevano anche “interpretarle”, in modo che fossero sempre chiare e precise. Gli estensori delle norme erano responsabili di quanto avevano scritto e dovevano far in modo che non sorgessero dubbi sia nella forma che nella sostanza dei diversi articoli.
Senza ricadere nella inutile e superficiale tendenza a rimpiangere o idealizzare il passato è difficile non fare paragoni con la situazione attuale. Quando si vedono applicare multe insensate per piccole trasgressioni o si cerca inutilmente di orientarsi nella giungla di una legislazione contorta, illeggibile e spesso incoerente, viene infatti spontaneo chiedersi dov’erano i nostri parlamentari quando venivano concepite e approvate simili norme.
In realtà, non credo sia corretto prendersela con chi abbiamo scelto a rappresentarci, oggi spesso oggetto di un tiro al bersaglio dettato da qualunquismo o, peggio, da precisi interessi e poco nobili intenti. È facile convogliare la rabbia, spesso giustificata, del cittadino vessato e frustrato contro persone che abbiamo comunque scelto e che diventano loro malgrado simbolo e parafulmine per ogni male della società. Gli eletti sono forse le prime vittime di un sistema che mira a delegittimare il parlamento, sostituendolo con un decisionismo di stampo dittatoriale o con l’anonimato manipolabile della rete. Il problema, secondo me, non sono i parlamentari, ma chi cerca di rendere superfluo il parlamento, riducendolo a costoso teatrino di piccoli funzionari frustrati agli ordini del megalomane di turno o di oscure SRL. Inutile lamentarsi per le molte assurdità delle troppe leggi, se non restituiamo dignità, fiducia e potere a chi le deve fare a nome nostro.
Detto questo, è comunque difficile non provare sconcerto davanti al sistema attuale, in cui pare ci sia una proporzionalità inversa fra gravità della colpa e peso della sanzione. La cronaca è ricca di episodi di reati odiosi e gravissimi in cui i colpevoli paiono cavarsela con un buffetto sulla guancia, mentre cittadini per bene e onesti lavoratori devono fare i conti con sanzioni pesantissime.
Il cattivo insegnante è colui che tartassa gli alunni tranquilli e studiosi, da cui sa di non ricevere contestazioni e ritorsioni, e lascia tranquilli quelli che ritiene irrecuperabili o troppo “pericolosi”. Lo Stato sta comportandosi proprio così, da cattivo maestro, colpendo senza pietà chi lavora, chi possiede qualcosa, chi ha qualcosa da perdere: insomma, qualsiasi soggetto che sia spremibile, da cui sa di poter ricavare comunque tasse e sanzioni. E sembra lasciare nel limbo dell’impunità chi invece non “rende”, anzi, rappresenta solo un potenziale costo. Multare un cittadino onesto fa incassare, mettere in galera un delinquente costa. Una logica perversa che si spera non sia frutto di precise scelte o di cinismo contabile e resti solo un’impressione superficiale dettata dall’accavallarsi di fatti di cronaca.
Resta il fatto che è comunque difficile non cadere nella tentazione di pensare che lo Stato applichi due pesi e due misure a seconda della categoria di chi si trova davanti. E anche, a seconda della zona geografica di appartenenza. Nell’articolo di qualche settimana fa, il cronista faceva notare come multe così severe siano una triste esclusiva della nostra bella provincia granda. Un bel federalismo fiscale al contrario e un aiuto concreto per rimandare all’infinito la soluzione della cosiddetta “questione meridionale”.
“In Italia gli unici che hanno qualcosa da temere sono quelli che lavorano”. Una frase di un ignoto vicino di bancone al bar, colta al volo qualche giorno fa fra le voci degli altri avventori e liberamente riassunta e tradotta dal piemontese. Chiacchiere da bar, fra un gruppo di muratori in sosta caffè, ma significative del livello generalizzato di esasperazione e delle difficoltà reali che incontra, oggi più di ieri, chi vive del proprio lavoro. Un aspetto che dovrebbe preoccuparci tutti, perché, come scriveva Pasolini “Quando contadini e artigiani spariranno sarà la fine della nostra storia”.
Pubblicato su La Guida, 11 aprile 2019