Fiducia e auto usate

Il vero motore che muove l’economia non è tanto la domanda, come sosteneva Keynes, o la produzione, come pensavano i suoi predecessori, ma la fiducia. È la fiducia il pilastro su cui si basano gli scambi, il credito, la moneta, le compravendite, gli investimenti.
Ma il sostantivo che concretizza l’atto dell’affidarsi ha ben altro spessore e profondità e non si limita all’orizzonte economico.
La fiducia è la materia prima di ogni relazione, compresa quella col trascendente, che chiamiamo fede. È una “materia prima” molto concreta e basilare, tanto è vero che su di essa fondiamo (nel senso letterale del termine, di costruire fondamenta) qualsiasi rapporto importante, di amicizia, di amore, di lavoro, di affari. Ha, però, consistenza che spesso sfugge alla nostra tendenza di catalogare e misurare ogni cosa.
Il termine ha pure un’inguaribile tendenza anarchica: non si lascia comandare da nessuno, si nasconde in quegli anfratti dell’anima che sono immuni da ordini e leggi e in cui si rifugia quella che chiamiamo libertà.
Non si può imporre la fiducia, al massimo si può cercare di meritarsela. Non la si può comprare o vendere, anche se qualsiasi scambio o compravendita si basa proprio sulla fiducia. Non esistono unità di misura della fiducia e neppure algoritmi in grado di calcolarne la quantità esatta o di valutarne l’importanza. Non si lascia incasellare in formule, graduatorie, statistiche e classifiche, nonostante tutti i tentativi di questa attuale società che proprio non sopporta ciò che non riesce a imprigionare in un numero.
La fiducia ci regala anche una definizione di amicizia: l’amico è colui di cui possiamo, in ogni caso e circostanza, fidarci.
Il termine è quindi di altra categoria e consistenza, rispetto all’orizzonte in cui si muove l’economia, ma qualsiasi sistema economico non può fare a meno di questa semplice parola. La cosa non stupisce, perché anche l’economia è relazione e ogni relazione si fonda su questo pilastro. Facendo un paragone con la geometria, potremmo definire la fiducia il postulato su cui si basano tutti i teoremi della “scienza” economica. Come ogni postulato, non ammette e non richiede dimostrazioni, ma serve a tenere insieme tutta la complessa costruzione mentale che si appoggia su quelle fondamenta.
“Dare fiducia, fidarsi” e, dall’altro versante, “meritare fiducia” sono quindi scelte importanti, da non fare con leggerezza. Nonostante sia convinzione comune che “la fiducia è una cosa seria”, spesso, per qualche strana ragione, tendiamo a dare fiducia a persone poco affidabili con una superficialità di giudizio inversamente proporzionale all’importanza delle scelte. E, in genere, non riusciamo a rendercene conto finché non siamo messi di fronte all’evidenza dell’assurdità del nostro comportamento.
A nessuno verrebbe mai in mente di scegliere un dentista che non abbia mai fatto studi di medicina o pratica nel settore, un idraulico che non capisca “un tubo” e che creda che una pinza a pappagallo sia una specie di volatile esotico, un commercialista che non sappia nulla di imposte e dia i numeri.
Eppure la maggioranza degli italiani ha scelto un ministro del lavoro che non ha mai davvero lavorato in vita sua, affidandogli pure il dicastero dello sviluppo economico, un ministro degli interni con un curriculum da concorrente di quiz televisivi e che si era autodefinito “un nullafacente”, un ministro delle infrastrutture che confonde tunnel e valichi e ha idee vaghe sui diversi concessionari delle autostrade. Da tempi remoti, poi, il Ministero della Pubblica Istruzione o MIUR che dir si voglia, è occupato sovente da persone che sembrano messe lì a conferma di quanto sia davvero necessario, per tutti noi, istruirsi, studiare o almeno informarsi per non ridursi in quello stato.
Sembra un paradosso, ma facciamo molta attenzione a scegliere un imbianchino che lavori con cura, un buon meccanico per i malanni della nostra auto e un medico valido per i nostri acciacchi e poi affidiamo il presente e il futuro della nazione a persone con curriculum deprimenti, competenze inesistenti e comportamenti e linguaggio inadeguati alla carica.
Nel 1960 la campagna elettorale per la presidenza americana fu vinta sul filo di lana, per una manciata di voti da John Kennedy contro Richard Nixon. Quella di allora è ricordata come la prima campagna elettorale, “moderna”, nel senso che per la prima volta ebbero una forte influenza sull’esito i dibattiti televisivi, gli slogan e l’immagine del candidato filtrata dai media. Pare che a decidere le sorti della nazione sia stata allora la geniale trovata dei democratici di pubblicare una foto dell’avversario con in calce la domanda: “compreresti un’auto usata da quest’uomo?”. Davanti all’espressione e alla personalità di Nixon l’elettore indeciso fu messo “di fronte all’evidenza” e scelse l’avversario.
La trovata pubblicitaria dei democratici è servita allora a risvegliare l’elettorato e aiutarlo a fare “mente locale”. L’idea di immaginare la stessa domanda in calce alle tante fotografie dei vari leader presenti e passati a cui abbiamo affidato il futuro nostro e dei nostri figli può aiutare anche noi, oltre mezzo secolo dopo, a capire se quel capitale di fiducia che abbiamo dato a chi ci governa è stato ben riposto o se sia meglio correre ai ripari, prima che sia troppo tardi.

Pubblicato su La Guida del 29 novembre 2018