Relazione del Brandizzo 8

Brandizzo 8  Robilante

La diplomazia, il linguaggio “politicamente corretto” e tutte le variabili al confine fra ipocrisia e buona educazione che siamo soliti usare nei rapporti reciproci e, in modo ancora maggiore, nei documenti ufficiali, erano sconosciuti al Brandizzo. La sua Relazione è ricca di giudizi fulminanti, di epiteti duri, di frasi dirette.
Nessun giro di parole, nessuna remora, nessuna perifrasi. Si vede che non doveva rendere conto a potenziali elettori, come i politici odierni, e neppure sottostare a codici di comportamento dettati da consuetudini e convenienze.
Per questo, possiamo leggere che, a quei tempi, gli abitanti di Robilante (scritto Rubilante) erano “i più pigri uomini della provincia”. L’accusa è però limitata a “quelli che abitano al piano”, senza coinvolgere i montanari delle borgate.
Il motivo dell’epidemia di pigrizia lo potremmo definire, con parole attuali, conseguenza dell’eccesso di “assistenzialismo”, che genera l’abitudine di contare sulla pubblica carità pretendendo di essere mantenuti senza dover faticare troppo. Cose che capitavano anche nel lontano Settecento e non in terre remote, ma proprio a casa nostra.
Causa dell’anomala situazione, l’eccessiva ricchezza della locale Congregazione di Carità, padrona di mulini, segherie, cave di pietra da macine, torchio da olio, oltre a campi e castagneti.
“Redditi sì ragguardevoli ingenerano l’ozio e il vizio”, scrive l’Intendente, e favoriscono comportamenti scorretti: “i particolari mal inclinati fanno niente e pretendono che la congregazione li mantenga”. Invece di essere grati per quanto ricevuto, i beneficiati si lagnano per la distribuzione delle elemosine e i panni ricevuti in dono spesso vengono venduti invece che indossati.
A una Congregazione di carità ricchissima fa da contraltare un comune senza alcuna entrata. L’Intendente sospetta che “i redditi principali della congregazione spettassero alla comunità” e che fossero stati assegnati all’ente benefico per esimersi dal “renderne conto” e poter avere “un’amministrazione più libera ed un riparto tra di loro terrazzani”.
In altre parole gli abitanti di Robilante avrebbero dirottato sulla Congregazione gli introiti che dovevano essere pagati al comune (che non aveva quindi alcun reddito) in modo da poterli gestire senza troppi controlli e spartirseli fra loro.
Accuse molto pesanti, da codice penale si direbbe oggi, che però – scrive il Brandizzo con la consueta onestà – sono solo supposizioni: “non si è potuto trovare veruna scrittura che faccia vedere la verità”.
Anche se vecchio di due secoli e mezzo, stupisce questo giudizio così duro nei confronti del piccolo paese della media val Vermenagna, che oggi si caratterizza per la vivacità culturale, il senso comunitario, la buona musica e l’intraprendenza della popolazione.
Il resto della Relazione segue il consueto schema, adottato in tutti i paesi.
Gli abitanti sono 2000, “compresi grandi e piccoli”, la superficie del comune è di 6585 giornate “parte in piano, parte in montagna”. Si allevano 500 “bestie bovine, 200 lanute, 10 in 12 muli”. Contribuiscono al consumo di foraggio anche le osterie, una decina, “a cui accade anche di alloggiare delle bestie forestiere”. Il fieno è prodotto in loco e il suo prezzo è inferiore a quello di Vernante e Limone, paesi in cui la frenetica attività commerciale crea un eccesso di domanda con conseguenti impennate delle valutazioni.
Un prodotto “molto ragguardevole” è dato dalle castagne, ma la maggior parte dei castagneti appartengono a forestieri: “quelli di Robilante ne tengono una piccolissima porzione”. Molti boschi sono stati acquistati, come si è visto in precedenza, dai ricchi “commercianti” di Limone, per investire i proventi dello “sfroso del sale” e di altri generi di monopolio.
Nel territorio producono bene anche le piante di noce, mentre i gelsi rendono poco, a causa del clima troppo freddo. Il fresco è invece favorevole all’allevamento dei bachi che “fanno in questo luogo a meraviglia”.
I campi occupano quasi 750 giornate e, oltre ai consueti cereali (segale, barbariato, orzo, biada da cavallo) si producono anche 600 emine di legumi.
Non vi è “in questo luogo né fiera né mercato” e “l’occupazione di questi abitatori d’inverno si è di condur bosco su dei loro asinelli a vendere a Cuneo”.

L’articolo su Robilante è frutto del lavoro degli studenti della 4F dell’ITA Virginio-Donadio, in particolare di Jacopo Greco, insieme con gli insegnanti Anna Vivalda e Lele Viola. Pubblicato su La Guida del 28 aprile 2016.