Trilogia del rottamatore

Rottamare, rottamazione, rottamatore sono brutti neologismi figli di una società dello spreco, dell’usa e getta, del vuoto a perdere e dell’obsolescenza programmata. Sono anche una bestemmia contro l’ambiente, il lavoro contenuto negli oggetti e la povertà sempre troppo (e troppo inegualmente) diffusa.
Quando poi si pretende di rottamare uomini e idee, il verbo assume aspetti sinistri e preoccupanti. Per questo, senza alcun riferimento a cose o persone di pubblica notorietà, mi è venuto voglia di giocare un po’ con queste parole dissonanti, facendomi aiutare da due branche del moderno sapere scientifico di cui, naturalmente, conosco ben poco e da una disciplina umanistica che è ancora più lontana dal mio settore di teorica competenza.

Psicopatologia del rottamatore.
Si definisce “rottamatore” un soggetto spesso psicolabile, privo di scrupoli e ricco di ambizione, che ha come scopo dell’esistenza l’innalzare se stesso sul cumulo di macerie creato dalla sistematica distruzione del preesistente. Distruzione che viene in genere praticata con maggior facilità su materiali già parzialmente deteriorati. E’ più comodo, infatti, uccidere un soggetto agonizzante piuttosto che attaccare un essere nel pieno delle forze e, come ci insegnano i tre porcellini e il lupo cattivo, è più facile soffiar via una capanna di paglia che una casa costruita con solidi mattoni.  Questo mette in luce un aspetto peculiare della psicologia del soggetto: la fretta esistenziale e la tendenza a scegliere sempre la soluzione di minor impegno personale e di maggior risonanza pubblica.
Il rottamatore tipico è spinto dall’ansia di sostituzione, sindrome che lo rende stressato e petulante nella fase di spasmodica tensione volta al tentativo di prendere il posto del soggetto da rottamare. Spesso la causa profonda del comportamento disturbato (e soprattutto disturbante) è da ricercare in traumi infantili non risolti (il banco delle elementari vicino alla bambina bionda e carina con la coda di cavallo occupato dall’amico o il posto sull’altalena fregato dal compagno dell’asilo), che lasciano nella psiche del rottamatore tracce permanenti e lo spingono a un’ansia di rivalsa che si placa solo con l’accaparramento del bene agognato.
Tre sono i punti salienti che caratterizzano l’aspetto patologico della psicologia del soggetto: l’estrema finalizzazione dell’operato, la relativizzazione della scala dei giudizi e l’identificazione col nuovo.
Il primo punto evidenzia la tendenza patologica del rottamatore a finalizzare non solo il proprio agire, ma qualsiasi altro stimolo e sforzo dell’intera umanità alla realizzazione dell’obiettivo esistenziale primario: l’occupazione del posto ambito. Tutto nell’universo, dal big bang all’espansione delle galassie, dal materialismo dialettico alla lotta di classe è in funzione di cacciare colui che la psiche disturbata del soggetto identifica come un usurpatore del suo naturale diritto a sedere sul trono preparato per Lui fin dalla creazione del mondo.
La relativizzazione dei giudizi è conseguenza del primo aspetto: è moralmente buono tutto ciò che è funzionale al proprio progetto esistenziale e negativo, e quindi da rottamare, tutto ciò – cose, persone, ideologie – che si frappone alla realizzazione dello stesso.
Ma il più interessante dei tre sintomi patologici è l’ultimo: l’autoidentificazione col nuovo. Il soggetto ammalato è profondamente convinto di rappresentare un’assoluta novità sulla scena mondiale e identifica sempre se stesso col nuovo, anche quando, col passare del tempo, l’affermazione dovesse assumere aspetti grotteschi ed esilaranti.
Quest’ultimo aspetto è evidentemente legato all’essenza stessa della patologia: la spinta alla rottamazione è sempre l’illusione del rinnovamento.
Stiamo parlando, come detto in precedenza, di personalità psicolabili, per cui sarebbe inutile sforzarsi di spiegare al soggetto ammalato che arrivismo, egocentrismo, competitività esasperata e sindrome di onnipotenza sono vecchie come il mondo e che la vera novità sarebbe che apparisse, finalmente, sulla scena pubblica un uomo (o meglio ancora, una donna) normale, con un briciolo di consapevolezza dei propri limiti, umiltà sufficiente per imparare, immaginazione per calarsi nella realtà altrui, voglia di aggiustare e recuperare – non necessariamente rottamare – persone, idee e cose.

Etologia del rottamatore
Padre dell’etologia, branca delle scienze biologiche e naturali di recente acquisizione, è quel Konrad Lorenz noto al pubblico per le fotografie che lo ritraggono mentre cammina con un codazzo di pennuti al seguito. In realtà i suoi lavori sul comportamento animale, sull’istinto territoriale, sull’imprinting, sulle dinamiche del branco sono stati di basilare importanza per la scienza e possono aiutarci anche per capire le dinamiche profonde che stanno alla base del modo di agire del rottamatore.
Lo studio dei gruppi animali presenti in un determinato territorio ci dice che fra di loro si stabilisce una forte competizione per stabilire una scala gerarchica precisa e relativamente stabile. Il rottamatore deve essere visto in quest’ottica come il soggetto maschio emergente che turba gli equilibri di potere esistenti nel branco per occupare la posizione di vertice.
Negli allevamenti si riproducono gli stessi meccanismi esistenti in natura, con l’aggravante del sovraffollamento, dello spazio ristretto e della maggior conflittualità. La gerarchia animale stabilisce in un pollaio l’ordine di beccata, garantendo quindi al capo (il galletto più prestante e prepotente) il cibo migliore e più abbondante. Lo stesso accade in una stalla, in un ovile, in un porcile e, pare, anche in alcuni consessi frequentati dagli umani, come i sacri recinti della politica.
Fra gli ungulati in libertà che vivono in branchi (rupicaprini, mufloni, stambecchi) si crea un equilibrio precario che viene messo in discussione quando un giovane caprone emergente (nel nostro caso, il rottamatore) inizia a dare cornate al capobranco per saggiarne la forza e sfidarlo a duello. I combattimenti, pur molto spettacolari, seguono un preciso rituale e sono finalizzati alla definizione della gerarchia. Lo scopo della lotta non è mai l’eliminazione dell’avversario, tanto meno la messa in discussione del sistema gerarchico di privilegi: si tratta, semplicemente, di prendere il posto del rottamato, ereditandone vantaggi e prerogative.
La spettacolarità e teatralità del conflitto nasconde, quindi, un sostanziale accordo di base fra i due soggetti in competizione sull’intangibilità del sistema gerarchico su cui si regge la società animale.
Per questo, non appena definite le nuove gerarchie, il vecchio capobranco e il giovane caprone emergente stringono un tacito accordo di pacifica convivenza, conveniente ad entrambi. L’aspetto non cruento della lotta, infatti, va letto nell’ottica dell’accorto opportunismo che regola ogni azione del rottamatore, non in remore morali o in preoccupazioni di tipo umanitario.
Così il rottamatore, in realtà non rottama nulla, se mai ricicla.

Linguistica e semantica del rottamatore
Dopo due sproloqui scientifici, cerco di rimediare con un finale quasi umanistico.  
Le parole, come sappiamo, condividono con gli esseri viventi le tappe esistenziali: nascono, crescono, si accoppiano, si moltiplicano, invecchiano e muoiono. C’è un’inflazione semantica che ne riduce il valore e il peso, c’è un’usura dovuta all’eccesso di impiego, c’è, soprattutto, un pericoloso cambiamento progressivo di significato che svuota di senso anche i termini più importanti.
Nel nostro immaginario, la parola rottamazione è associata al cambiamento, a fare pulizia, a disfarsi del vecchio per avere finalmente cieli e terra nuovi. Questa impressione di rinnovamento, come abbiamo visto in precedenza, è del tutto falsa. Ma è anche ingannevole la sensazione di ecologismo che suggerisce il termine.
Il rottamatore, infatti, per definizione produce rottami, cioè crea rifiuti ingombranti, inquinanti e difficili da smaltire. E non si tratta della normale produzione di scarti, tipica di ogni metabolismo: in natura, ogni essere vivente usa le sostanze utili durante i propri cicli vitali ed espelle una piccola percentuale di prodotti non immediatamente usufruibili, come avviene, ad esempio nella digestione e nella respirazione. Questo processo produce scarti usati per altri cicli e soggetti: l’anidride carbonica che buttiamo fuori espirando è alla base della fotosintesi, che dà da mangiare a tutti gli esseri viventi, perfino gli escrementi diventano prezioso letame che regala fertilità ai campi.
Anche le cose apparentemente inutili o dannose vengono utilizzate per qualcosa di buono: Dio, o la natura (secondo i punti di vista) regala a cose e persone una nuova vita in cui tutto è valorizzato e nulla viene davvero scartato. E’ l’essenza della primavera o della Pasqua, della ciclicità o della Resurrezione (sempre secondo i diversi punti di vista, che non necessariamente devono poi essere davvero diversi).
Il contrario esatto del concetto di rottamazione, che significa dare la qualifica di scarto, in genere in forza di leggi ad hoc, le famose “norme”, a qualcosa ancora nel pieno delle proprie funzioni  esistenziali e vitali. Rottamare significa infatti sostituire un oggetto ancora utilizzabile facendolo diventare inutile rottame con qualcos’altro di non molto diverso (cambio la vecchia fedele automobile con il nuovo modello costoso e meno affidabile). La conclusione è il raddoppio degli automezzi, per la felicità dei vari Marchionne e delle autodemolizioni, ma non regala certo un mondo più verde e pulito. Come succede con le banconote, si spacciano anche parole false, che suggeriscono al nostro inconscio significati opposti a quelli realmente contenuti nel termine. La differenza è che gli spacciatori di biglietti di banca contraffatti vanno in galera, quelli che ci invadono la vita di parole false, a volte vanno al governo.

Come detto in precedenza questa trilogia non ha altro scopo che giocare con penna e tastiera e non ha alcun riferimento a fatti o persone conosciute (parola di boy scout).
Tutto questo, purtroppo, non è neppure una favola, ma una morale ce l’ha lo stesso. Chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui, saprà di certo trovarne una adatta alle proprie idee politiche e tendenze psicologiche. L’analisi dell’inquietante (ma fortunatamente del tutto ipotetica) figura del rottamatore potrebbe continuare con altre branche del sapere: la filosofia del rottamatore, la termodinamica del rottamatore, la matematica del rottamatore (divisione degli avversari, moltiplicazione degli incarichi e via discorrendo).
Meglio fermarsi qui e interrompere il gioco.
Meglio concentrarsi su quello che sta succedendo davvero nel Bel Paese.
Una riforma al mese, cominciando guarda caso dal lavoro, pardon, dal jobs act, che seppellisce definitivamente il posto fisso e condannerà giovani e meno giovani all’eterna precarietà e ai conseguenti ricatti (neppure la Fornero era riuscita a fare di peggio). La cancellazione delle Province, atto di facciata, che priverà i cittadini di utili enti intermedi allontanando sempre più i centri decisionali dalle zone decentrate. I prossimi attacchi alla Costituzione. Gli F35 che non sono in discussione, la Tav che si farà a ogni costo. I supermanager di stato, i Mastropasqua, gli Scaroni, i Moretti, per i quali i soldi ci saranno sempre. I precari, i disoccupati, gli esodati, i fregati di quota 96, per i quali i soldi non ci saranno mai. La legge elettorale, che continua a sottrarre ai cittadini il sacrosanto diritto di decidere i propri rappresentanti. La sospensione ormai decennale della democrazia. Un comico inacidito e ingrigito con socio sfuggente e occhialuto che pretende di dettare legge senza passare per il setaccio delle urne e vuole intrappolarci tutti nella sua Rete. La gente ormai stanca e sfiduciata, disposta a seguire le sirene del primo venuto che prometta un cambiamento. Anche di uno che può vantare un curriculum di boy scout e concorrente a quiz televisivi, oltre che di utilizzatore a titolo gratuito di confortevole appartamento centrale in Firenze.

Ps L’alloggio in questione, in via degli Alfani (curiosa coincidenza) era molto vicino a quello in cui mia figlia, studentessa all’Università, affittava una stanza di neanche sei metri quadri (in pratica un corridoio con letto) per la modica cifra di trecento euro al mese. Conservo le ricevute, non ho fatto il boy scout nè partecipato alla Ruota della Fortuna ma – per mia fortuna – non posso contare su certe “amicizie”.

Pubblicato sul Granello n°2 del 2014