Piccole grandi cose

In questo tribolato inizio di terzo millennio riesco a trovare grande consolazione solo nelle piccole cose. I grandi eventi li sopporto sempre meno e hanno addirittura per me un effetto depressivo. Mi stupisce e mi rallegra, invece, vedere come ogni volta si ripeta il miracolo del granello di senape e della misura di lievito e come  piccole iniziative apparentemente trascurabili sappiano scovare in sé forze di crescita insospettate capaci di generare movimenti efficaci e produrre risultati insperati.
Forse la generale sfiducia non tanto nelle Istituzioni, ma in chi le ha occupate con la forza della dittatura mediatica, il peso di una ricchezza sfacciata e una volgarità imperdonabile di gesti e linguaggio, ha fatto nascere una voglia di riprenderci dal basso quello che ci siamo lasciati rubare dall’alto. Forse il crollo di borse, banche, imperi economici e regimi politici ci spinge a trovare riparo in gesti quotidiani capaci di costruire solide basi di appoggio a cui aggrapparsi per resistere a venti e tempeste presenti e future. O forse l’individualismo esasperato e lo spietato monoteismo di questo mercato signore e padrone di ogni cosa ci inducono per reazione a cercare soluzioni collettive e condivise, a inventarci strade nuove da percorrere insieme.  
Sabato 29 ottobre a Cassinetta di Lugagnano, piccolo comune in provincia di Milano, si sono ritrovate oltre 500 persone provenienti da 18 regioni italiane per battezzare la campagna nazionale “Salviamo il paesaggio. Difendiamo il territorio” promossa dal Forum italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio. Molti i relatori di qualità, moltissimi i messaggi di adesione e simpatia di personaggi “importanti”: addirittura il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto mandare un saluto.
Un movimento che si è consolidato e sta diventando incisivo, inizia ad avere, oltre all’appoggio di parti sempre più consistenti di opinione pubblica, anche quello di studiosi e uomini politici illuminati. Una realtà ormai su scala nazionale, diffusa in molte regioni, con comuni anche importanti che hanno deciso di seguire l’esempio di Cassinetta dell’ “opzione zero” o almeno della moratoria in campo edilizio.  
Eppure tutto è nato, non molti anni fa, dalle riflessioni e dall’impegno di un piccolo gruppo di amici sparsi fra le province di Cuneo e di Asti. Gino Scarsi, del Roero e Beppe Marasso di Neive, entrambi pacifisti “storici” e ambientalisti veraci (di quelli che prima di parlare hanno fatto, le mani sporche di saldatrice l’uno e di verderame l’altro) sono stati fra i fondatori del movimento “Stop al consumo del territorio”. Anche La Guida ha contribuito a mettere un po’ di lievito nell’impasto pubblicando fin dal 2007 qualche articolo sull’argomento utilizzato nella riflessione iniziale del gruppo. E non bisogna dimenticare che già trent’anni fa Gian Romolo Bignami lanciava l’allarme, proprio da queste colonne, per quella che definiva la rendita fondiaria parassitaria, cioè la crescente differenza di valore dei terreni fabbricabili rispetto a quelli agricoli, che avrebbe portato danni irreparabili sia all’agricoltura che all’ambiente.
Bignami è stato buon profeta, ma anche lui avrebbe faticato a immaginare l’attuale scempio e l’accelerazione folle nel consumo di territorio di questi ultimi anni. Lo scenario è davvero drammatico e il tempo che ci resta per agire con efficacia è poco.
L’ambiente non ha un’altra guancia da porgere. L’alluvione di Genova, proprio nell’anniversario di quella nostrana del 94 che fece 70 morti, e quella di pochi giorni precedente di Lunigiana e Cinque Terre ci ricordano che non possiamo permetterci di continuare a impermeabilizzare, coprire, cementificare e asfaltare il suolo senza pagarne conseguenze drammatiche.
Inutile piangere “poi”, meglio intervenire prima. E il migliore intervento non è quello costoso e difficile di tamponare i danni con ulteriori opere idrauliche – altro cemento, altri scempi paesaggistici, altri soldi -, ma di non crearne i presupposti rispettando il suolo.
In caso di piogge violente, sempre più frequenti in questo clima che si tropicalizza, l’unica vera difesa è diminuire la velocità di deflusso delle acque. Boschi, pascoli e prati sono capaci di fare un effetto spugna e di trattenere per tempi ragionevoli enormi masse di liquidi rilasciandole a poco a poco. Cemento, asfalto e altri tipi di manti impermeabili non assorbono nulla e lasciano scorrere immediatamente tutta l’acqua che ricevono dal cielo creando piene incontenibili.
Purtroppo siamo in tempi in cui anche i disastri fanno spettacolo, aumentano l’audience e distolgono l’attenzione dai quotidiani affanni e disgusti della politica. E aumentano pure il PIL, divinità unica a cui sacrificare ogni cosa, dalle vite umane alle relazioni al paesaggio. Ricostruzioni e “messe in sicurezza” hanno costi miliardari e richiedono tempi veloci: fretta ed emotività sono l’impasto ideale per eludere procedure trasparenti e spartirsi la torta fra i soliti noti. Soldi, che, fra l’altro, escono come sempre dalle nostre tasche sotto forma di nuove vessazioni, di tagli dissennati, di mancati servizi, di tasse più o meno occulte.
E’ molto interessante leggere oggi il comunicato del 29 novembre 2010 della Giunta Regionale ligure che si vantava di aver “messo in sicurezza” il Rio Fereggiano con una spesa di quasi dieci milioni di euro, coprendolo con una strada e 120 parcheggi. Come abbia funzionato la ricetta è sotto gli occhi di tutti.
Curare i danni del cemento con altro cemento non sembra una soluzione geniale – un po’ come curare un’indigestione col fritto misto o l’alcolismo con la grappa – ma è proprio quello che hanno fatto e che rifaranno. Le solite parole di circostanza, lacrime di coccodrillo ai funerali solenni e via di nuovo con le betoniere.
Ma non c’è da stupirsi e non è neppure un’anomalia solo italiana. A livello mondiale è da anni che stiamo finanziando la finanza, togliendo cioè soldi all’economia reale – i nostri stipendi, le nostre pensioni – per tenere a galla istituzioni finanziarie che hanno rubato e distrutto masse enormi di denaro.
Una banca francese, salvata dal fallimento coi soldi dei contribuenti, è stato il principale sponsor del G20 di Cannes, in cui i grandi della terra si sono ritrovati per ripetere la solita litania: sviluppo, progresso, grandi opere, liberalizzazioni, privatizzazioni. La cerimonia ha avuto i suoi costi: almeno 80 milioni secondo le stime più prudenti. E i grandi si sono trattati, manco a dirlo, alla grande: 37.000€ a notte la suite d’albergo per il padrone di casa Sarkozy, 34.000 la cameretta di Obama, solo 30.000 per quella del nostro premier (ma forse il servizio in camera era escluso). Cameron si è distinto per frugalità spendendo appena 2000€.
Tutti soldi spesi dai 20 grandi per dire a noi piccoli che è ora di tirare la cinghia, che bisogna lavorare di più e pretendere di meno, che i beni comuni non esistono, ci sono solo le merci, che lo stato sociale era un’utopia da dimenticare, che la salvezza verrà dalle grandi opere, dal progresso, dalle liberalizzazioni.
L’Italia, sorvegliata speciale, parente povero e zimbello d’Europa ha subito rassicurato i partner che farà sul serio incominciando dalla TAV: democrazia sospesa e militarizzazione della valle di Susa, carcere per chi si oppone. Come se la soluzione ai nostri dissesti economici potesse arrivare da ulteriori sprechi, dagli utili aleatori e a dai debiti certi di una linea ferroviaria inutile.
Due eventi contemporanei. Il convegno di Cassinetta: una piccola cosa nata in provincia da quattro amici con pochi mezzi, che è cresciuta in modo inatteso e ci regala una grande speranza.
Il G20: uno spiegamento di forze da colossal americano, spese folli per partorire la solita minestra insipida frutto di ricette superate e fallimentari.
E, in mezzo, l’ormai consueta alluvione autunnale che dovrebbe farci riflettere sull’importanza delle nostre piccole-grandi scelte e sull’urgenza di decidere da che parte stare e a chi dare fiducia.

Cervasca, 7 novembre 011            lele