Un viaggio di ritorno

Dopo molti viaggi in bici per andare da qualche parte, questa volta facciamo un viaggio per tornare. La meta è l’Italia, il punto di partenza Bratislava. In mezzo tanta acqua (e non solo nel senso, ahimè, di pioggia…): due fiumi, il Danubio e l’Inn ci indicheranno la strada di casa. Contro corrente, ma soprattutto, contro vento e contro il flusso dei colleghi ciclisti, più propensi a seguire la logica e la forza di gravità…
Di Bratislava colpisce il contrasto fra la bellezza tranquilla della città storica e lo squallore della parte moderna. Il centro è una piccola Vienna, con un tocco di snobismo in meno. In periferia, socialismo reale e piani quinquennali hanno lasciato poco spazio alle divagazioni urbanistiche: molti edifici sembrano voler far concorrenza, per mole e bruttezza, al nostro palazzo degli uffici finanziari. Quando cechi e slovacchi si sono divisi l’eredità dell’unico stato, satellite dell’URSS, a questi ultimi è toccata la parte del parente povero, con un’economia agricola arretrata associata ad un tasso elevato di inquinamento ambientale: insomma, il massimo della sfiga.
Nonostante questo sottofondo un po’ cupo e misero, la città è ricca di spazi verdi solcati da piste ciclabili. Rampe elicoidali permettono alle nostre bici cariche di salire facilmente sugli immensi ponti sul Danubio, con ampie passerelle lontane dal traffico. Mentre pedalo dietro a Germana sulla ardita striscia di cemento sospesa ai giganteschi pilastri mi viene da pensare alla est-ovest autostradale della nostra ricca Cuneo e ai marciapiedi da morbo di Parkinson del viadotto Soleri…
Il percorso in pulmann Cuneo- Bratislava è stato stancante: 1150 chilometri di autostrade con relative code, caselli, frontiere. Aggregati al viaggio della Memoria per la sola prima tappa, con bici al seguito grazie al buon cuore di organizzatori e autista. Arriviamo in Slovacchia in tarda serata, la città è avvolta dal buio, strade deserte circondate da brutti palazzoni. Il satellite sembra divertirsi a guidare il bus in interminabili percorsi a spirale. Inimmaginabile trovare il campeggio in queste condizioni: ci accampiamo “de sfross” all’Holiday In, in quattro su due letti.
Nel dormiveglia mi chiedo se non sarà mai possibile per me fare un viaggio “normale”, se è proprio destino che a cinquant’anni suonati debba entrare in un albergo di lusso confondendomi con gli aventi diritto…
Per fortuna è presto mattino e usciamo con aria indifferente. Un abbraccio a Chiara, Lorenzo, Elena e a mia madre che proseguono verso la Polonia, un saluto ai compagni di pulmann e un sorriso al portiere gallonato che ci osserva perplesso estrarre dal bagagliaio borse e velocipedi: partiti!
Davanti all’albergo c’è una corsia riservata alle bici: la imbocchiamo verso est.
Dopo cinquecento chilometri, a Passau, cambieremo fiume e punto cardinale, mirando il sud.
Centinaia di chilometri di piste ciclabili attraverso stati e paesaggi diversi in un ambiente pulito e tranquillo. Un sogno, per qualsiasi amante della bicicletta. Un percorso che sfrutta in buona parte gli antichi cammini di alaggio che fiancheggiano il Danubio e l’Inn. Servivano a trainare i barconi con robusti cavalli da tiro. Ora permettono a cinquemila cicloturisti al giorno di godere del grande fiume senza l’ingombrante presenza di mezzi motorizzati. E contribuiscono in modo determinante all’economia della regione, grazie anche a un’intelligente politica turistica volta a offrire servizi a prezzi onesti più che a rapinare e sfruttare i clienti di passaggio. Campeggi pulitissimi, accoglienti e a costi accessibili, camere private simpatiche e a buon prezzo con annessa colazione pantagruelica in stile nordico, chioschi e piccoli ristoranti che offrono piatti locali e ottima birra. E poi paesini piacevoli, un ambiente intatto, gli incroci continui con le più disparate categorie di ciclisti, dai triatleti in tuta e protesi aerodinamica ai nonnetti olandesi con bici cariche come tir, fino alle famiglie al completo con figli su carrelli, cammellini, seggiolini, tricicli. E poi, naturalmente, chi corre, va sui pattini o semplicemente, cammina. Tutto il mondo del muoversi con le proprie forze sembra essersi dato convegno su questa esile traccia di asfalto appollaiata sull’argine, quasi una manifestazione organizzata da uomini e donne di buona volontà contro lo strapotere di lamiere cromate e combustibili fossili.
Ma, come capita sempre, qualche nota stonata c’è anche in questo acconto di paradiso per ciclisti. La lingua, naturalmente, che per noi meridionali e anglofobi costituisce un ostacolo insormontabile e impedisce comunicazioni non gestuali coi locali. E soprattutto, la pioggia. Di sera, di notte, di mattina nel tardo pomeriggio. Cioè, in pratica, quasi sempre. Così da costringerci a vivere nella perenne umidità di calze, scarpe, magliette, sacchi a pelo e tenda. E a sfruttare i rari momenti di sole per cercare di asciugare i panni, trasformando le borse da bici in una sorta di stendibiancheria mobile.
Mille cose mi sono rimaste impresse in questo viaggio contro la corrente di due fiumi. Troppe, tanto da rischiare di trasformare un articolo già troppo lungo in un altro libro improbabile. Mi limiterò a due o tre flash.
Comincio dalla fine: l’incontro quasi a sorpresa, al campeggio di Merano, con gli amici di Bicingiro arrivati da Cuneo dopo una settimana di pedalate.
I contadini del Tirolo che falciavano a mano prati con pendenze impossibili.
Un’agricoltura di montagna dignitosa e tutt’altro che povera che mi ha fatto pensare alla “mia” valle Stura, spopolata e depressa, alle prese con politici che non hanno ancora deciso se trasformarla in un lago o in un corridoio autostradale.
Le spiagge per nudisti alla periferia di Vienna, proprio lungo la ciclabile, un’atmosfera di libertà e civiltà che mi ha messo allegria.
L’anziana proprietaria delle “zimmer” in cui ci siamo rifugiati una sera sorpresi dall’ennesimo diluvio in un paesino di poche case della Baviera: vista l’impossibilità di comunicare con noi in alcuna lingua neolatina, ha telefonato al pizzaiolo Giovanni, immigrato calabrese, per avere un interprete in diretta e metterci a nostro agio.
E poi le gigantesche chiatte, ognuna capace di inghiottire nella pancia metallica il contenuto di un centinaio di tir, liberando così le strade dal traffico su gomma
Perfino le inevitabili zone industriali, poche, pulite e concentrate in aree strategiche, non seminate a spaglio in ogni comune da amministratori più attenti alle entrate dell’ICI che all’impatto ambientale.
E visto che ho citato gli amministratori locali, concludo proponendo loro di cimentarsi col nostro percorso. Non è un consiglio dettato da malanimo, anzi, sono vacanze molto piacevoli e rilassanti, oltre che economiche. E si può sempre imparare cos’è una pista o un percorso ciclabile (tutt’altra cosa da quelle costosissime, sovente inutili e a volte pericolose tracce di asfalto sconnesso disseminate di tombini, griglie, cassonetti, veicoli in sosta, gradini, buche che fiancheggiano penose statali trafficate costringendoti a fare su e giù ad ogni passo carraio).
Un’ultima, purtroppo triste, considerazione. Il giorno dopo l’arrivo, vado a Cuneo in bici per portare le inevitabili foto a stampare. Nello spazio fra il ponte vecchio e la rotonda del cimitero ho visto a bordo strada una quantità di cartacce, bottiglie, contenitori vuoti e sacchetti di polietilene indubbiamente superiore a quella incontrata in ottocento chilometri da Bratislava a Merano attraverso Slovacchia, Austria, Germania e Alto Adige.

Cervasca, 1 settembre 06
Pubblicato su Viver meglio settembre(?) 2006