Ordinati Vignolo 1770-3: un pensionato di quasi tre secoli fa

Fra le cose che apprezzo dell’epoca contemporanea vi è la pensione di anzianità, quel meccanismo finanziario che consente, dopo aver versato i dovuti contributi, di godere nell’età avanzata dei frutti del capitale accumulato. Non entro nel merito dei problemi e dei difetti del sistema, ma ricordo bene le parole di un anziano montanaro che, pensando ai tempi in cui i vecchi soli e senza mezzi dipendevano in tutto dalla benevolenza dei compaesani, parlava con gratitudine dell’introduzione e dell’arrivo in paese delle prime pensioni negli anni del dopoguerra. Il mio interlocutore ricordava bene la soddisfazione e anche la sorpresa degli anziani contadini, abituati ai precari incassi di vitelli e castagne, quando passavano alla posta a riscuotere i soldi del mese e potevano andare dal negoziante a saldare il conto annotato sul quaderno e all’osteria a festeggiare l’improvviso benessere economico.
Non credevo che in passato ci fossero simili meccanismi previdenziali e sono rimasto davvero sorpreso leggendo il verbale del consiglio di Vignolo del 20 novembre 1769. Il sindaco aveva iniziato la seduta riferendo che “il serviente di Comunità Spirito Giordana” quasi ottantenne (età allora davvero veneranda) non era più in grado di “servire in occasione dell’arresto di qualche malvivente”, né tanto meno di “portarsi per valli e monti per custodire i boschi”.
Dato che il Giordana aveva servito la Comunità “in tutta fedeltà senza aver mai dato motivo ad alcuno di lagnarsi dei suoi portamenti” riteneva giusto che l’anziano messo comunale non dovesse “patire nella sua vecchiaia”. Tenendo conto “della povertà del medesimo”, proponeva al consiglio di assumere come messo Francesco Lamberto, “figlio naturale” del Giordana “in questo luogo abitante dalla sua infantil età” con stipendio di lire 40 l’anno, oltre a “un vestito, un para calze et un paia di calzature e cappello ogni tre anni”. Il consiglio approvava la proposta e ordinava “darsi sua vita natural durante” al vecchio “serviente” ormai a riposo la cifra di trentasei lire all’anno per garantire al fedele impiegato una decorosa vecchiaia, “massime in caso di malattia”.
Non mi era mai capitato, nel mio ormai lungo percorso di lettore di antiche carte, di imbattermi in un caso di pensione di anzianità vecchio di due secoli e mezzo. Onore agli amministratori di allora del piccolo comune, in anticipo sui tempi dell’introduzione delle previdenze sociali e capaci di motivare la spesa con la riconoscenza per il servizio prestato e la premura di garantire una vecchiaia serena all’anziano impiegato.
È anche curioso notare che lo stipendio del messo sia composto in parte da moneta (40 lire l’anno) e in parte dal vestiario. La livrea del messo, descritta nei particolari dalle scarpe al cappello e rinnovata ogni tre anni, doveva valere ben di più dell’intero stipendio annuo.
Non è facile rendersi conto, per noi attuali lettori di queste antiche carte, di quali fossero i rapporti di valore, in quei tempi lontani, fra la moneta, le retribuzioni e i beni di prima necessità. Credo che sia davvero difficile capire quanto poco valesse il lavoro e quanto invece fossero costosi indumenti, calzature, attrezzi e anche, in certi periodi, gli alimenti.
Il nome di Francesco Lamberto, figlio del messo “pensionato” assunto con paga ridotta per sostituire il padre, ritorna nei verbali del 1778 proprio per un contenzioso con la Comunità per la questione dei vestiti. Il Lamberto si rivolge addirittura all’Intendente Generale lamentando di non aver ancora ricevuto i vestiti previsti nel contratto e di aver quindi dovuto “provvedere del proprio” ad esclusione della “camisetta”. L’Intendente ingiunge quindi al sindaco di provvedere alla divisa del messo e questi, su mandato ufficiale del consiglio, si reca a Cuneo per contrattare l’acquisto della stoffa necessaria. La cifra pattuita con il “mercante Gio Battista Ventre di Cuneo” supera le 62 lire, ben di più della retribuzione annua del Lamberto.
Il valore dei vestiti era così elevato che, all’atto dell’assunzione, l’impiegato comunale doveva trovare qualcuno che garantisse per lui e si assumesse l’onere di rimborsare alla Comunità la cifra spesa nel caso di licenziamento anticipato e mancata restituzione degli abiti. Nel consiglio del 9 luglio 1770 il sindaco riferiva che il messo Garello si era licenziato per arruolarsi in una guarnigione di stanza a Susa e non avendo prestato servizio per i tre anni previsti era tenuto a restituire scarpe, vestiario e cappello alla Comunità. In caso contrario la persona che si era prestata come garante subentrava nel debito e doveva rifondere il danno.
Senza mai cadere nella trappola di rimpiangere o mitizzare un passato che per molti aspetti era duro, misero e crudele, forse dovremmo imparare da quel tempi lontani a dare il giusto valore alle cose. Adesso tutto nasce per avere vita effimera, invece di far manutenzione e avere cura dell’esistente si progettano sempre nuove strutture, ci costringono addirittura a rottamare automezzi, stufe, caldaie.
E, cosa che davvero offende e disgusta, spacciano tutta questa folle corsa all’acquisto per ecologismo.

Pubblicato su La Guida del 22-6-023