Circondati dall’ambiente

La parola ambiente deriva dal verbo latino ambire, che significa andare intorno. L’ambiente è quindi ciò che ci sta intorno, che ci circonda. Potremmo tradurlo col participio italiano “circostante”, ma il verbo latino “ire” indica movimento, non stasi.
Un tempo, l’uomo era circondato dalla natura selvaggia, ora sembra valere piuttosto il contrario: siamo noi uomini che circondiamo quelle poche isole di natura rimaste, sfuggite all’assedio della nostra civiltà. Il cemento, l’asfalto, le grandi opere, i capannoni, le strade, stanno avvolgendo e soffocando tutti i residui scampoli di terreno naturale e agricolo. Quasi dappertutto, se alziamo lo sguardo, vediamo un orizzonte occupato da qualche infrastruttura prodotta dall’uomo.
Questo cambiamento di prospettiva e di modo verbale, dal passivo all’attivo (essere circondati-circondare) è relativamente recente. Il pellegrino medioevale attraversava selve e valli pericolose e vedeva le isolate abbazie, le borgate e le città come oasi di salvezza. Anche solo per i nostri nonni un lume a una finestra o un insieme di case erano un conforto e una rassicurazione, Ora noi andiamo a cercare la natura incontaminata, i pochi luoghi ancora selvaggi sfuggiti alla “maledizione della modernità”, facendo magari migliaia di chilometri (in aereo) per trovare deserti, montagne inesplorate o giungle inaccessibili.
Questo ribaltamento di valori non dipende solo dal fatto che, incapaci di godere di quello che siamo e di apprezzare quello che abbiamo, cerchiamo sempre quel che non si trova a portata di mano e desideriamo sempre quel che non c’è (sia che non ci sia ancora, sia che non ci sia più). È anche la giusta consapevolezza dell’importanza e della straordinaria bellezza della terra che ci ospita che ci spinge a considerare prezioso e gradevole quel che ancora resta del mondo incontaminato che ospitava i nostri progenitori. O magari l’inconscia sensazione di aver commesso qualche peccato originale che ci ha fatto perdere il paradiso terrestre che era stato progettato per noi.
La mia personale idea di ambiente non è, però, quella della natura selvaggia (che mi pare tanto un modello intellettuale prodotto proprio per reazione a questo assedio, o frutto di una visione romantica e, tutto sommato, cittadina), ma piuttosto quello della campagna e della montagna coltivata secondo natura.
Nella nostra montagna, ma anche nella nostro campagna, in passato l’uomo ha saputo inserirsi nell’ambiente come parte integrante e armonica. Le pietre raccolte, modellate e assemblate, i mattoni fatti con l’argilla locale e gli alberi, tagliati e squadrati, diventavano case, stalle, fienili, inserendosi nel paesaggio senza note stonate, anzi, regalando varietà e bellezza. Coperture a lose o a paglia di segale riproducevano toni e materiali di rocce e campi circostanti. Le coltivazioni, i prati naturali, gli animali al pascolo, gli alberi da frutto in primo piano, i boschi e le montagne sullo sfondo erano spesso il quadro che, nelle nostre borgate, faceva da sfondo all’esistenza di ogni giorno e aiutava a vivere serenamente, superando anche le difficoltà e le miserie di una quotidianità faticosa e disagiata.
La soluzione dei problemi di oggi non può essere, però, un ritorno al passato, visto come un mondo fatato di pace e armonia.
Noi che viviamo in una civiltà ipertecnologica siamo spesso attratti dalle età pretecnologiche, che immaginiamo un paradiso di semplicità e benessere, forse perché non ci rendiamo più conto di cosa significherebbe davvero vivere facendo a meno di tutti quei mezzi tecnici che diamo per scontati. Chi ha provato a zappare, fare il fieno, mietere e battere il grano, trasportare del materiale, tagliare la legna senza ausili meccanici può rendersi conto di quanto fosse difficile, pesante e faticoso, in assenza di aiuti tecnologici, anche solo soddisfare le esigenze primarie. L’esperienza continuativa del lavoro manuale è una valida vaccinazione contro la tentazione della nostalgia dei buoni tempi andati e del disprezzo di ogni forma di meccanizzazione o modernità.
Nel nostro comune passato, però, possiamo trovare ricette di vita ancora valide e anche possibili soluzioni ai problemi che noi stessi abbiamo creato.
I dati dei Censimenti ci mostrano chiaramente che le nostre valli e le nostre campagne, fino a tutto il 1800 e per molti comuni fino alla metà del ’900, sono state caratterizzate da una elevata popolazione, ma soprattutto, da una società diffusa, sparsa in piccoli nuclei abitativi (case singole, tetti, “rouà”, borgate) a presidio di un territorio utilizzato con intensità e con cura.
I luoghi in cui vivere erano scelti in funzione delle potenzialità agricole del territorio e della necessità di minimizzare spostamenti umani, di animali e di prodotti di scorta. La cura del bestiame e la protezione dei raccolti, i tempi lunghi richiesti dalle lavorazioni manuali e una società che viveva principalmente dei prodotti della terra rendevano necessario vivere sul posto di lavoro.
Ritrovare e riscoprire il profondo legame con la terra, da cui tutto proviene, non solo sotto forma di cibo e beni materiali, ma anche come forza spirituale e come legame con la nostra storia e la nostra geografia, è un buon inizio per cercare di affrontare davvero la crisi ambientale e sociale che sta arrivandoci addosso.

Pubblicato su La Guida del 18-11-021