Un milione di tir fantasma

Un milione è un numero magico che nell’immaginario collettivo assume i contorni di una cifra smisurata, ai confini con l’infinito e capace di colpire la nostra attenzione. Noi sessantenni ricordiamo ancora i fumetti del signor Bonaventura (pubblicati dal 1917 al 78), che risolveva i suoi perenni guai vincendo “un milione”, cifra astronomica a inizio Novecento, diventata poi “un miliardo” con l’inflazione del dopoguerra.
Pochi anni fa, un imprenditore prestato alla politica riusciva a conquistare la fiducia degli italiani promettendo “un milione di posti di lavoro”.
Qualche giorno fa, il ministro Salvini, noto ambientalista ed esperto di logistica, ha dichiarato che la TAV è necessaria e dovrà essere fatta “perché toglie un milione di tir dalle nostre strade”. Poco prima, lo stesso poliedrico vicepremier, questa volta in veste di esperto di economia e valutazioni, aveva fatto un salto di unità di misura, con la perentoria affermazione che non fare l’opera ci costerebbe 24 miliardi.
In entrambi i casi parlava indossando la divisa da poliziotto e il caschetto giallo da lavoratore di cantiere: il solito anticipo di carnevale o la concreta esemplificazione della enorme differenza che c’è fra la Polizia di Stato e uno stato di polizia.
Ma, coreografia a parte, entrambe le affermazioni rientrano pienamente nel campo del “dare i numeri”, nel significato letterale del termine, di sparare cifre di facile presa mediatica e scarsissima reale affidabilità. Nessun problema, da parte del ministro, a parlare di milioni o di miliardi, purché naturalmente non si tratti dei 49 milioni fatti sparire dalla Lega, quella di Roma Ladrona e della sbandierata onestà della razza padana.
I numeri, come le parole, hanno un peso specifico elevato, perché significano cose concrete: i nostri soldi, il nostro futuro, l’ambiente che ci ospita. Meglio sempre diffidare di chi li usa con disinvoltura per coprire una carenza di solide argomentazioni o peggio, precisi ma ben nascosti interessi.
Da diversi mesi è in corso un bombardamento mediatico sul tema dell’Alta Velocità in val Susa. L’argomento TAV occupa stabilmente le prime pagine di alcuni quotidiani nazionali, senza che ci siano reali novità sul tema, come se ci fosse disperata carenza di altre notizie in tutto il resto del globo. La linea Torino-Lione sembra diventata la questione fondamentale per il futuro dell’Italia e del mondo. Fra l’altro, pare curiosa tutta questa fretta di unire l’Italia con Parigi, proprio in tempi in cui i nostri governanti sembrano fare di tutto per isolarci dall’Europa, renderci antipatici ai cugini francesi e attaccarne i legittimi rappresentanti.
Raddoppiare e velocizzare una linea ferroviaria esistente e sottoutilizzata è presentata come una questione di vita o di morte per l’intera economia nazionale, come la magica soluzione della crisi, della disoccupazione, della recessione, dell’inquinamento, del riscaldamento climatico.
Sembra che l’unico mezzo per far ripartire la dissestata economia italiana sia caricarla sul nuovo treno veloce. Senza addentrarsi in analisi contabili, mi pare abbastanza evidente che se tutte le nostre speranze di ripresa passano per una ferrovia e un lungo tunnel “suma propri bin ciapà”, per usare un linguaggio adatto anche alle fantomatiche madamìn, apparse dal nulla a fine estate e capaci di organizzare, come per magia, una manifestazione “spontanea” con migliaia di partecipanti; in questa bella Italia in cui per i comuni mortali è diventata un’impresa impossibile anche mettere insieme poche decine di persone per la festa patronale o la cena della Pro-loco.
Nell’ormai lontano 2012 la Guida aveva già ospitato una mia lunga riflessione sul tema della TAV in Val Susa, in cui esprimevo il mio dissenso per l’ennesima “grande opera” di dubbia utilità, costo elevato, impatto ambientale e sociale devastante.
Sono passati sette anni, sono cambiate molte cose, ma non ho cambiato idea. Anzi, l’enorme pressione mediatica e le sottili tecniche psicologiche messe in atto da una larga fetta del mondo politico e da certa stampa mi confermano nel convincimento che dietro tanto agitarsi si nascondano grandi interessi e che, come capita spesso per infrastrutture, aree industriali, ospedali e altro, non conti tanto che l’opera sia necessaria, “renda” o almeno si ripaghi, ma il semplice fatto di farla, spartendosi le enormi quantità di denaro previste per progettazione e realizzazione.
Una politica che va avanti da decenni e che ha ricoperto la nostra bella penisola di strutture brutte, inutili e costose, ha rovinato l’ambiente e le nostre reciproche relazioni, ha dirottato immense risorse su grandi opere di dubbia utilità impedendo la manutenzione ordinaria e straordinaria delle piccole e medie infrastrutture di vitale importanza per la nostra vita quotidiana.
Ha imbruttito non solo l’ambiente, ma anche le nostre vite e i nostri reciproci rapporti, perché, come dice Fredo Valla, “con la speculazione edilizia si è modificato non solo il paesaggio urbano, ma anche quello umano”.
Come capita sempre più spesso, la discussione ha perso di vista i reali contenuti, gli aspetti tecnici ed economici e assunto toni esclusivamente ideologici. Non si parla più di dati concreti, passeggeri o tonnellate di merce, costi e ricavi, ma si procede per slogan vuoti: “non si può fermare il progresso”, “non si può dire sempre di no”.
Ci si dimentica che non si tratta di essere, in assoluto, pro o contro l’alta velocità ferroviaria, ma di valutare una precisa ipotesi progettuale, la Torino-Lione, chiedendosi serenamente se è necessaria o almeno utile e se il gioco vale la candela, cioè se le ingenti spese (destinate, come sempre, ad aumentare passando dal progetto alla realizzazione) e i danni paesaggistici, ambientali e sociali saranno col tempo compensati da altrettanti vantaggi. Tenendo conto che in Val Susa esiste già una linea ferroviaria che, pur datata, è sfruttata solo per una parte delle sue potenzialità e il tunnel del Freius con relative autostrade.
Una situazione, quindi, molto meno drammatica di quella del nostro povero colle di Tenda, con un traforo stradale risalente ai tempi dei Savoia, pensato per muli e carri e una splendida ferrovia che la miopia dei responsabili vuole far lentamente morire.
Ma torniamo, per concludere, al milione di tir dell’ecologista Salvini, quelli che la TAV dovrebbe togliere dalle nostre intasate e dissestate strade.
La domanda che si potrebbe porre al ministro, adatta al suo passato di concorrente di quiz televisivi, potrebbe essere la seguente: quanti tir sono stati tolti dalla circolazione da quando in Italia è attiva l’alta velocità? O, in alternativa, quanti treni merci sono finora passati sui circa 1500 chilometri di linee di alta velocità da tempo esistenti in Italia?
La risposta non è difficile, ed è più o meno pari al tasso di attendibilità di certi numeri sparati da personaggi pubblici che farebbero meglio ad occuparsi dei tanti problemi gravi strettamente legati al proprio importante incarico, invece di passare il tempo a costruirsi un’effimera popolarità mediatica con caschi, giubbotti e immaginarie colonne di un milione di tir fantasma.

Pubblicato su La Guida del 7 febbraio 019