Restauri costituzionali

Un referendum su una legge costituzionale è una cosa seria, che richiederebbe serene riflessioni e pacate discussioni. Il fatto che se ne parli tutto sommato abbastanza poco e senza quasi entrare nel merito dei problemi, ma restando spesso confinati nella superficialità di opposti schieramenti, non è solo colpa di noi cittadini, spesso incapaci di prenderci cura di questioni che ci cambieranno la vita (salvo poi maledire tutto e tutti a posteriori), ma anche dello stesso Governo.
Il premier Renzi, che aveva scommesso sulla riforma al punto da dichiarare che avrebbe tolto il disturbo in caso di sconfitta, si è elegantemente rimangiato la promessa non appena i guru dei sondaggi e la botta delle elezioni comunali gli hanno fatto capire che la vittoria era tutt’altro che scontata, fornendo l’ennesima conferma di quanto valga per i politici di qualsiasi ordine e grado la parola data.
La stessa verve comunicativa del Presidente non ci aiuta a fare chiarezza, separando, come dovremmo, la decisione sulla riforma dal giudizio sull’esecutivo. Solo pochi giorni fa si è lasciato scappare un “Se vinco il referendum…”, con una inequivocabile prima persona singolare che mette la sua onnipresente figura al centro dell’ipotetica scheda. Interessante e significativa, dal punto di vista psicologico, la scelta, credo inconscia, del singolare per l’eventuale vittoria e del plurale in caso di sconfitta: “Se perdiamo…”. Della serie: il merito è mio, la colpa invece è nostra. Si vince sempre da soli, ma quando perdiamo, sentiamo improvvisamente il bisogno di condividere la sconfitta: il merito è figlio unico, le colpe han famiglia numerosa.
Gli stessi quesiti scritti sulla scheda elettorale sono prova della furbizia tattica di chi li ha formulati a suo tempo, ma non aiutano certo a fare chiarezza. Chiedere ai cittadini se vogliono “ridurre il numero dei parlamentari e contenere il costo di funzionamento delle istituzioni”, sopprimendo pure uno dei troppi enti inutili, ha un vago sapore di presa in giro, in bilico fra il pleonasmo e la pubblicità occulta. Come se ci chiedessero se vogliamo ridurre le tasse e l’insensata oppressione burocratica o se preferiamo invece una recrudescenza della pressione fiscale accompagnata da tagli nei servizi e aumento delle scartoffie. Sa un po’ di quel personaggio della banda Arbore specializzato nel proporre ridicole banalità propinate in tono serioso: meglio essere in salute e in buona compagnia che soli e malati, meglio essere milionari di bella presenza che poveri in canna e pure bruttini e via discorrendo. Insomma, un quesito studiato accuratamente già come titolo della legge per condizionare la scelta dei votanti, una domanda formulata in modo da suggerire la risposta.
Sfruttare il diffuso sentimento di rabbia contro i politici che ti fregano chiedendoti se vuoi ridurne il numero e le spese è un modo geniale di propinare l’ennesima fregatura da parte di chi appartiene a pieno titolo alla schiera (anzi, ne è la massima espressione istituzionale) ma finge di esserne estraneo. Insomma, la vecchia storia della volpe che si traveste da gallina. Certo, non è un’esclusiva di Renzi e non è cosa nuova, anzi, al contrario è una vecchia strategia attuata da generazioni di politicanti di tutti i partiti e movimenti, dalla Lega a Grillo per arrivare ai Trump, ai Lepen e ai Farage, quella di usare a fini politici la rabbia e l’indignazione contro la stessa politica. Politici di mestiere che costruiscono il proprio successo sull’antipolitica, pronti a godere a piene mani di quei privilegi che contestano. Ma dispiace comunque che un governo in carica usi questi mezzi di furbizia spicciola e si presti ad accuse di scarsa onestà intellettuale.
Dispiace anche che un referendum su questioni importanti di carattere tecnico, giuridico e procedurale si sia ridotto a uno scontro a favore o contro il Presidente Renzi, falsando completamente il problema, che è di ben altro spessore. I governi (per fortuna) passano, le Costituzioni restano.
Prima di decidere per il sì o per il no sarà bene riflettere sul significato e le conseguenze dei cambiamenti proposti, perché cambieranno anche il nostro futuro. Basta vedere quanti guai hanno generato le piccole riforme costituzionali fin qui fatte, in particolare quella che ha dato vita alle attuali Regioni, vere fabbriche di burocrazia e di sprechi. Dopo aver moltiplicato per venti il numero dei parlamenti con la miniriforma costituzionale del 2001 che trasformava le Regioni in enti legislativi, pare ben poca cosa cercare ora di risparmiare eliminando qualche manciata di senatori.
È quindi importante un voto partecipato e meditato, preparato da uno studio dei cambiamenti proposti e una valutazione delle possibili conseguenze. Fondamentale, in questa fase, la funzione dei giornali: il testo scritto e la pazienza della lettura, ben più delle immagini televisive e delle parole disordinate dei dibattiti, consentono di riflettere senza fretta e senza i condizionamenti della retorica e dell’emotività sulle questioni e farsene un’idea personale.
Fatta questa premessa, e senza voler condizionare nessuno sulle scelte di assenso o dissenso, che dovranno appunto essere meditate e personali, non posso però esimermi dal dire quello che penso sull’idea di ritoccare la nostra Carta fondamentale.
Ho sempre ammirato e amato la nostra Costituzione, frutto della capacità di mettere insieme, nell’immediato dopoguerra, idee non solo contrastanti, ma opposte. Il mondo era allora spaccato in due superpotenze in lotta per l’egemonia e diviso da barriere ideologiche che oggi fatichiamo a immaginare. Il comunismo e il socialismo di quei tempi erano ben diversi da quelli annacquati dei partiti che ancora si ispirano vagamente a quell’ideologia; liberali e democristiani, laici e clericali, preti e “mangiapreti” erano divisi da steccati ben più alti di quelli attuali. Era appena finita una guerra devastante, con il suo tragico corollario di vittime, rancori, vendette. Eppure i Padri Costituenti sono stati in grado di elaborare un testo unitario di grande efficacia e chiarezza, di elevato spessore morale e di facile lettura. Uno scritto semplice e profondo, chiaro e nobile. A differenza di molte leggi successive, spesso mal formulate, complesse e incomprensibili. Un testo “onesto” anche nella scelta dei termini, nella costruzione delle frasi. Pensiamo all’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra…”. In quel “ripudia”, che non è solo il più scontato “rifiuta”, c’è tutta la storia tragica di un conflitto appena concluso, il disgusto per ogni violenza, la voglia di pace. Un testo nato dal popolo e scritto per il popolo, ma che non è mai banale e che risente di tempi poveri e più onesti, dominati ancora da un diffuso buon senso presente anche nella classe politica.
Con un paragone pittorico si potrebbe dire che la nostra Carta costituzionale è un magnifico affresco o un quadro prezioso, in architettura avrebbe le forme di una solida chiesa romanica o di una slanciata cattedrale gotica.  Certo, anche i capolavori della pittura o dell’architettura risentono delle ingiurie del tempo e richiedono manutenzione e restauri. Pensare a una Costituzione intoccabile è un assurdo e non sarebbe neppure nello spirito della stessa Carta fondamentale, oltre che nella logica e nella storia.
Il problema, se mai, è a chi affidare i lavori di restauro. A nessuno verrebbe in mente di dare a un imbianchino (con tutto il rispetto per la nobile professione) l’incarico di ritoccare la Cappella Sistina o ravvivare i colori degli affreschi di Giotto. Non sono lavori da fare ossessionati dalla fretta e dall’improvvisazione e neppure possono essere affidati a persone affette da forme di faciloneria, di narcisismo, di eccessiva sicurezza nelle proprie capacità. Chi si traveste da Superman è sempre pericoloso e poco affidabile, chi fa della fretta un valore assoluto non può essere adatto a questo genere di incombenze che richiedono calma, precisione e umiltà.
Chi è in procinto di ristrutturare una casa deve riflettere bene sul da farsi e studiare attentamente le modifiche previste, ma deve anche scegliere bene l’impresario a cui affidare i lavori. La stessa parola “affidare” indica che l’essenza del rapporto professionale è appunto la fiducia. Fiducia che si basa anche sull’esperienza di opere precedenti. Se chiamo un idraulico per sostituire un rubinetto e questi mi allaga la casa, difficilmente lo sceglierò per rifare l’impianto di riscaldamento.
Anche a un eventuale restauratore, prima di affidare un incarico di grande importanza, come ritoccare un quadro d’autore, si chiederebbero titoli, esperienze e lavori precedenti.
Nel curriculum dell’aspirante attuale ci sono la Buona scuola, il canone tv in bolletta, il tentativo abortito di riforma del Catasto e quello andato a segno di riforma dello Statuto dei Lavoratori, la distribuzione di regalie a svariate categorie in chiave elettorale, la soppressione del Corpo Forestale accorpato nei Carabinieri, gli elogi bipartisan di Marchionne e Farinetti, l’occupazione di posti chiave nelle televisioni, nelle società di stato e nei centri di potere. Elenco incompleto e fatto senza alcuna intenzione di esprimere un giudizio sui diversi provvedimenti fin qui emanati, che ognuno è perfettamente in grado di formulare da sé.
Fermo restando quanto detto in precedenza sull’importanza del non farsi sviare nella scelta del voto dallo sbaglio di personalizzare il referendum, riducendolo a un sì o no a Renzi, ognuno potrà comunque valutare, in base a quel che ha finora dimostrato, se affiderebbe pennelli, spatole e acidi all’aspirante restauratore o se preferirebbe tenersi per ora il quadro con le tinte un po’ appannate dal tempo, in attesa di trovare un artigiano di provata esperienza e un progetto meditato e condiviso.

 
Cervasca, 26 settembre 016

Pubblicato su La Guida del 20-10-016                           lele viola

 

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