Ci salveranno le donne!

Ci salveranno le donne, ho pensato domenica sera tornando dalla manifestazione di Cuneo. Come mi capita sovente, non sapevo se mettere alla frase il punto esclamativo o quello interrogativo, se dare voce alla speranza e all’entusiasmo per la bellezza di ritrovarsi in tanti, o dar peso ai dubbi per una situazione che resta comunque difficile. La virgola è un ripiego, ma non vuole togliere nulla alla splendida riuscita dell’iniziativa.
Di certo, è stata una grande prova di maturità, di democrazia, di dignità.
E’ stata una manifestazione “femminile”, per la spontaneità, la gioia, i colori, la forza tranquilla. Una manifestazione “per” e non solo “contro”, una manifestazione di donne ma con tanti uomini, di giovani e anziani, con molti bambini (Emma in carrozzina, addirittura Martino, nato sette giorni fa, in braccio ai genitori, e Daniela con la bella rotondità del suo pancione). E’ stato il piacere e la sorpresa di ritrovare facce note, amici non più incontrati da decenni, ma anche di vedere tanti volti nuovi, imprevisti e imprevedibili.
Tante persone di idee e motivazioni diverse, unite dal bisogno di non restare passivi di fronte a quello che sta capitando “a casa nostra”, dalla necessità di uscire dall’indifferenza, dalla voglia di dire pubblicamente “io non ci sto”.
Tante voci, tante facce, ma un unico denominatore comune: ritrovare il senso di quella parola di tre sillabe, a cui sovente diamo poco peso: “dignità”
Non è facile dare una definizione di dignità. Non è sufficiente sfogliare il dizionario, non è termine che si lasci ingabbiare in significati linguistici o tecnici. Non è neppure solo riducibile all’autostima, precario pilastro con cui sovente cerchiamo di puntellare le nostre vite, nel tentativo di trovare un senso al vuoto di giornate troppo piene (come se tutti i problemi esistenziali si riducessero ad avere una buona opinione di se stessi).
Di sicuro, è sostantivo femminile, e non solo per virtù di grammatica, ma per intimità d’essenza. Ricordo la frase della barista a un cliente che commentava l’ennesimo fatto di violenza ai danni di una ragazza, letto sul quotidiano: “Le donne hanno la dignità, gli uomini solo l’orgoglio”. Parole rubate da una conversazione altrui e mescolate col cappuccino di metà mattina, ma che mi hanno colpito, con quel “solo” a sancire l’indiscussa inferiorità del termine e del genere maschile rispetto alla forza tenace del sostantivo femminile.
Perché l’orgoglio è sterile, la dignità feconda. L’orgoglio isola e può addirittura accecare. La dignità unisce, comprende, capisce. E produce, costruisce, fa nascere.
Dignità è parola che mi era venuta alla mente anche all’indomani del referendum Fiat, con quel quasi cinquanta per cento di lavoratori capaci di dire “no” nonostante il palese ricatto della dirigenza (occupazione contro sottomissione), nonostante l’indifferenza e la complicità del mondo politico, nonostante il peso della crisi, della cassa integrazione, dei mutui da pagare. Gli operai Fiat mi hanno aiutato a capire che il termine dignità comprende anche la capacità di andare contro i propri personali interessi in nome di qualcosa di più grande, di non usare il metro della convenienza nel misurare le proprie scelte. In termini evangelici, di perdere la propria vita per poterla ritrovare.
Ci salveranno le donne, credo, se noi uomini saremo capaci di lasciarci salvare. Ci salveremo insieme, se saremo capaci di travasi e di complementarietà, se sapremo conservare le differenze e valorizzarle. Se continueremo a “manifestare” le nostre idee nella nostra quotidianità, pretendendo il rispetto dei beni comuni (l’acqua, il terreno, il paesaggio) e lottando contro lo smantellamento dello stato sociale.
Penso ai tagli distruttivi nella sanità (per i quali, secondo gli onnipresenti manifesti dovremmo “dire grazie” a Cota), penso al tentativo di monitorare la didattica nelle scuole con metodi da contabilità aziendale, penso ai consorzi socio-assistenziali a rischio chiusura. La dignità di dire di no. Forse solo così potremo essere davvero “padroni a casa nostra” tutti noi, donne, uomini, bambini, italiani e stranieri, credenti e no; altrimenti i padroni saranno sempre “loro”, politici di ogni ordine e grado, magari proprio quelli che hanno il copyright sullo slogan. E da “padroni” a “ladroni” – ci insegna la storia e la cronaca – il passo rischia di essere breve, basta cambiare una consonante.
Ci salveranno le donne, spero. Ci salveranno dalla corrosione quotidiana della democrazia, dall’insicurezza del futuro, dalla sensazione del peggio imminente, dalla paura dell’altro e del diverso.
Ci salveremo insieme, spero, rifiutando l’uso strumentale della figura femminile delle televisioni commerciali e di stato, rigettando quell’insieme di paternalismo e di autoritarismo che è la comunicazione politica, fermando l’eutanasia della democrazia, malata di eccessi mediatici, di rissosità verbali, di “leaderismo”. In vista di future elezioni tutti si chiedono “chi” saranno i contendenti e nessuno parla di programmi, di cosa vuole fare.
Ci salveranno le donne, spero, anche dai fondamentalismi religiosi di ogni tipo e colore. Ci sapremo salvare insieme, a condizione di dare peso e valore alla componente femminile, per combattere la sclerosi che affligge inevitabilmente la fase senile e istituzionale di ogni fede. Sarà con la forza paziente delle donne, e non certo con le bombe e le guerre “umanitarie” che sarà sconfitto il terrorismo e il triste fondamentalismo maschilista che affligge mezzo mondo.
Perché, come “dignità”, anche “libertà” è sostantivo femminile. E si tratta di parole complementari, indispensabili l’una all’altra.
Per chi ha curiosità bibliche, consiglio la lettura attenta del Vangelo di Luca, il primo testo sacro “femminista”. In Luca la parola “donna” ricorre 41 volte, il doppio che negli altri tre testi. Tutti i passi solo lucani riservano un ruolo di primo piano alle donne, fin dal primo “sì” di Maria che ha reso possibile tutta la storia che segue.
Inoltre nel suo racconto, Luca propone binomi maschili-femminili in successione (Zaccaria e Maria, Simeone e Anna, il centurione e la vedova di Nain, Simone e la peccatrice etc…). Sovente, si ha l’impressione che le parti che riguardano la donna segnino un progresso in termini di comprensione e di profondità rispetto a quelli che concernono gli uomini. Se si pensa che questi episodi vanno collocati nel contesto palestinese e giudaico del tempo, in cui il genere femminile era sostanzialmente escluso e relegato in posizione molto subordinata, non si può che concludere che in Luca, la donna arriva sempre e comunque prima e sovente è l’unica ad arrivare.
Senz’altro, Luca sarebbe d’accordo con la mia frase d’esordio, e non avrebbe dubbi su quale tipo di punto usare per concluderla.
Ci salveranno le donne! lele, 14-2-011