Cari colleghi

Cari colleghi, in oltre trent’anni di Collegi dei docenti non ricordo di aver mai preso la parola. E’ una questione di carattere: mi piace poco parlare in pubblico, amo piuttosto il silenzio e, in subordine, la concisione, entrambe merci rare in queste nostre assemblee di Istituto. La cosa non mi fa certo onore, visto l’inderogabile dovere della partecipazione attiva, ma ha avuto l’innegabile pregio, in tutti questi anni, di non aver sottratto troppo tempo alla discussione.
Mi permetto, quindi, di utilizzare il credito accumulato per un breve intervento che ritengo necessario.
Ci sono, infatti, momenti in cui è proprio impossibile star zitti, perché il silenzio diventa complicità e connivenza. E anche chi è taciturno per vocazione o carattere deve farsi sentire e sfruttare questi strumenti di ordinaria partecipazione democratica, sovente logorati dalla routine e trasformati in stanchi rituali.
Abbiamo appena passato due ore a discutere dell’orario, o meglio, degli equilibrismi necessari per adattare col minor danno possibile direttive a dir poco stravaganti alla nostra realtà. Qualcuno, infatti, ai piani alti del Ministero, ha avuto la bella pensata di ridurre il tempo scuola per tutte le classi degli Istituti tecnici ad eccezione delle quinte, imponendo nel contempo l’ora piena di sessanta minuti. Pensare di far adottare orari diversi alle diverse scuole vuol dire non conoscere la realtà del pendolarismo della gran maggioranza di nostri allievi e la necessità pratica di avere un servizio pubblico di trasporti utilizzabile da tutti. Pensare poi di proporre orari diversi all’interno della stessa scuola è ancora peggio. Indica non solo incompetenza, ma totale estraneità a qualsiasi esperienza didattica, carenza di immaginazione e un livello di senso comune pericolosamente basso. Fa pensare a gente incapace di calarsi nella realtà e di prevedere l’effetto delle proprie decisioni, che gioca con numeri e dati senza rendersi conto che dietro ci sono persone, ragazzi, lavoratori, genitori.
Come risultato di queste geniali trovate avremo una prima ora di un’ora e mezza per le classi fino alla quarta seguita da un intempestivo intervallo, mentre le quinte comprimeranno nello stesso lasso di tempo le due prime ore, rispettivamente di quarantacinque e cinquanta minuti.
Una cosa che, se detta a un estraneo, provocherebbe serie perplessità, o magari una risata o qualche dubbio sulla nostra salute mentale. Un esercizio di ingegneria cronometrica non certo voluto da noi, ma reso necessario dall’esigenza di non avere per tutta la mattina un concerto di campanelli sfalsati di cinque o dieci minuti per le diverse classi. Una soluzione che è comunque una pezza, una toppa, insomma un tacùn, che creerà innumerevoli problemi nel fare un orario (alla faccia delle tanto sbandierate “esigenze didattiche”) e contribuirà a rendere la vita più difficile a tutti.
L’anno è cominciato nel peggiore dei modi, con ritardi record nei trasferimenti, nelle nomine, negli utilizzi, con molti Istituti senza nemmeno un Dirigente, con classi troppo numerose stipate in aule minuscole, con molti posti di lavoro persi, con la cancellazione delle ore a disposizione indispensabili per le sostituzioni e con colleghi costretti a fare i salti mortali fra due o più scuole.
Insomma, un vero e proprio disastro, con l’unico denominatore comune dei tagli continui e irrazionali di risorse.
Tagli che, se necessari, sarebbe bene fossero praticati con ponderazione e competenza. Come contadino prestato temporaneamente all’insegnamento posso assicurarvi che l’arte della potatura è una delle più difficili fra le molte competenze richieste all’agricoltore. I colleghi dell’Agrario credo possano confermare: tagliare a casaccio condanna la pianta a vita stentata e può portare addirittura alla morte.
Siamo ormai gli ultimi in Europa per i fondi destinati all’Istruzione, eppure proprio in questi giorni il Ministro si lamentava dell’eccesso di spesa per il personale insegnante. Evidentemente, quelli per le retribuzioni dei docenti sono soldi buttati: siamo un settore da cui è difficile spremere congrue tangenti e che non dà ritorni immediati del capitale investito.
E come se non bastassero i tagli dissennati si fanno “riforme epocali”, cadendo nella solita tentazione di ogni nuovo ministro di “lasciare un segno indelebile” del proprio effimero passaggio. E si condisce il tutto con normative stravaganti, come, appunto, quella sui nuovi orari, o sull’ammissione all’Esame di Stato.
A noi, tute blu dell’Istruzione, esosi divoratori di risorse, il compito di tenere a galla la nave dandoci da fare a rattoppare i buchi che qualcuno, per incompetenza, irresponsabilità o calcolo continua sistematicamente a produrre.
Mi chiedo se debba sempre toccare a noi trovare i rimedi per gli errori di chi ci dirige.
Mi chiedo se abbia ancora un senso continuare a remare con sempre maggiore fatica mentre il capitano giocherella con la barra del timone dando colpi a casaccio.
Resto sconcertato nel sentire che i massimi responsabili del Ministero continuano a ripetere come un mantra i criteri del merito, la necessità di “fare un’accurata selezione del personale” rivolgendosi sempre a noi, bassa manovalanza, ed escludendo sempre se stessi da ogni valutazione e giudizio. Viene spontaneo chiedersi in base a quali criteri sono stati scelti “loro” e perché mai si debbano selezionare attentamente rematori, fuochisti e mozzi per poi affidare il comando a persone senza patente nautica, con pochissima esperienza e nessun titolo.
A questo proposito credo sia nostro dovere, come collegio dei docenti, informare allievi e famiglie che, nostro malgrado, il servizio che potremo offrire sarà di scarsa qualità e pesantemente condizionato da tagli irrazionali e normative assurde.
Credo che sarebbe anche opportuno esprimere, come collegio, un giudizio di assoluta inadeguatezza (o, se vogliamo usare i nostri soliti termini scolastici, una “bocciatura”) nei confronti del Ministro. Giudizio non certo affrettato, o dettato da malanimo e pregiudizi. Una “bocciatura” squisitamente “tecnica”, non politica (parola che pare indisporre la signora Gelmini che proprio in questi giorni si è rifiutata di incontrare una delegazione di precari accusandoli di “fare politica”, come se interessarsi della vita pubblica fosse un reato o una cosa vergognosa. Eppure una fresca laureata in Legge dovrebbe ricordare che la nostra Costituzione considera la partecipazione attiva non solo un diritto, ma addirittura un dovere del cittadino)…

“Esauriti tutti gli argomenti di discussione, la seduta è tolta. Buon pomeriggio!”
Sento un rumore di sedie spostate mescolato alle mille voci di colleghi che si salutano, si alzano, si affrettano all’uscita. Il Collegio è finito, senza che me ne sia reso conto. Non ho neppure fatto in tempo ad alzare la mano per chiedere la parola e fare questo discorsetto.
Peccato! Anche questa volta me ne sono stato zitto, seduto in disparte verso il fondo della sala. Ho perso l’occasione di dire la mia, per una volta. Non mi sono accorto che l’assemblea stava finendo, ero distratto. Stavo scrivendo queste quattro righe.
Cervasca, ottobre 010 pubblicato su La Guida del 15-10-010 con altro titolo