Parole che ti fregano

La fregatura, si sa, è contenuta all’interno delle parole.
Perché le parole dovrebbero essere i veicoli delle idee e invece, spesso, ne diventano maschera e travisamento. Sono vestiti buoni che servono a contrabbandare impressioni positive nascondendo deformità e nudità imbarazzanti.
Flessibilità, progresso, sicurezza, velocità, ma anche professionalità, spiritualità, semplificazione…
Per non parlare poi di riconversione, ristrutturazione, decentramento, federalismo. Tutti termini che, nel nostro immaginario, evocano cose buone, nuove, moderne, simpatiche. Ma nascondono all’interno realtà devastanti.
Così la “flessibilità” (che può far pensare a un’occupazione che si adatti finalmente alle esigenze della vita) significa invece che mansione, orario e luogo di lavoro sono variabili a scelta discrezionale della ditta e questa parola gentile ha di fatto cancellato, senza che ce ne accorgessimo e senza una vera opposizione, anni di lotte sindacali e di rivendicazioni.
“Federalismo” può far pensare a un fisco e a una burocrazia più vicina al cittadino, più a misura d’uomo. Poi ti accorgi che significa invece un ritorno al Medioevo con ogni regione, provincia e comune che fa proprie leggi e regole, esige pedaggi e riscuote balzelli moltiplicando adempimenti e stravaganze (dal sindaco che rimuove le panchine per non far sedere barboni e nullafacenti, a quello che vieta di sbocconcellare panini sul suolo pubblico o pretende che pure i cani siano di razza locale).
Lasciamo perdere, poi, il “progresso” che abbiamo tutti sotto gli occhi, in tutti i settori del vivere civile. Basta guardarsi intorno, usare gli occhi, respirare col naso, accendere la radio o la tele, passeggiare per la strada per rendersi conto di quanto siamo “progrediti” negli ultimi tempi.
E il ritorno alla “spiritualità”, che può far pensare a un’esigenza di ricerca e di vita interiore contro gli eccessi del consumismo e del materialismo si colora, sovente, di stravaganze esotiche o esoteriche o, dal versante opposto, di integralismi beceri o di preoccupanti invasioni di campo del religioso nella vita civile e politica (e in questo settore il primato non ce lo toglie nessuno, almeno in Europa).
Ogni parola apparentemente “buona” serve a nascondere, ben celata al suo interno, una qualche fregatura.
E’ il caso, anche, del termine “velocità”. Ci fa pensare ad auto sportive, all’aria fra i capelli, a piacevoli brividi, o comunque, a tempi ridotti di trasferimento e di attesa. Non vediamo, dietro il bel vestito, le corsie degli ospedali, le vite spezzate, le tragedie famigliari. E non vediamo neppure la fregatura del collasso del trasporto pubblico ferroviario.
L’ingordigia bipartisan dell’Alta velocità sottrae soldi, risorse e attenzioni alla rete regionale e nazionale che si è persa nelle sabbie mobili della trascuratezza voluta, dello sbando totale, della sporcizia e del degrado. Tutti presi dal corridoio Lisbona-Kiev (ma chi mai dovrà poi viaggiare così spesso dal Portogallo all’Ucraina?) ci dimentichiamo delle esigenze di chi deve andare tutti i giorni a Centallo o a Fossano. Progettiamo costosissimi treni ad “alta velocità” (democraticamente imposti a manganellate alle popolazioni locali) e ci scordiamo che sarebbe molto più semplice, efficace ed economico un servizio lento ma ad “alta puntualità” (e magari anche “alta pulizia” visto lo stato attuale delle carrozze).
Per capire lo sfascio totale dell’Italia non sono necessarie analisi politiche o sociologiche, non serve sentire Grillo o leggere Saviano o Stella: basta fare un viaggio in treno. Molti reclamano per i politici disonesti e corrotti la galera. Io mi accontenterei della condanna al pendolarismo forzato: otto ore giornaliere di treno regionale in seconda classe col suo corollario di ritardi, porte bloccate, spifferi, sporcizia, degrado sono peggio di una deportazione in Siberia.
Se chi ci amministra vuole realmente un mondo meno inquinato e più vivibile, invece di imporre demenziali rottamazioni forzate, buone solo a incrementare l’utile dell’industria automobilistica, dovrebbe concentrare gli sforzi per ritornare a un servizio ferroviario decente, affidabile ed economico.
E il comune di Cuneo (per passare dal globale al locale) dovrebbe pensare a favorire i pendolari e incentivare l’uso del treno, creando parcheggi gratuiti, invece di far cassa con le strisce blu spartendosi gli utili con ditte private. Se parto da Cervasca e devo andare, che so io, a Savigliano per lavoro, posso scegliere il treno, pur sapendo di affrontare un sacrificio di tempi, di attese, di scomodità. Ma se per parcheggiare devo versare l’obolo all’Apcoa, se devo fare ogni giorno gli scongiuri per sperare che il treno parta e arrivi, che le porte si chiudano, il riscaldamento funzioni, non ci siano troppe zecche, blatte, pidocchi, pulci e cimici e gli indiani non facciano imboscate, sarò fortemente tentato di salire comodamente sull’auto, rilassarmi e girare la chiave d’accensione.
Non so giudicare, dal punto di vista estetico, funzionale ed architettonico il nascente Movicentro. Se però il risultato di tutti questi lavori sarà creare l’ennesimo parcheggio a pagamento nella zona chiave della stazione e dell’ospedale (salassando ulteriormente pendolari, lavoratori, malati e parenti dei medesimi nel sacro nome dell’ecologia e dell’ambiente) credo che anche questa parola, assieme a quelle citate prima, nasconda all’interno una qualche “fregatura”.

Cervasca, 5 giugno 08
Pubblicato su Vivermeglio del 3-7-08 con altro titolo.