Chi taglierà  i rovi?

La montagna è per molti di noi un luogo di svago, di riposo, di incontri, un’esigenza di allontanarsi per un po’ da certi aspetti sempre più disumani della nostra vita quotidiana e di ritrovare noi stessi. In montagna tutti noi “ci andiamo” soli o in compagnia ma, al di là di questo, è ancora possibile “viverci” oppure è destinata a diventare solo una valvola di sfogo per cittadini frustrati, un polmone verde per paesi sempre più grigi, o peggio, un’area di passaggio, possibilmente veloce?
La domanda me la sono posta molte volte da quando, ormai quasi dieci anni fa, abbiamo deciso, mia moglie ed io, di andare a vivere in una frazione di Demonte ed iniziare un’attività agricola e di allevamento.
In questi anni abbiamo vissuto dal di dentro l’impressione di una realtà che sta trasformandosi e che per molti aspetti muore. Abbiamo visto molte stalle chiudere, vittime di una vera e propria persecuzione burocratica, magazzini e fienili pieni di prodotto invenduto o svenduto a prezzi ridicoli, piccoli negozi o piccoli artigiani costretti a cessare l’attività a causa di una politica fiscale assurda e vessatoria, la fertile pianura di Demonte trasformarsi un una gigantesca cava di ghiaia a cielo aperto, i prati e i campi devastati da cinghiali e corvi, la scuola agraria chiusa fra l’indifferenza generale.
La presenza umana e soprattutto contadina in montagna è condizione essenziale per salvaguardare l’ambiente e quindi anche per permettere una fruizione piacevole della natura da parte dell’alpinista, dell’escursionista e per mirare a un turismo sano e non devastante. Le valli si stanno popolando di animali selvatici (discutibile iniziativa di un Assessore provinciale all’agricoltura con l’animo del cacciatore) ma sta scomparendo l’uomo, l’agricoltore che con il suo lavoro quotidiano rende bello, piacevole, pulito l’aspetto del prato, del campo, del bosco. Chi rastrellerà le foglie, taglierà l’erba, terrà lontani i rovi e puliti i sentieri? Non certo i tecnici, gli agronomi, gli assessori, le guardie forestali, i guardaparco…Se manca il binomio uomo-animale che per millenni ha reso possibile la vita in montagna nessuno riuscirà a fermare un degrado rapidissimo.
Eppure abbiamo esempi, anche in Italia, di realtà montane ben diverse, di zone in cui è possibile, redditizio, conveniente stare in montagna, dove l’architettura locale è rispettata, l’ambiente è piacevole. E’ solo questione di cattiva amministrazione o dipende anche da ognuno di noi, dalla nostra capacità di vedere al di là del contingente?
Un clamoroso esempio di questa miopia e del nostro atteggiamento di colpevole indifferenza si è potuto vedere di recente con la proposta di costruzione del tunnel autostradale verso il sud della Francia. Questa soluzione comporterebbe la rovina completa della bassa e media valle Stura, trasformata in una zona di passaggio veloce e di traffico pesante. Il traforo servirebbe a collegare tutta l’Italia industriale del nord con la Francia del sud e dell’ovest e con la Spagna, con conseguenze facilmente immaginabili per la valle, trasformata in un secondo Brennero e per tutto il cuneese, già gravato da un eccesso di traffico su una viabilità inadeguata. Un colpo mortale per una valle che ha come unico, ma inestimabile patrimonio, una rara bellezza dell’ambiente naturale ed una relativa tranquillità ed assenza di inquinamento. Nonostante questo, si è assistito nei giorni in cui è stata fatta la proposta ad una vera e propria corsa da parte degli amministratori locali per accaparrarsi il traforo, quasi fosse un toccasana per l’economia della valle. Qualcuno ha parlato di ultima occasione per la valle Stura, un altro ha pronunciato la storica frase “meglio inquinati che morti”, la Stampa ha esordito con un articolo intitolato “Vinadio vuole il traforo”.
Nessuno si è detto contrario, nessuno ha protestato. Io ho scritto una lettera a un quotidiano in cui esprimevo la mia perplessità, ma non mi risulta sia stata pubblicata.
Una decisione, giusta o sbagliata che sia, che peserà in modo irreversibile sul futuro della Valle e che la trasformerà completamente, presa in pochi giorni, senza consultare la gente, senza discutere, senza analizzare problemi o conseguenze.
In conclusione vorrei dire che la montagna è fatta non solo di cime innevate, di scalate e di passeggiate, ma anche e soprattutto di uomini, di donne, di bambini, di animali, di prati, di case, che dobbiamo conservare e difendere.
Sarà proprio una triste gita di sci alpinismo quella che inizierà con un pedaggio autostradale, proseguirà fra tir e viadotti e finirà forse in un parcheggio a pagamento a metter le pelli e gli scarponi fra lattine vuote e cartacce.

Pubblicato su La Ciapera, giornale del Cai di Borgo n°14 luglio 1994