Dau poc au trop

“Dau poc au trop” è una bella espressione piemontese che, come succede sempre, perde forza nella traduzione italiana. Si usa per indicare l’incapacità di scegliere una giusta via di mezzo e trovare soluzioni ragionevoli e sensate, passando dalla carenza all’eccesso senza tappe intermedie, col risultato di far danni in entrambi i casi. La sentivo spesso da bambino in famiglia per commentare vicende di vita quotidiana o scelte politiche ed economiche di quei tempi lontani e mi è tornata in mente in questi giorni leggendo la notizia dell’obbligo di tampone per chi arriva dalla Francia.
Tamponatura forzata, introdotta, come succede ormai d’abitudine, senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze pratiche della norma e senza aver prima predisposto misure per attuarla riducendo al minimo problemi, danni e disturbo per cittadini, pendolari, viaggiatori ed escursionisti. Come sempre: fantasia tanta, immaginazione poca, rispetto per la gente comune, niente.
Nella scorsa primavera, quando la pandemia dilagava, le rianimazioni erano piene e la situazione drammatica, non c’era modo di farsi fare un tampone neppure in caso di reale necessità. Un’amica di famiglia, infermiera in un ospedale Covid, si è tenuta per tre settimane la febbre alta prima di poter accedere all’esame e nel reparto ospedaliero dove lavora mio fratello si sono decisi a sottoporre a tampone il personale quando ormai molti erano ammalati. Forse per ansia di compensazione, adesso si trasforma in obbligo generalizzato quella che dovrebbe essere un’opportunità e una scelta responsabile per tutelare se stessi e gli altri in caso di possibile malattia.
Mi aveva colpito, questa primavera, la notizia dell’anziano medico morto per il virus e ben consapevole delle sue condizioni che aveva affidato ai social l’estrema protesta per non essere riuscito neppure a farsi fare l’esame, a differenza dei vari politici contagiati, per cui era stato immediatamente disponibile. Adesso su scala nazionale si fanno oltre centomila tamponi al giorno. Non è necessario essere geni della matematica per capire che questo spiega da solo l’aumento dei “contagi” che giornali e televisioni si affannano a ribadire a cadenza quotidiana e che sono evidentemente in proporzione agli esami effettuati e dicono poco sull’effettivo numero di ammalati veri e sulla gravità dei casi.
Sembra quasi che ci sia interesse a tener alto il livello di tensione, forse per giustificare lo stato di perenne emergenza, ma non credo che questo continuo allarmismo ci stia facendo del bene. La paura è un meccanismo biologico essenziale che ci tutela dai pericoli e ci spinge alla prudenza, ma se si trasforma in ansia e stress diventa controproducente e provoca un calo delle difese immunitarie, unica vera risorsa che abbiamo contro questa malattia. E a forza di gridare “al lupo” finisce che, quando il lupo dovesse tornare davvero, ci troverebbe disattenti e comunque impreparati.
Lo stesso discorso vale per le mascherine. Quando e dove sarebbero state utili, non c’erano, ora ci obbligano sovente a girare mascherati e a respirare la propria anidride carbonica, alla faccia della fisiologia e del buon senso. Sempre per citare ambienti ospedalieri di cui ho conoscenza diretta, nei giorni caldi dell’epidemia le mascherine mancavano e il personale era disincentivato a usarle. Nei media si citavano allora articoli scientifici che ne sottolineavano la scarsa utilità e la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità metteva in guardia per il falso senso di sicurezza che potevano indurre. Proprio ieri ho letto un manifesto risalente a quei giorni e dimenticato sul muro di un comune confinante col mio in cui si spiegava che l’uso della mascherina era consigliato “solo se si sospetta di essere malato o se si assiste persone”. Poi, anche grazie a intermediari e intrallazzatori vari (i casi emersi sono, come sempre, solo la punta dell’iceberg) l’Italia si è riempita di mascherine, camici, guanti, gel e disinfettanti (tonnellate di materiali usa e getta, alla faccia dell’ambiente) e gli articoli scientifici citati dai media hanno cambiato tono e contenuti.
Ma sull’argomento vorrei ritornare in una prossima riflessione, perché non dobbiamo fare l’errore di far ricadere sulla “scienza” i comportamenti discutibili e gli atteggiamenti da primedonne di alcuni cosiddetti scienziati, aprendo le porte a negazionisti, complottisti e spacciatori di notizie e interpretazioni strampalate che popolano il mondo di internet.
Parlare ancora di virus e relative norme è argomento che rischia di essere pericoloso e frainteso, oltre che noioso. Quando si tocca il tema “sicurezza”, oltranzisti e rigoristi hanno sempre ragione, perché, se le cose migliorano è grazie alla loro intransigenza e alle loro norme bizantine, mentre se, come prevedibile, dovessero peggiorare, sarà colpa di chi, come il sottoscritto, ha osato criticarle. Sarebbe quindi saggio e conveniente tacere, ma continuo a essere convinto che scambiarsi opinioni, anche contrastanti, sia un ingrediente indispensabile della vita democratica e un arricchimento per tutti.
La libertà è un capitale che abbiamo ricevuto in eredità e che si perde a spiccioli, giorno dopo giorno, senza che ce ne accorgiamo, facendo poco alla volta l’abitudine a limitazioni crescenti. L’emergenza sanitaria, può essere l’occasione e la scusa per imposizioni che altrimenti sarebbero considerate inaccettabili e ognuno deve vigilare per evitare possibili abusi (chi di noi avrebbe anche solo lontanamente immaginato, pochi mesi fa, che qualcuno ci avrebbe detto chi potevamo abbracciare e chi dovevamo tenere a distanza, invadendo una sfera personale che pensavamo fuori della portata di un qualsiasi legislatore?)
È chiaro che libertà fa però rima con responsabilità, altrimenti diventa egoismo e arbitrio, come ha ricordato di recente il Presidente Mattarella, sollecitato dalla grossolana osservazione del premier inglese che motivava il contenimento dell’infezione in Italia con la nostra scarsa propensione a vivere liberi.
Il Papa ha ricordato di recente che dalle crisi si esce migliori o peggiori, ma non uguali e che si esce solo tutti insieme: le soluzioni individuali non portano da nessuna parte. Anche per questo, oggi più che mai, dobbiamo ostinarci a pensare con la nostra testa, senza troppi condizionamenti e dobbiamo continuare a parlare, scrivere, e anche mettere in discussione idee, norme e atteggiamenti senza rassegnarci ad accettare passivamente ogni imposizione. Altrimenti rischiamo davvero di dare ragione alla tracotanza di Boris Johnson, quando afferma che, a differenza dei sudditi della Regina, noi non abbiamo troppo a cuore la nostra libertà.
Non credo che il premier inglese conosca davvero bene noi italiani, che in fondo abbiamo sempre dimostrato una certa capacità di resistenza alle dittature di vario tipo. E poi, mettere in contrapposizione libertà e salute non ha davvero senso, perché senza libertà è difficile anche conservare una buona salute, fisica e mentale.

Pubblicato su La Guida del 1 ottobre 020