Sempeciùc e Maimalavi – Il decalogo di Anna

Un racconto lungo e un romanzo breve messi insieme per raggiungere le dimensioni consuete di un libro. Sempeciùc e Maimalavi è una storiella di paese e di amicizia pubblicata a puntate sul settimanale La Guida nella primavera 2012; Il Decalogo di Anna è un romanzo “quasi giallo” ambientato sulle nostre montagne. Protagonisti Anna e Luca che si ritrovano a dieci anni di distanza dal Gatto arancione e scoprono che l’amicizia sa sopravvivere al tempo e ai cambiamenti. Sullo sfondo, un omicidio di borgata a far da pretesto alla storia. In primo piano la montagna, coi suoi colori magici dell’autunno e con la gente – bella, brutta, buona e cattiva – che ancora si ostina a vivere lassù, nonostante tutto e tutti. E, naturalmente, il Decalogo di Anna, le sue personali tavole della Legge a far da guida e da riferimento alle sue giornate solitarie e alla sua voglia di vivere e non soltanto lasciarsi vivere.

Incipit (Sempeciùc e Maimalavi)

Sempeciùc e Maimalavi erano due amici inseparabili.
Come un dittongo in grammatica, o un binomio in algebra, come l’uvetta e il panettone, le rondini e la primavera, le false promesse e le elezioni.
Nessuno ricordava più i loro nomi veri e neppure i cognomi. Forse l’impiegato dell’anagrafe, o il prete che aveva scritto l’atto di battesimo. Ma quella era burocrazia: in paese ognuno aveva il suo stranòm, nato per un imperscrutabile meccanismo definitorio in grado di incasellare ogni persona molto meglio dei vari codici fiscali, pin e username che tentano di ridurre ognuno di noi a un seguito di cifre e lettere.
Per alcuni si trattava di genetica, per altri era una questione ereditaria, altri ancora erano dovuti a particolari fisici, scelte esistenziali o professionali. Ma, nella maggioranza dei casi, era impossibile stabilire una relazione fra l’etichetta e il soggetto a cui si era appiccicata… Sempeciùc e Maimalavi erano due amici inseparabili.
Come un dittongo in grammatica, o un binomio in algebra, come l’uvetta e il panetto

Post scriptum (Il decalogo di Anna)

A dieci anni di distanza dal Gatto Arancione, l’autunno mi ha di nuovo regalato una storiella quasi gialla. Protagonisti ancora Anna e Luca, come allora, a cui si aggiungono la moglie Valentina, i figli Gabriele e Chiara e alcune altre persone di passaggio. I nomi dimostrano la mia scarsa fantasia, visto che li ho pescati quasi tutti in famiglia o dintorni, eccezion fatta, naturalmente, per vittime e assassini.
Protagonista vera, però, come sempre la montagna. Non quella delle cime innevate e degli exploit alpinistici, ma quella degli uomini e donne che ancora resistono abbarbicati a quei pendii scoscesi, ostinandosi a stare lassù, alla faccia dei burocrati igienisti e pianificatori, dei politici ipocriti e ladri, del turismo di rapina.
La montagna antropizzata, quella che fa parte anche della mia storia personale.
Anch’io, come Anna, sono esule di una borgata perduta, di capre e pecore allevate per un buon decennio, di panorami più ampi di quelli attuali. A suo svantaggio, rispetto al mio presente, c’è il bilocale mansardato in città, contro la nostra casa in collina, circondata ancora da campi e boschi, orto e alberi da frutta.
Protagoniste occasionali, le regolette spicciole con cui ho contato i capitoli, i personali comandamenti di Anna. La cosa è, come tutto il resto, casuale. E’ uscito il primo, a poche righe dall’inizio, e si è tirato dietro tutti gli altri.
L’idea di vivere secondo imperativi morali che ci si è dati da soli, però, la condivido in pieno con Anna. Per gente come noi due, con cromosomi un po’ anarchici, funziona molto meglio un decalogo autocostruito, del genere “fai da te”, che norme dettate da autorità esterne civili o religiose. Ed entrambi siamo convinti, tuttavia, che sia importante darsi delle regole e, sia pure con la giusta flessibilità, cercare di onorarle.
Fa parte del voler vivere, piuttosto che lasciarsi vivere.
Il cenno finale sul decalogo vero, quello inciso su pietra dal dito di Elohìm, lo devo a letture per me importanti e consolatorie e alla meravigliosa sapienza divulgativa dell’amico Angelo, biblista profondo e onesto. Eventuali travisature dei rispettivi pensieri sono da addebitare solo alla mia memoria, ormai del tipo usa e getta.
La storia, come sempre, è nata senza progetto iniziale, senza un’idea di chi sarebbero stati i protagonisti e i comprimari, senza neppure un abbozzo di trama.
Chi era il morto l’ho capito quasi subito, ma chi fosse l’assassino l’ho scoperto anch’io solo negli ultimi capitoli.
La trama, fra l’altro, è volutamente semplice, ai limiti della banalità.
Non ho vocazione da giallista, condivido con Anna anche una certa avversione per i polizieschi classici col classico commissario e il classico finale a sorpresa, e una totale insofferenza per i noir truculenti.
La storiella, col morto obbligatorio e il conseguente assassino, non è un quiz o una prova di abilità intuitiva per l’eventuale lettore: è solo l’occasione per le libere divagazioni scritte dell’autore.
Una di queste, quella sul G8 di Genova, è dovuta a una singolare coincidenza: assieme ad Anna, a tossire per i lacrimogeni e scansare le bastonate, quel giorno nella città ligure c’ero anch’io.
Mi stupisco sempre, quando da primo lettore do una prima occhiata ai miei scritti appena nati, di quante siano queste strane coincidenze. E’ una cosa veramente incredibile! Come ho detto, con Anna condivido casualmente un sacco di idee.
Ma anche con Luca ci sono strane affinità. Anch’io amo mangiare il pane cotto nel forno che ho costruito io, bere la birra fermentata nella mia cantina, restaurare con le mie mani la casa in cui ho scelto di abitare. Anch’io provo rabbia per gli intolleranti, i burocrati e le strisce blu vicino a stazioni e ospedali.
Strane affinità elettive, di sicuro puramente casuali…
La storia è indipendente, ma fa comunque seguito, e a volte fa cenno, a vicende del Gatto arancione che l’ha preceduta.
Per chi non l’avesse letto, nessun problema: basta non farci caso…
Ho scritto dal 7 al 14 novembre 2011, nel tempo libero dalla galera scolastica, seduto al tavolo della cucina, con la schiena a godersi il caldo della stufa a legna.
Gli occhi, sovente, guardavano attraverso la finestra i colori dell’autunno.
Che, come tutti sanno e come continuiamo a ripetere noi incipienti vecchietti per consolarci di essere nell’autunno della vita, almeno qui in campagna è senza dubbio la stagione migliore.Cervasca, 14 novembre 2011 lele