Fra Borgo e Cuneo. Collaborare senza perdere la propria identità

Ho passato i primi trent’anni della mia vita a Borgo
Quando me ne sono andato, nei primi anni 80, la Borgo della mia infanzia, quella di noi bambini che giocavamo nel vicolo dietro casa e delle mucche che attraversavano via Garibaldi per andare al pascolo nei prati vicino al cimitero, non c’era già più. D’inverno, ruspe e trattori avevano sostituito il modo tradizionale di togliere la neve dalle strade, facendo uscire l’acqua della bialera, e all’alba del 5 dicembre nessun valligiano lasciava più sacchi di lana da cardare a mio nonno, per tornare a ritirarli a notte fonda, dopo aver degnamente festeggiato la Fiera Fredda con un infinito percorso fra bancarelle e osterie. La Borgo del Vicario, del sindaco “Corpu”, delle riunioni di giunta ai Tre Galli era sparita, assieme alla pasta sfusa nel cassetto del droghiere, alla carta blu per incartare il chilo di zucchero, al postino che andava col carretto alla stazione a ritirare i sacchi di corrispondenza, alla lattaia che riempiva il bottiglione portato da casa con mestolo e imbuto.
Ma neppure la Cuneo degli anni del collegio e del liceo era più la stessa. La tranquilla e un po’ assonnata cittadina di provincia era cresciuta e forse, come certe ragazze di campagna trapiantate in città, si vergognava delle sue origini contadine e progettava un avvenire da grande metropoli. Relegato in periferia il mercato del bestiame, lontano dalla vista e dal cuore, era tutta presa a scavare buchi per parcheggi multipiano, a dipingere strisce blu, a progettare improbabili Movicentri, ma anche a valorizzare il bel centro storico.
Intanto, la campagna che allo stesso tempo univa e separava Borgo da Cuneo era sparita, inghiottita da supermercati e capannoni, rotonde e circonvallazioni e le due città si erano di fatto fuse in un’unica interminabile periferia, che si era mangiata anche i nuclei intermedi, Tetto Gallotto, la Crocetta, lo scambio, san Rocco.
Un’unione di fatto, fra periferie diffuse e anonime, come ormai buona parte del Bel Paese, che non deve trasformarsi, a mio parere, in un matrimonio amministrativo e in una “fusione”. Il male non è un buon motivo per accettare il peggio, anzi, dovrebbe farci riflettere sugli errori passati, sulla leggerezza con cui abbiamo permesso il degrado del territorio e la perdita della memoria e del tessuto sociale.
Non è questione di rimpiangere un passato che non potrà tornare, magari idealizzandolo e colorandolo di rosa. I ricordi possono essere un terreno scivoloso e il confronto di ieri con l’oggi non deve risolversi in recriminazioni sterili. Anche l’inevitabile nostalgia è inutile e dannosa, se non serve a orientare le scelte riguardanti il futuro e a capire dove vogliamo andare.
La mia contrarietà, in qualità di ex-borgarino, al progetto di fusione fra i due comuni non nasce da un desiderio di ritorno al passato, ma dalla preoccupazione di non pregiudicare ulteriormente il futuro e di salvaguardare quel che resta della dimensione di “paese”.
“Un paese ci vuole – scriveva Pavese – non fosse altro che per andarsene via” e aveva doppiamente ragione. Il paese è il luogo in cui ci si conosce, ci si saluta, si finisce per darsi del tu, ci si sente a casa. E poi, magari, si decide di partire, sapendo, comunque, di avere un posto in cui tornare. Il mare aperto si affronta con cuore più leggero se si ha la sicurezza di avere un porto in cui rifugiarsi in caso di tempesta e ogni viaggiatore deve avere una meta per poter partire, ma anche un’Itaca a cui valga la pena tornare.
In un paese è più difficile sentirsi davvero soli e non si è mai anonimi. Ci si interessa con la dovuta discrezione, anche dei fatti altrui, e non solo dei propri, si partecipa ai momenti di festa, di gioia e di dolore di chi ci vive vicino.
È, insomma, l’esatto contrario della moderna “città”, luogo di solitudine affollata, di assembramenti di sconosciuti, di lontananze ravvicinate.
La fusione di Borgo con Cuneo rientra, a mio personale giudizio, nel campo delle idee non rispondenti a una reale e sentita esigenza da parte della popolazione. Fra le giustificazioni addotte da qualcuno dei proponenti vi sono la possibilità di fare massa critica per chiedere e ottenere finanziamenti europei e i risparmi dovuti alle economie di scala. Su entrambi gli argomenti ci sarebbe molto da dire. Mi limito a osservare che la cattivissima Europa diventa beneaccetta quando è vista come una vacca da mungere per ottenere contributi e che, molto spesso, le sbandierate “economie” si sono rivelate ben poco economiche e comunque finiscono sempre di essere pagate da qualcuno. La fusione di scuole e istituti, le reggenze, l’inglobamento della Forestale nei Carabinieri, la soppressione delle Province, l’accorpamento di ospedali e tribunali dovrebbero averci fatto capire che spesso i costi reali di queste operazioni superano gli eventuali risparmi e che, anche nel caso, tutto da dimostrare, in cui si riesca davvero a realizzare un vantaggio economico, la qualità del servizio peggiora o viene snaturata e l’utente deve sopportarne costi, disagi e disservizi.
“Piccolo è bello” scriveva nel 1973 Schumacher, anticipando nel suo breve saggio idee che avrebbero preso forma nei decenni successivi. La ricetta vale non solo in economia, ma anche nella vita quotidiana. Dimensioni troppo grandi annullano la possibilità di rapporti umani semplici e diretti, richiedono intermediari, creano confusione, aumentano il già folle tasso di burocrazia. E si traducono in costi, umani, sociali e anche economici.
Non sempre l’unione fa la forza, anzi, spesso avviene proprio il contrario. La buona relazione è l’arte di mantenere la giusta distanza: bisogna saper essere presenti senza essere invadenti, vicini senza calpestare il territorio altrui, attenti senza essere apprensivi. Come nei rapporti personali, così anche fra realtà amministrative bisogna saper collaborare senza necessariamente fondersi, fare squadra senza annullare le peculiarità e senza nascondere le diversità.
Io credo che, invece di inseguire ipotesi di accorpamento, sarebbe bene che sia Borgo che Cuneo cercassero di coltivare e valorizzare ognuna la sue peculiarità: la dimensione e la vocazione di paese posto allo sbocco di tre valli, diverse e meravigliose per Borgo e quella di cittadina tranquilla, accogliente e a misura d’uomo, punto di riferimento per l’intera provincia, per Cuneo.
E imparassero a collaborare per trasporti, infrastrutture, servizi, manifestazioni senza progettare artificiose fusioni e senza inseguire sogni di “grandezza”.

Pubblicato su La Guida del 3 ottobre 2019