Un cammino eterno
Raffreddore, bronchite, qualche linea di febbre: una Pasquetta solitaria, chiuso in casa con la testa pesante che mi impedisce anche di leggere. Devo ripiegare sul tablet, le immagini di “iutub” richiedono meno attenzione delle parole, scivolano senza intoppi anche sulla mente appannata. Senza neppure averlo cercato espressamente, sullo schermo appare un breve video sul vangelo del giorno, lunedì 21 aprile. Non so se si tratti di un video recente, ma l’autore del commento è una di quelle persone che vale sempre la pena sentire: papa Francesco. Premo il tasto “play”.
Seguendo la traccia del testo evangelico, il papa si sofferma in un primo momento su una parola che ripete tre volte in un paio di frasi: gioia. Una gioia “prorompente”, che non si può tenere dentro e che deve espandersi ed essere comunicata agli altri. Grazie a questa gioia, prosegue il commento del papa, “ogni giorno diventa la tappa di un cammino eterno, ogni oggi può sperare in un domani, ogni fine in un nuovo inizio, ogni istante è proiettato oltre il limite del tempo verso l’eternità”.
Il video è molto breve, una manciata di minuti, il tono è discorsivo, quasi a voler compensare la densità del contenuto. Per abitudine rimasta dai remoti tempi del liceo, mi ritrovo a prendere appunti, a trascrivere le parole esatte. Quando finisce, passo a sfogliare le pagine on line dei quotidiani e una notizia inaspettata mi colpisce: Papa Francesco è morto.
Per un caso davvero strano la notizia della morte segue di pochi secondi la fine del video in cui avevo appena sentito il papa parlare di cammino eterno, di speranza e di gioia. Ma la parola caso non è forse adeguata, Jung parlerebbe piuttosto di una “sincronicità”, quel fenomeno di difficile comprensione che implica che tutto sia in qualche modo collegato, al di là delle barriere di tempo e di spazio che delimitano le nostre esistenze quotidiane.
Nella nota di agenzia che dava notizia della sua morte si diceva anche del grazie che aveva sussurrato all’infermiere che l’aveva accompagnato nel suo ultimo percorso. “Grazie” è una delle parole più importanti e sottovalutate del dizionario e papa Bergoglio la usava molto spesso. Un grazie vero, non il frettoloso e distratto ringraziamento delle nostre formule vuote di cortesia.
E adesso credo che sia dovere di tutti noi, indipendentemente dalle idee e dalle appartenenze religiose, dirgli davvero un grande grazie, a parole o col pensiero ed essere davvero riconoscenti, al cielo o al destino, per aver potuto condividere un pezzo del nostro cammino con lui.
Papa Francesco, che non ha mai abdicato al suo cognome Bergoglio e alla sua dimensione di persona “comune”, ha unito il meglio delle lontane origini piemontesi e contadine con gli aspetti più belli, gioiosi e vitali della provenienza sudamericana. Ha messo insieme l’intelligenza, la “furbizia” e la cultura della formazione gesuitica con le istanze rinnovatrici e anche rivoluzionarie dei paesi dell’America latina. Ha saputo tenere insieme una immensa tenerezza, una profonda e mai formale gentilezza, con rari ma significativi momenti di grande fermezza e decisione. Ha scomunicato senza mezze parole i mafiosi, ha cercato di ripulire i sotterranei del vaticano da finanzieri e approfittatori vari.
Non si è mai fatto imprigionare dal suo ruolo, pericolo direttamente proporzionale all’importanza e al prestigio di ogni funzione svolta. Prima di essere papa, vescovo, prete, addirittura cattolico o credente, è sempre stato uomo, una persona come tutti: un’immagine in cui ognuno poteva in qualche modo ritrovarsi. Ruolo e appartenenze definiscono, ma insieme escludono; la sua porta era invece sempre aperta, le braccia spalancate e accoglienti. Anche in questo, faceva davvero onore all’etimologia del termine “cattolico”: di tutti, per tutti. Il contrario esatto di ogni forma di esclusività.
La morte, anche di persona anziana e malata, ha sempre un risvolto di tristezza, lascia un vuoto, ci porta via qualcosa. Lo stesso Cristo aveva pianto sulla tomba dell’amico Lazzaro, prima di resuscitarlo, non aveva voluto saltare il passaggio del dolore e del distacco. Ma io credo che non sia fuori luogo associare a questa morte anche la parola che nel suo commento al vangelo del giorno di Pasquetta il papa aveva ripetuto tre volte in pochi secondi: gioia.
Nel video Francesco aveva parlato anche di “cammino” e chiunque abbia camminato a lungo capisce bene come la parola gioia sia associata all’arrivo, alla fine del viaggio, alla soddisfazione della meta raggiunta. Ad avere onorato fino in fondo tutto il percorso. La gioia dell’arrivo è infatti direttamente proporzionale alla fatica e anche alla sofferenza della parte finale del cammino. E la sofferenza, mai esibita, ma anche mai nascosta, accettata, ma mai esaltata o trasfigurata, credo abbia accompagnato in modo molto pesante gli ultimi tempi del papa.
Quello del papa è un “lavoro” durissimo e spesso ingrato. Niente diritto alla pensione, al centro dell’attenzione di tutti (sia quella malevola, dei tanti arrabbiati per vocazione e professione, sia quella benevola, ma carica comunque di aspettative e di pretese dei “fedeli”), in un’età avanzata, in cui verrebbe naturale tirare i remi in barca ed estraniarsi dai turbini del mondo. La vecchiaia è comunque declino fisico, mentale e psicologico e saper condividere ed esibire la propria debolezza e necessità anche fisica di aiuto è segno di anima grande e generosa.
Nel religiosissimo medioevo, il pio e cattolicissimo Dante non si faceva problema a mettere “tutti” i papi della sua epoca all’inferno. Nell’attuale società in cui pare di moda gloriarsi del proprio ostentato ateismo mi pare invece bella la ferma convinzione di credere che papa Francesco abiti adesso il cielo e prosegua col suo solito sorriso quel “cammino proiettato oltre il limite del tempo, verso l’eternità” di cui parlava a commento del vangelo letto a Pasquetta, proprio il giorno della sua morte.
Le ultime parole di ogni uomo e donna hanno un valore speciale, sono un lascito testamentario, un’espressione di volontà. Quelle del capo della cristianità hanno per i credenti il peso di un’indicazione spirituale pressante e in qualche modo vincolante.
Nell’ultimo messaggio “urbi et orbi” del 20 aprile, poche ore prima di morire, il papa aveva detto una frase molto concreta e attuale: “nessuna pace è possibile senza il disarmo”.
Bisognerebbe ricordarlo con voce forte a tutti quei politici, di ogni nazione, idea e appartenenza, che con intollerabile ipocrisia verranno a mettersi in mostra ai funerali solenni per poi tornare a casa e riprendere ad aumentare la spesa per armi ed eserciti o addirittura a ordinare bombardamenti e altre azioni di guerra.
Non credo neppure che papa Francesco avrebbe condiviso e apprezzato l’invito-ordine a festeggiare in tono minore il 25 aprile, una buona scusa per i nostri governanti per passare sotto silenzio la lotta di liberazione e la gioia per la pace e la libertà ritrovata. L’onore a qualsiasi defunto si rende soprattutto nell’intimità del ricordo, nel sentirlo comunque presente e sempre “vivo”. A Papa Francesco tutti noi, al di là delle diversità di idee e religione, dobbiamo un grande grazie per esserci stato e averci accompagnato per un tratto di quel “cammino eterno” di cui parlava nel commento del vangelo del 21 aprile.
Pubblicato su La Guida del 30 aprile 025