Si vis pacem…
Nell’ultimo messaggio “urbi et orbi” del 20 aprile scorso, poche ore prima di morire, papa Francesco aveva detto una frase molto concreta e attuale: “nessuna pace è possibile senza il disarmo”. Parole chiare, col peso e la forza di un lascito testamentario che adesso, a distanza di pochi mesi, suonano profetiche nel senso alto e profondo del termine.
Il suo successore, Papa Leone, ha ribadito lo stesso concetto in occasione della recente decisione dei 32 stati membri della Nato di accettare (supinamente e a mio parere stupidamente) la proposta-imposizione di Trump e aumentare le spese militari portandole al 5% del PIL. Un bel regalo ai mercanti di morte e all’industria americana, un modo davvero strano per ricambiare il Presidente dell’imposizione dei dazi che danneggeranno la nostra economia e peseranno, come sempre, sui più deboli. Un regalo che per noi italiani significa passare dai 24 miliardi del 2024 agli oltre 100 miliardi di spesa. Soldi, come sempre, presi dalle nostre tasche, sotto forma di tasse proprie o improprie e soprattutto di tagli ai settori della sanità, previdenza, istruzione.
Il papa ha anche dedicato un indiretto ma profondo commento all’infelice citazione della premier Giorgia Meloni del detto latino: si vis pacem para bellum, ricordando il pericolo di usare parole e frasi fuori dal loro contesto.
E il contesto, nel caso specifico, è l’impero romano, a cui i fascisti vecchi e nuovi hanno sempre fatto riferimento, in genere senza conoscerlo davvero. Una frase ad effetto, attribuita anche a Cicerone, avvocato abituato alle stranezze della retorica e alla necessità di ottenere l’attenzione dell’ascoltatore con l’uso di paradossi e antinomie.
Nella realtà attuale, lontana secoli dalla “pax romana”, il detto è fuorviante e pericoloso. La semplice logica ci dice che è vero l’esatto contrario. D’altra parte, a nessuno verrebbe in mente di affermare che una buona salute si ottiene con una pessima alimentazione o che una valida cultura si costruisce evitando accuratamente letture e studi.
Chi “prepara la guerra” ottiene la guerra. E, per evidenza contraria, se si vuole davvero la pace, bisogna preparare la pace.
Ma chi prepara la guerra, qualsiasi sia la scusa che tira fuori per sgravarsi la coscienza, non può dirsi cristiano. Non nel senso profondo di seguace di Cristo, profeta disarmato che dichiarava beati i “costruttori di pace” e i mansueti, e neppure in quello di appartenente a una confessione religiosa le cui guide si sono espresse con chiarezza e in modo unanime sull’argomento.
Già nel dicembre 1976, in piena guerra fredda, Papa Paolo VI diceva testualmente che “l’antica sentenza “si vis pacem para bellum” non è ammissibile senza radicali riserve” e condannava l’aumento delle spese militari “a danno dei bilanci scolastici, culturali, agricoli, sanitari, civili”. E in tempi ancora precedenti, nell’ormai lontano 1963, all’indomani della crisi di Cuba che aveva portato il mondo a un passo da una guerra nucleare, papa Giovanni aveva speso parole per una pace vera, non basata sull’equilibrio del terrore e aveva criticato la corsa agli armamenti giustificata dal raggiungimento di tale equilibrio.
La semplice logica e anche la triste realtà dei fatti quotidiani ci insegna che, se ci sono le armi, prima o poi si usano. In paesi, come gli Usa, in cui è facile e legale possedere pistole o fucili sono ricorrenti uccisioni e anche stragi. Lo stesso ragionamento vale, su scala maggiore, per le nazioni o i loro raggruppamenti.
Se si vuole la pace, al di là dei giochi di parole o delle citazioni improprie, bisogna preparare la pace. Ma preparare la pace non è per niente cosa facile, richiede impegno, sacrificio e costanza. La pace, come ogni altra cosa, si impara, con un percorso che parte dal piccolo e dal personale per arrivare al collettivo e al politico.
Spesso si riduce la pace all’assenza di guerra, una definizione girata al negativo che non rende la pienezza del concetto. Un po’ come se definissimo la luce come l’assenza di buio o la musica come il contrario del silenzio. La pace si costruisce con esercizio quotidiano, cominciando dall’interiorità (essere in pace con se stessi non è cosa scontata o facile) e proseguendo con il prossimo, nel senso etimologico di persone che ci stanno accanto. Gentilezza, buona educazione, sorrisi, apertura mentale, buona disposizione d’animo, tolleranza. In un mondo di odiatori seriali, di maleducati, di razzisti e di egoisti il seme della pace deve essere coltivato con attenzione, ma poi si diffonde con la forza di un contagio positivo. È in fondo l’essenza del messaggio cristiano, che la forza pacifica e inerme dell’amore avrà la meglio sulla violenza e sull’odio. È anche quanto ha dimostrato Gandhi liberando la sua India dal dominio inglese. Una pagina di storia che prova l’efficacia dell’azione nonviolenta, anche sul piano pratico e politico.
E, proprio sul piano politico, la nostra scelta attiva per la pace deve tradursi in direttive chiare ai nostri rappresentanti. Il voto non è una delega in bianco e gli eletti, di qualsiasi schieramento, devono sapere che chi “prepara la guerra” o chi regala i nostri soldi ai mercanti di morte non ci rappresenta e non avrà mai più il nostro voto o il nostro appoggio. Sarà inutile presentarsi con la faccia buona, i sorrisi di circostanza e le solite false promesse alle prossime elezioni.
La democrazia, come ogni altra cosa, funziona solo se la si usa, non solo andando a votare e scegliendo con attenzione i rappresentanti, ma anche monitorando costantemente gli eletti, controllando le loro azioni e reazioni e togliendo loro ogni eventuale fiducia in caso di scelte che riteniamo gravemente sbagliate.
Papa Leone nel suo lucido e accorato intervento si chiedeva “come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino alla pace? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo?” E finiva con una nota di consapevole speranza: “la gente è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte”.
La guerra è da sempre il miglior affare per speculatori e finanzieri senza scrupoli. Le spese militari, soprattutto in questi tempi ipertecnologici, sono un settore quasi impossibile da controllare (anche se ve ne fosse l’intenzione, cosa tutt’altro che scontata).
Sta a noi cittadini ed elettori essere attenti a come gli eletti spendono i nostri soldi per impedire che continuino ad andare “nelle tasche dei mercanti di morte”.
Perché chi prepara e finanzia la guerra non vuole certo la pace.
Pubblicato su La Guida del 3 luglio 025 col titolo Nessuna pace senza il disarmo