Spiccioli di economia 9 Il dio mercato

Il bellissimo racconto di Genesi ci ricorda che Dio aveva progettato per noi un giardino in cui vivere felici, “nudi” e in armonia con la natura. Poi c’è stato l’episodio del frutto di quell’unico albero proibito, l’albero della conoscenza, e la scelta di Eva e Adamo di staccarsi dall’innocenza per tentare la pericolosa e dolorosa avventura della consapevolezza. La storia, dietro la veste da favola infantile, ha una profondità e una grandiosità che rende difficile e superfluo ogni commento.
Nel testo, Eva raccoglie il frutto, ne mangia e poi lo passa ad Adamo, che fa altrettanto e immediatamente si rende conto del cambiamento.
Nella mia fantasia, immagino invece che la perdita del paradiso terrestre non sia avvenuta per colpa di quel morso incauto. Dal giardino siamo usciti quando la mela, invece di mangiarla, l’abbiamo venduta.
Quando Adamo o Eva si sono detti: perché mangiare un così bel frutto, proviamo a metterlo sul mercato e lo trasformeremo in conchiglie, in perline colorate, in pezzi di metallo lucente. E perché mai sprecare tutto questo terreno irriguo per un solo albero? Piantiamone una fila, anzi, dieci, cento, mille file. Tanto, all’epoca della raccolta, troveremo di certo qualcuno disposto a venire a lavorare per noi per un pugno di quelle perline colorate che guadagneremo in abbondanza vendendo le mele…
Una parafrasi che non vuole certo mancare di rispetto al testo biblico, ma solo adattarlo a tempi e mentalità di oggi e sottolineare che l’Eden lo perdiamo ogni volta che ci mettiamo ad adorare il dio mercato.
Questo non significa affatto che il mercato sia un male e che non sia utile o, addirittura, necessario. Il problema non è nell’esistenza del mercato (che nessuna persona di buon senso si sognerebbe di contestare), ma nella minaccia concreta che diventi orizzonte unico delle nostre esistenze. Il male sta nel fatto di aver esteso progressivamente l’ambito delle transizioni monetarie a tutte le attività umane, a ogni tipo di relazione interpersonale. Se eleviamo il mercato al rango di divinità, allora tutto diventa merce.
Tutto si risolve in un rapporto di dare e avere, mediato dallo scambio di denaro. Tra persona e persona, tra gruppi, tra cittadino ed enti pubblici, addirittura fra amici o parenti. Tutto si compra e si vende, tutto deve essere valutato, misurato, pesato. Si dà per avere, trasformando anche il dono in investimento.
L’immensa varietà dei rapporti umani si riduce a due sole figure, venditore e compratore, separate dal muro dell’interesse e della diffidenza: davvero la fine del paradiso terrestre.
La civiltà agricola e alpina di un tempo si basava su una scarsa circolazione monetaria. Il denaro serviva solo a pagare le poche tasse e in rarissime altre occasioni, soprattutto per l’acquisto di immobili. La compravendita era quindi un’eccezione in un sistema basato su autoconsumo, scambio, dono, aiuto reciproco.
Ora i rapporti si sono completamente ribaltati, tutto è regolato dalla presenza invadente del dio mercato. Il cambiamento, come capita sovente, è avvenuto in modo subdolo e quasi impercettibile. Con l’invadenza di un’erba infestante o di un insetto dannoso, il mercato ha invaso il terreno che era occupato dall’autoproduzione, dai beni comuni, dall’aiuto reciproco, sostituendo il dare e l’avere a ogni altro tipo di relazione, fino a diventare signore e padrone delle nostre vite.
Una colonizzazione materiale, ma soprattutto mentale, capace di infilarsi nei rapporti interpersonali come una leva in una fessura, distruggendo il tessuto sociale, minando alla base le stesse comunità e le famiglie. Fra padri e figli, parenti e amici, marito e moglie, cittadini e amministrazione c’è sempre di mezzo un fare di conto.
L’ente pubblico, da erogatore di servizi si è trasformato in venditore di spazi e di luoghi: il metro quadro in cui posteggi, lo svago festivo, l’acqua che bevi, la casa in cui vivi, tutto è occasione di far cassa. L’Anas riesce perfino a far pagare la vista, ciò che si può vedere passando per la strada. Invece di indennizzarti perché dalla statale possono guardarti in casa, riempirti il terreno di immondizia e l’aria di fumi di scarico, ti chiedono un canone annuo perché nel tuo terreno hai messo un cartello o pretendi di poter entrare nel tuo campo dalla strada.
Mi viene da sorridere senza troppa allegria ricordando uno slogan delle nostre manifestazioni giovanili, nel tardivo post- sessantotto cuneese: “pagherete caro, pagherete tutto”.
Alla fine la profezia si è realizzata, anche se al contrario: quelli costretti a pagare davvero tutto, anche quello che un tempo non sarebbe stato neppure immaginabile, siamo sempre noi.

Pubblicato su La Guida del 15 febbraio 018