Spiccioli di economia 7 Troppe norme e nessuna regola

Il sistema neoliberista che governa il mondo, e in particolare l’Europa e l’Italia (per rendersene conto basta guardare i curriculum dei vari Draghi, Padoan, Monti) ha un rapporto schizofrenico con le regole. Da una parte ci soffoca la vita con un apparato di norme asfissianti, strampalate, inutili, inopportune o controproducenti, dall’altra le rifiuta in blocco là dove servirebbero davvero, cioè nel campo della finanza.
Nella vita reale tutto è controllato, regolamentato, vietato. Siamo perseguitati da norme, commi, divieti, avvertenze, cartelli, dossi rallentatraffico (e spaccaschiena), corsi da seguire, certificazioni da esibire, punti da raccattare o da non perdere. E ogni volta arriva qualcuno che dice che vuole cambiare tutto e semplificarti la vita, ma appena giunto nella stanza dei bottoni inizia a produrre regole nuove e fantasiose, che spaziano dai vaccini da esibire a scuola (manco fossimo ai tempi della peste bubbonica) alle fatture elettroniche passando per i canoni tv in bolletta. Se c’è qualcosa di semplice e valido, come erano all’inizio i voucher, si affrettano a cancellarli o modificarli, con la scusa che qualcuno ne potrebbe abusare.
Nel campo dell’alta finanza, al contrario, non ci sono praticamente regole e quasi tutto è permesso. Comprare senza soldi, speculare al ribasso, impacchettare debiti inesigibili in prodotti complessi, usare leve finanziarie che moltiplicano le possibilità di guadagnare e di perdere. Non c’è limite alla fantasia e alle possibilità.
La mancanza di regole sul mercato finanziario, che si è venuta a creare dagli anni ottanta in avanti, ha condotto all’attuale disastro, nato dall’ingordigia e dai mancati controlli. Non occorre la laurea alla Bocconi o il Nobel per l’economia per capire che non si può governare un settore così importante senza un sistema di norme e vincoli: sarebbe come se da domani abolissimo il Codice della strada e ognuno viaggiasse come vuole: contromano, in senso vietato, alla velocità che crede.
In mancanza di leggi, vige la legge del più forte, la legge della giungla.
Eppure basterebbero poche norme chiare e rigorose per mettere fine almeno agli aspetti più pericolosi e assurdi della speculazione. Basterebbe abolire molti dei nuovi prodotti finanziari, i cosiddetti derivati, tassare in modo appropriato il trading veloce, vietare operazioni a termine e scalate aziendali a debito, rafforzare il ruolo degli organi di controllo e di vigilanza.
Fino a pochi anni fa le borse trattavano monete, metalli preziosi, titoli di stato, obbligazioni e azioni. Le obbligazioni e i titoli di stato sono in pratica prestiti a lungo termine ad aziende quotate o allo stato ed erano considerate un investimento sicuro. Più rischioso investire invece in azioni, titoli di comproprietà di una società che possono subire forti oscillazioni al rialzo come al ribasso. La perdita, nel peggiore dei casi, poteva azzerare il capitale investito. Poi, però, si sono aggiunti prodotti nuovi, dagli incomprensibili nomi inglesi, spesso indicati, per semplicità, come “derivati”. Alcuni di questi permettono un forte effetto leva. Se, ad esempio, ho una leva di venti, punto uno e posso guadagnare (o perdere) venti.
La giungla di questi strani e complicatissimi contratti finanziari ha trasformato il settore in un gioco d’azzardo ad altissimo rischio che ha fatto affondare aziende, banche e privati. Anche lo Stato italiano ha perso nel giochetto miliardi di euro presi dalle nostre tasche. Dal 2013 al 2016 il governo ha dovuto pagare un saldo netto di interessi di 13,7 miliardi di euro che sono finiti nelle casse di banche d’affari. Monti nel 2011 ha versato 3,1 miliardi solo per chiudere un contratto con Morgan Stanley.
Un buco nero (nel vero senso del termine, perché ben poco è stato fatto per fare chiarezza sull’intricata questione) che vale come una pesante manovra finanziaria. Come dire che senza questi pericolosi contratti stipulati (con la benedizione di ministri e politici) da funzionari ora sotto accusa da parte della Corte dei Conti ci saremmo potuti risparmiare di avere la più alta età pensionabile d’Europa o l’Iva a livelli da rapina.
Anche i contratti a termine servono solo a favorire la speculazione e dovrebbero essere aboliti o regolamentati. Invece di comprare e pagare subito, faccio ora un contratto per comprare una certa azione o merce a un certo prezzo in una certa data. Se nel frattempo la quotazione sale avrò realizzato un guadagno. Il giochetto si può fare anche senza soldi, sperando che le cose vadano nel verso giusto, in modo da poter vendere prima del saldo. E vale anche al contrario: posso guadagnare anche puntando sul ribasso.
Le merci di tutto il mondo sono ormai contrattate con questo sistema, che favorisce la speculazione e permette di realizzare guadagni ingiusti sulla pelle dei produttori e dei consumatori. Fare salire artificiosamente il prezzo di grano, mais o riso significa condannare alla fame popoli interi e giocare al ribasso con le materie prime favorisce lo sfruttamento e contribuisce alla povertà di agricoltori e produttori.
Si potrebbero fare molti altri esempi concreti che permettono di rendersi conto di come il sistema finanziario sia “impazzito”. Prima dell’informatica, per compare o vendere azioni ci volevano alcuni giorni. Ora nel mondo ci sono megacomputer programmati per comprare e vendere in frazioni di secondo, sfruttando rialzi o ribassi infinitesimali per fare soldi. Trading ultraveloce, milioni di transazioni al minuto. Pazzie finanziarie che non fanno certo il bene dell’economia reale, che ha bisogno di investimenti solidi e duraturi, non di giochetti delle tre carte fatti alla velocità della luce.
Compito della politica sarebbe riprendere in mano il potere decisionale in materia di economia, in nome dei propri cittadini, della giustizia e dell’onestà, sottraendolo a quella zona grigia della finanza che lo ha di fatto esercitato in questi ultimi anni.

Pubblicato su La Guida del 1 febbraio 018